la Repubblica, 19 giugno 2023
L’eredita di Berlusconi come una serie tv
L’Eredità. E se fino a una settimana fa il richiamo più forte del quadrisillabo testamentario si limitava all’omonima trasmissione di Rai 1, dirottata dai lidi del sospetto sinistroide Flavio Insinna verso il porto sicuro di Pino Insegno, premiato per meriti conclamati e pure un poco atreieutici, adesso tutto cambia.
Da quel 12 giugno in cui è fulminata la notizia della scomparsa di Silvio Berlusconi, quella stessa parola è rimasta –more solito – tra politica e spettacolo, ma è tornata anche al suo significato abituale, seppur carica di nuovi e pesantissimi significati. Eredità partitica, infatti e ovviamente, ma anche imprenditoriale, aziendale, finanziaria, perfino culturale. E del resto come tralasciarne sfaccettature ed entità, se il patrimonio che fu del Cavaliere viene valutato da Forbes a 6,8 miliardi di dollari e in mezzo ci sono ville e dimore per centinaia di milioni, quadri – si dice – a migliaia, sebbene non tutti di sommo valore, un bel pezzetto della Borsa italiana sotto forma delle partecipazioni in Mediaset, Mediolanum e Mondadori; e poi panfili e mausolei, velivoli e sfizi da ricchi senza ansia di redditività, come il Monza in Serie A o il Teatro Manzoni di Milano?
Chiamarla Dinasty non si può. Fa subito boomer – prima stagione in Italia nel 1981, presto approdata su Mediaset. In tanti scomodano allora il più recente Succession, e qui ci si sente più al passo con i tempi, anche se troppi particolari non tornano: nessun figlio di primo letto un po’ picchiatello che ambisce a lanciarsi in politica e diventare Presidente come il Connor Roy della serie – i giovani Berlusconi sono stati immunizzati da piccoli, si potrebbe pensare – al posto del figlio ribelle Kendall un ubbidientissimo Pier Silvio, invece della perfida “Shiv”,la composta Marina.
Dunque, bisogna prendere atto che la grande serie a cui tutta l’Italia sta appesa da una settimana – “Scene da un patrimonio”, titolerebbe o probabilmente ha già titolato il sito Dagospia – è una sceneggiatura a sé, dove come in ogni plot del genere che si rispetti, spuntano personaggi che si erano persi di vista da decenni, mentre quelli di cui si pensava di sapere giù tutto vengono illuminati a nuovo. Così nell’attesa che il testamento sia aperto – tra le “new entry” si segnala il custode del documento, il notaio Arrigo Roveda, pure abbastanza spiritoso: «Prima non interessavo a nessuno» – ecco un fioccare di ritratti e caratterizzazioni più o meno sommarie, a partire dalla famiglia.
La primogenita “martello pneumatico”, come da definizione di Silvio Confalonieri, Pier Silvio che dopo il lutto esorta i “ragazzi” di Mediaset: «Da domani, noi facciamo un click e torniamo ad essere un’azienda viva». E ancora, Barbara attorno alla quale spira sempre una certa aria direvanche post defenestrazione non dal Milan, ma del Milan stesso dal perimetro familiare, tanto per evitare complicazioni, l’enigmatica e silente Eleonora, il candido eppur finanziariamente scafatissimo Luigi, che potrebbe riservare più di una sorpresa. Il turbinio tra giornali e Duomo di Milano di ex mogli ed ex compagne: la prima che lascia un affettuosissimo necrologio, la seconda che assiste alle esequie, si suppone anche per essere vicina ai figli, la terza – Marta Fascina - che non si è ancora capito se sia diventata moglie o meno, mentre Francesca Pascale si caratterizza per un penitenziale dolore che la porta a sottoporsi ai riti di una piazza che ormai è la sua antitesi.
E poi il cerchio magico del Cavaliere, in buona parte immobilizzato nella storiografia da quella foto scattata alle Bermuda trent’anni fa che lo vede attorniato in tenuta da jogging dai Confalonieri, dai Gianni Letta che oggi tornano in servizio appena scomparso il fondatore, citando l’ “impegno” preso con la famiglia, dai Marcello Dell’Utri che pur piegati dalla vita e dalle condanne vogliono testimoniare che ci sono. Dagli Adriano Gallianiintercambiabili dal seggio calcistico a quello politico. Assieme a loro altri personaggi di cui si pensava di aver perso le tracce, come quel ragionier Giuseppe Spinelli, che all’epoca aveva a libro paga le celebri “olgettine” e che nel dietro le quinte di Arcore regge le fila di tutte le holding che controllano la Fininvest, o il tributarista Salvatore Sciascia, che siede proprio nel consiglio della finanziaria di famiglia.
Attori e comprimari, tutti misurati in questa storia squisitamente dinastica, dalla distanza rispetto all’uomo che si sentiva e agiva come un sovrano, con tanto di reggia e palazzi accessori: così mentre l’apertura del testamento è attesa nel giro di una decina di giorni – il 29 c’è l’assemblea Fininvest – ci si domanda sì se alla fine si vedranno due rami dei Berlusconi a contendersi il potere, ma anche chi andrà in quella Villa San Martino che con l’ingresso nella cappella delle ceneri del defunto, diventa luogo centrale nel mito fondativo.
Domande per ora senza risposta, a cui tutta la truppa di cronisti e commentatori – e si teme che questo articolo non faccia eccezione replica esibendosi nell’ingrato e assai approssimativo compito di osservare, spiare, provare a decifrare un tanto al chilo, gesti e strette di mano, abbracci dati, ricevuti e mancati, prossemica ed estetica di un gruppo di persone chiuse nel loro dolore eppure consapevoli della necessità di ostenderlo in pubblico, al pubblico.
Sarà così questa “Eredità”, titolo provvisorio e però esatto della serie che non vedremo mai sulle reti Mediaset, ma che si svolgerà tutta proprio in casa Mediaset. Sarà, prima e oltre, la sistemazione di pezzi importanti dell’economia e della politica italiana, anche una grande storia “pop”, un capitolo postumo della “storia italiana” di Silvio Berlusconi a cui forse pure questa ultima sovraesposizione non sarebbe dispiaciuta.