il Giornale, 19 giugno 2023
Chiude l’ultimo mercato del bestiame. Ora si farà online
L’ultimo muggito romperà il silenzio all’alba del primo giorno di luglio e segnerà la fine di un’era. Nella città di Cuneo – nel profondo Sud del Piemonte – chiude l’ultimo mercato italiano con toro, mucche e vitelli «dal vivo», come vuole la tradizione tramandata di padre in figlio, in questa terra di agricoltori e imprenditori, dove la filosofia del vivere si basa su due parole: lavoro e profilo basso.
Al posto dei bovini in bella mostra, l’uno accanto all’altro in una grande vetrina che ben rappresenta l’eccellenza della zootecnia europea, al Miac – Mercato all’ingrosso dell’agroalimentare cuneese – arriveranno monitor, telecamere e tecnologia dell’ultima generazione. Un passo quasi scontato nell’era digitale, dove anche le mucche saranno in smart working ed invece di recarsi al mercato, resteranno tranquille nelle stalle mentre le loro immagini voleranno via etere in tutto il mondo. I tempi moderni conquistano cosi anche l’ultimo baluardo di un’economia fiorente e redditizia che vede il Piemonte – e la provincia cuneese in modo particolare – ai vertici della classifica per numero dei capi bovini allevati e per la qualità della sua specie autoctona che, naturalmente, si chiama «Razza Piemontese».
Sparisce, insieme al mercato del bestiame, anche un mondo che il Miac ha preservato attraversando i secoli, dove il giorno veniva salutato con l’arrivo di centinaia di camion guidati dagli stessi allevatori, oppure dai commercianti di bestiame, quelli che con una sola occhiata capiscono subito se quell’animale che hanno davanti è un buon affare oppure no. Per ore il silenzio della campagna circostante, a pochi chilometri dalla città e dal suo correre frenetico, è rotto solo dal passo incerto delle mucche che caracollano fuori dai bilici, eleganti nella loro grandezza con il pelo – che si chiama cavallino – tirato a lucido per l’occasione. Vengono accompagnate nei loro box e tenute a bada dai tradizionali «tucao», ossia gli accompagnatori che sono gli unici a poter indirizzare l’animale – toccandolo con una lunga verga – verso il posto che gli è stato assegnato.
È in quel momento che ti accorgi se la vacca è accompagnata dal commerciante di bestiame o dal suo proprietario, perché lui non la perde mai di vista e ogni tanto le accarezza il muso. Quello intenso degli animali che si mescola con quello del pagliericcio sull’asfalto, ogni tanto sopraffatto dall’aroma del caffè ma anche dell’inconfondibile profumo del bollito, il tipico piatto fatto di carne e brodo che sfama e riscalda chi è sceso dal letto molte ore prima dell’alba per raggiungere il mercato e dare il via alle contrattazioni ed aprire le danze della Wall Street del bovino.
Come un’orchestra magicamente diretta dalla tradizione, quando gli animali hanno preso posto nei loro box, partono le grida di allevatori e commercianti che iniziano a passarli in rassegna. Per i non addetti ai lavori è quasi impossibile capire gli intrecci delle voci. «Forza, 10mila per un vitello Baliotto». Prezzi, listini e compravendite si svolgono in pochi minuti, tra fogli volanti, mini calcolatrici e pacche sulle spalle, mentre il contratto viene siglato da una stretta di mano, quelle che qui valgono più di ogni altra cosa, anche di un contratto scritto e firmato. La contrattazione viene fatta rigorosamente parlando in dialetto piemontese, mentre il prezzo dei capi è ancora calcolato nelle vecchie lire, che saranno poi convertite in euro a fine giornata, quando il mercato chiude e si torna a casa. Perché come spiegano i commercianti: «Con le vecchie lire il calcolo è immediato, all’euro non ci siamo mai abituati».
Tutto questo finirà tra pochi giorni e il pezzo di storia che se ne va, sarà soppiantato da una tecnologica piattaforma del Cun, ossia la Commissione Unica Nazionale del ministero delle Politiche agricole. Avrà il compito di formulare le tendenze di mercato e i relativi prezzi dei prodotti agricoli, un borsino telematico che nella sostanza cambia poco, ma è innegabile che il futuro che avanza scalcia via con un semplice clic, un mondo affascinante fatto di uomini e di animali, di tradizioni e valori che si perderanno. «Non si tratta di una chiusura – puntualizza il presidente del Miac Marcello Cavallo – ma di una trasformazione per stare al passo con i tempi ed essere competitivi sul mercato agroalimentare nazionale». In un mondo che da anni lotta con la crisi climatica, la corsa alle carni sintetiche – per ora tenute a bada dalla normativa italiana -, l’avanzata veg e l’arrivo del novel food, a tracciare una linea netta tra un prima e un dopo è stata sicuramente la pandemia da Covid. Nel 2019 il Miac era ancora la Wall Street della carne rossa piemontese, quella filiera che conta 4.200 aziende e 350mila capi, quasi il 22% del mercato italiano di bistecche, battute e fettine. Da allora le transazioni sono scese a 3mila l’anno, con conseguenti perdite in bilancio per i gestori del Miac. «È tanto se a settimana trattiamo 50 capi – precisa il presidente Cavallo -. Gli allevatori lavorano con la grande distribuzione e operano sul web: è un’evoluzione del mercato per essere competitivi».