Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 19 Lunedì calendario

L’obesità è (anche) una questione genetica

L’obesità è diventata una delle sfide più urgenti per la salute pubblica nel mondo moderno. Milioni di persone lottano con il sovrappeso e le sue conseguenze per la salute. Se in Italia è obeso il 12% della popolazione, negli Usa questa percentuale raggiunge il 42% degli adulti. Gli scienziati non sanno esattamente perché, ma è chiaro che il problema è esploso negli ultimi 60 anni e che finora le strategie utilizzate per aiutare i pazienti a perdere peso – diete, esercizio fisico, integratori e pacchetti costosi – non hanno funzionato. Secondo alcuni questo è dipeso in gran parte dal fatto che si è considerata l’obesità come fosse un problema del singolo, della sua volontà o, peggio, della sua mancanza di volontà. E tutto ciò ha generato uno stigma, un senso di colpa o vergogna che non aiuta affatto ad affrontare un problema che è, invece, essenzialmente medico.
Se oggi possiamo dire qualcosa dell’obesità (o delle obesità, perché non sono tutte uguali) è che va considerata un problema sociale e biologico. Da una parte, infatti, gioca un ruolo importante la disponibilità costante di cibo-spazzatura, spesso ipercalorico e poco nutriente, che ci espone sin da bambini ad una alimentazione squilibrata ed eccessivamente ricca di calorie. Ma questo fattore sociale (non individuale) agisce su un contesto biologico, su una predisposizione genetica che non è uguale per tutti.
Esiste una terribile malattia genetica rara, la Sindrome di Prader Willi, caratterizzata da assenza del senso di sazietà. I bambini affetti da questa malattia mostrano iperfagia (mangiano troppo e di continuo) proprio perché al loro cervello non arriva il segnale di sazietà e sviluppano un’obesità molto grave che può condurli alla morte. Nonostante questa patologia sia una condizione rara ed estrema, ci mostra come la spinta a cercare cibo spesso non sia una scelta volontaria ma la conseguenza di squilibri a livello della regolazione dell’appetito. E c’è un dato importante a confermare e dare valore a questa visione: i nuovi ed efficaci farmaci anti-obesità.
Uno dei più promettenti sviluppi nel campo della terapia dell’obesità è l’emergere di farmaci che agiscono direttamente sul sistema nervoso centrale per regolare l’appetito e il metabolismo. Questi farmaci sfruttano le nostre sempre più approfondite conoscenze sulla fisiologia e sulla patogenesi dell’obesità e mirano a modificare i processi che regolano la fame, la sazietà e il metabolismo energetico. Uno dei più efficaci e promettenti è un agonista del recettore dell’ormone GLP-1 (il principio attivo si chiama semaglutide, mentre il farmaco ha nome commerciale Wegovy). Che significa? Il GLP-1 (glucagone-like peptide 1) è un ormone rilasciato dall’intestino dopo un pasto. Tra i suoi effetti c’è il rallentamento dello svuotamento gastrico (e quindi favorisce la sensazione di sazietà) e l’azione diretta sul cervello per ridurre l’appetito. Il farmaco è simile quindi al GLP-1 naturale ma più stabile nel tempo e, data la sua efficacia, sta davvero rivoluzionando la cura dell’obesità. È interessante poi aggiungere che i nuovi farmaci anti-obesità hanno la capacità di affrontare non solo la riduzione del peso ma anche le comorbidità associate all’obesità, come il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari. Questi farmaci possono migliorare la sensibilità all’insulina, ridurre i livelli di zucchero nel sangue e abbassare la pressione arteriosa, offrendo una soluzione olistica per la gestione dell’obesità e delle sue complicanze.
Oltre all’aspetto terapeutico di grandissimo impatto, questi farmaci sono interessanti perché ci mostrano, ancora una volta, che molte delle caratteristiche che abbiamo sempre ritenuto tipicamente una questione di volontà e di autocontrollo (e quindi lodabili o deprecabili) sono invece il semplice risultato di una biochimica favorevole o svantaggiosa. Se quindi non possiamo colpevolizzare una persona che soffre di ipertensione o di ipercolesterolemia, allo stesso modo va abbandonata la visione dell’obeso come di una persona debole, pigra, incapace di limitarsi. La scienza, con questi nuovi farmaci, può quindi fornire non solo una cura efficace per molti pazienti ma anche per una società che troppo spesso giudica senza conoscere.