il Giornale, 19 giugno 2023
Fate uscire Vallanzasca: «È cambiato». L’appello di Pagano
«Renato Vallanzasca è un personaggio fuori dal tempo, quella malavita non esiste più, e lui stesso è cambiato. Seppellirlo in carcere non è rieducazione ma solo accanimento e dolore».
A parlare è uno che conosce bene l’ex boss della Comasina: Luigi Pagano, a lungo direttore di San Vittore, poi provveditore delle carceri lombarde. Fu lui insieme ai magistrati di sorveglianza a aprire il percorso che portò il bel Renè prima a lavorare all’esterno, poi alla semilibertà. Pagano ha letto l’accorata missiva della ex moglie di Vallanzasca, Antonella D’Agostino, che chiede ai giudici di mettere fuori un uomo ormai anziano, malconcio, riportato in cella solo per un furto di mutande. Pagano è d’accordo: «si trovi il modo per farlo uscire».
É sicuro che non sia più pericoloso?
«Sì, ne sono convinto. É un uomo cambiato nel fisico e nella testa. Quando decidemmo che era pronto a accedere ai benefici lo facemmo a ragione veduta, certi che non sarebbe più tornato a fare i crimini di un tempo. I fatti ci hanno dato ragione, non è certo tornato a rapinare banche. Ha rubato un paio di mutande, ammesso che lo abbia fatto davvero».
Ma alle spalle ha gravi delitti, e non ha mai chiesto scusa. Siamo sicuri che dentro sia davvero cambiato?
«Io credo che la pretesa di sapere cosa pensa e sente davvero un altro essere umano sia eccessiva, in fondo non conosciamo del tutto neanche nostra moglie. L’importante è che Vallanzasca non voglia più delinquere, il motivo non deve interessarci. Una volta gli chiesi perchè non avesse mai chiesto scusa alle sue vittime, lui mi rispose: quella è stata la mia vita, non posso tornare indietro, a cosa servirebbe chiedere perdono?».
In carcere come si comportava? Si atteggiava a boss?
«Eh un po’ sì, e una volta bonariamente glielo feci notare: mo’ tieni sessantacinque anni, io ne tengo sessanta, che senso ha? La mia impressione è che fosse come tutti noi schiavo almeno in parte del suo personaggio. Ma questo non ha nulla a che fare con la sua pericolosità, che dovrebbe essere l’unico criterio di valutazione per la concessione dei benefici carcerari».
Vuol dire che Vallanzasca è stato rieducato dal carcere?
«É un termine che non gli piacerebbe, per come è fatto lui. Ma è fuori di dubbio che trent’anni di detenzione lo abbiano cambiato in profondità. Il percorso che avevamo avviato fin da quando era rinchiuso a Voghera, e poi a Opera e a Bollate era basato proprio su questa convinzione, e andò tutto bene. L’unico problema lo creavano i giornalisti che ogni volta che gli trovavamo un posto di lavoro si precipitavano lì per cercare di intervistarlo, e i datori di lavoro non la prendevano bene. Ma lui ha sempre dimostrato con i fatti di non essere più pericoloso, e non credo che l’episodio delle mutande sia idoneo a dimostrare il contrario».