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 2023  giugno 19 Lunedì calendario

Il disastro ambientale causato dalla guerra in Ucraina

Lo studio si chiama «I danni climatici causati dalla guerra della Russia in Ucraina». È la prima stima ufficiale presentata il 7 giugno scorso alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Bonn dal gruppo di ricercatori guidato dall’olandese Lennard de Klerk. I dati raccolti si riferiscono ai primi dodici mesi di guerra: 119 milioni di tonnellate di CO2. Tanto quanto il totale delle emissioni di un Paese come il Belgio. Oggi però di mesi ne sono passati 15, e gli incendi provocati dai bombardamenti non sono mai cessati. Mantenendo la stessa proporzione si può dire che a fine maggio la stima delle emissioni totali di CO2 sia salita a 155 milioni di tonnellate.
I danni totali all’ambiente, a fine aprile, sono valutati da Kiev intorno ai 52 miliardi di euro. Vediamoli.


Emissioni di CO2
Che l’invasione russa dell’Ucraina sarebbe stata anche una catastrofe ambientale per l’intero pianeta è evidente già dai primi giorni: le bombe colpiscono raffinerie (60 solo dopo 4 mesi di guerra), depositi di carburante, capannoni, circa 900 impianti industriali, bruciano intere foreste. Distrutti molti centri di depurazione delle acque, dighe. In totale nel primo anno di guerra ci sono stati 6.288 incendi, con 670 mila tonnellate di gasolio e benzina andati in fumo. A questo si somma la CO2 non assorbita da 280 mila ettari di foreste: in parte bruciate (57 mila ettari solo nei primi 6 mesi), in parte completamente danneggiate. In media ogni ettaro di foresta ucraina è in grado di assorbire 4,8 tonnellate di CO2.
Poi ci sono le conseguenze degli attacchi alla rete elettrica: per fronteggiare la mancanza di elettricità sono stati importati 120 mila generatori diesel, dai mini-portatili per negozi e abitazioni a impianti giganteschi per interi quartieri urbani. Inoltre i bombardamenti hanno messo fuori uso il 90% delle pale eoliche e il 50% dei pannelli solari, che producevano l’11% dell’elettricità nazionale. Lo studio presentato a Bonn dettaglia le stime del primo anno di guerra: la maggior parte delle emissioni di CO2 (50,2 milioni di tonnellate) sono legate alle attività di ricostruzione di infrastrutture e edifici, seguite dalle azioni militari (21,9 milioni), dagli incendi (17,7 milioni) e dall’esplosione dei gasdotti Nord Stream (14,6 milioni).
Dalla fine di febbraio ad oggi, dicevamo, le esplosioni sugli impianti sono state ancora più furiose. Un esempio: il 29 aprile i droni ucraini hanno centrato i depositi di carburante a Sebastopoli, il maggior porto in Crimea della Flotta russa. Oltre 40 mila tonnellate di gasolio bruciate in pochi giorni.


Acqua: la morte del Mar Nero
Colpiti gli impianti elettrici, saltano i depuratori e i liquami non filtrati vanno nei fiumi che finiscono nel Dnipro, che tocca il delta del Danubio e le sue immense oasi tutelate. In alcuni momenti, tra novembre e dicembre 2022, quasi 16 milioni di cittadini non hanno avuto accesso all’acqua potabile. Il 14 marzo 2022 la Russia ha bombardato gli impianti di trattamento delle acque reflue a Vasylivka vicino a Zaporizhzhia. Una stazione di pompaggio è stata distrutta. Ancora da valutare le conseguenze delle bombe russe contro la diga di Nova Kakhovka, sempre sul corso del basso Dnipro, ma appare ovvio che saranno gravi su tutto l’ecosistema della regione.
Nell’acqua finiscono i residui dei bombardamenti di 900 impianti industriali, chimici, e quelli delle acciaierie Azovstal a Mariupol: parliamo di piombo, bauxite, mercurio, uranio impoverito, soda caustica, zinco, nichel. Dunque liquami e sostanze altamente tossiche entrano nel Mare d’Azov e nel fiume Dnipro, che sfociano entrambi nel Mar Nero, che a sua volta confluisce nel Bosforo, e alla fine quell’acqua arriva nel Mediterraneo. I ricercatori sostengono che la fauna ittica è stata quasi completamente uccisa fino alle coste della Crimea.


Terreno: contaminato e minato
Gli attacchi su edifici e impianti stanno lasciando il terreno contaminato da metalli pesanti e altre sostanze tossiche. Colpiti a Rubizhne e nel distretto di Severodonetsk serbatoi di acido nitrico.
Poi ci sono le mine. Gli artificieri ucraini accusano i russi di averne piantate tra 6 e 10 milioni di ogni tipo e dimensione. Sono disseminate su un’area lunga oltre 2 mila chilometri. Lo scorso 4 aprile i funzionari dello United Nations Development Program (Undp) hanno lanciato un allarme: nelle zone minate vivono oltre 14 milioni di civili. Ci sono intere regioni liberate negli ultimi mesi dagli ucraini, come il Kherson occidentale e le zone a sud-est di Kharkiv, dove i campi minati sono stati semplicemente marcati con nastri e cartelli segnalatori senza alcun altro intervento.
Oggi un terzo dei campi agricoli ucraini non è lavorabile, circa il 25% delle aziende agricole ha chiuso. Nel novembre scorso il ministero delle Politiche agrarie denunciava perdite per circa 6 miliardi di euro, di cui il 44% a causa di macchinari danneggiati, il 28% per raccolti distrutti e il 5% per danni ai campi coltivati.
Oltre 12 mila chilometri quadrati di riserve naturali sono andati distrutti o si trovano nelle zone di guerra contese tra i due eserciti, mettendo a rischio 600 specie di animali e 750 di piante: un vero «ecocidio».


Aria: si respira amianto
Il 21 marzo 2022, un attacco a un’industria di fertilizzanti vicino a Sumy rilascia ammoniaca nell’aria. A giugno 2023 c’è stata un’esplosione nella più grande condotta al mondo di ammoniaca che collega la città russa di Togliatti al porto di Odessa. In aprile l’aria di Kramatorsk, Chasiv Yar e Kostantinivka nel Donbass centrale era ammorbata dall’esito del braccio di ferro all’ultimo sangue per il controllo della vicina cittadina assediata di Bakhmut.
Ma nell’aria si respirano anche le polveri di amianto. Il 24 gennaio scorso la School of Economics di Kiev contava la distruzione totale o parziale di 149.300 edifici nel Paese, di cui 131.400 case private, 17.500 palazzi residenziali e 280 «dormitori». Oggi il numero totale potrebbe essere di almeno 200 mila. La totalità degli edifici risalenti all’epoca sovietica è tappezzata di amianto, dai tetti ai muri, e questi dominano in particolare nei centri urbani del Donbass investito più a lungo dai combattimenti sin dal tempo della crisi del 2014. Ma in tutto il Paese, sottolineano le autorità locali, il minerale killer è stato utilizzato nelle costruzioni fino al 2020. Secondo Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, le fibre polverizzate nell’aria produrranno decine di migliaia di morti nei prossimi anni.


Il rischio nucleare
Nonostante i continui allarmi sul pericolo nucleare, specie riguardo alla centrale atomica di Zaporizhzhia, che potrebbe essere investita a breve dalla controffensiva ucraina, almeno per il momento i rilevatori non hanno mai segnalato radiazioni irregolari.
I commissari della missione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica lanciano continui appelli affinché i due eserciti accettino di demilitarizzare la zona, e comunque confermano che ad oggi non ci sono state fughe di materiale radioattivo. Va detto che non esistono studi completi e approfonditi. Per gli scienziati, le agenzie governative locali e le organizzazioni internazionali resta impossibile condurre indagini serie sul posto con una guerra in corso.
Alla fine, le drammatiche statistiche elencate sono solo una stima dei danni ambientali, e calcolata al ribasso, perché da parte russa le informazioni non ci sono, e le autorità ucraine non dicono tutto per non confermare ai russi la gravità dei loro bombardamenti.