la Repubblica, 19 giugno 2023
Il giudice, l’avvocato, Manzoni e il vento della moltitudine
Non riscrisse I promessi sposi per i soldi,è vero, ma troppi ne aveva perduti con la prima edizione del 1827. Risciacquò in Arno i suoi “71 lenzuoli” per liberare la lingua e si mise a raccogliere documenti per dare rigore storico al romanzo e allaColonna infame che lo avrebbe completato, ma fu per soldi che lo realizzò “a vignette” e “a dispense” nell’edizione definitiva del 1840/42.
La spinta finale gliel’aveva data nel 1837 quel Balzac che, pieno di debiti, «parlando come un vento» gli aveva raccontato che in Francia stava addirittura creando un sindacato di scrittori. Nel giugno del 1827, Manzoni era stato sorpreso dal successo – «Chi m’avariss mai dit, quand me smazzucavi a fa quel liber, ch’el dovesse fa tanto fracass!» – ma era rimasto sgomento per il poco guadagno. Tanto più che ne erano state realizzate 40 edizioni pirata. Nell’anarchia del mercato, l’Italia degli staterelli falsificava più libri che moneta. E ogni falsificazione migliorava l’originale: “Ristampa con aggiunte”. Calcolò dunque 60 mila lettori: «Il che vuol dire – scrisse al cugino – ch’io non ho avuto che la sessantesima parte dei compratori». Come «competere con i contraffattori?» Ironizzando, definì sé stesso “lo speculatorone” e decise di impegnarsi nella dispendiosa edizione illustrata da Gonin, ma lo squilibrio tra il successo letterario e quello economico continuò e, alla fine, investì 80 mila lire e ne recuperò poco più di 40 mila. E vale la fatica non solo rileggerne i conti (Manzoni editore,1945), ma scoprire che solo alla letteratura Manzoni aveva regalato l’idealtipo dell’avvocato dei mafiosi, il famoso Azzeccagarbugli. Nella vita invece tanto credeva nel Diritto che si trasformò nell’avvocato di se stesso e fece causa all’editore Felice Le Monnier di Firenze che, senza il suo consenso, nel 1845 aveva ristampato I promessi sposi.
L’editore, che era un francese illuminista e aveva già litigato con Manzoni, che gli aveva negato il permesso di ripubblicare le tragedie politiche, fu sconfitto in primo grado nel 1846 e, dopo ben 14 anni, anche in appello. Ma ricorse in Cassazione, finalmente affidandosi al più famoso economista e avvocato del tempo: il professor Girolamo Boccardo. Spaventato, Manzoni scrisse uno straordinario testo giuridico in riposta alla sapiente memoria del Boccardo, che si era persino permesso di prenderlo garbatamente in giro.
Quei due testi insieme, del Boccardo e del Manzoni, anticiparono in sostanza la legge sul copyright. Manzoni ebbe pure l’applauso dei giudici italiani che, nellaColonna infame, aveva descritto come gli opportunisti che condannano gli innocenti. E aveva spiegato che non resistono, i giudici, al vento “della moltitudine”. Ecco la domanda: quale Cassazione nel 1862 si sarebbe messa contro il vento della moltitudine che aveva già fatto di Manzoni un padre della patria? E dunque chi può escludere che avesse ragione Le Monnier?