la Repubblica, 20 ottobre 2022
Su "Rheingold" di Fatih Akin
Ci sono storie vere così incredibili, biografie così rocambolesche che è solo questione di tempo prima che il cinema se ne appropri. Rheingold, l’oro del Reno, è il nuovo film del regista turco tedesco Fatih Akin, orso d’oro a Berlino con La sposa turca e autore di Oltre la notte, che ha fatto vincere a Diane Kruger il premio come migliore attrice a Cannes, premiato a Roma con il Kineo. La vita del rapper Xatar è un po’ Gomorra, un po’ romanzo di formazione, un po’ biopic musicale e un po’ storia di riscatto.
Il film inizia nel 2010 in una prigione siriana dove a Xatar propongono un accordo: potranno distruggere il suo passaporto tedesco e offirgli una nuova identità con passaporti diplomatici siriani grazie ai quali l’Interpol non lo troverà mai, l’unica condizione è dire dove è l’oro. "Questo è l’unico oro che ho" dice Xatar mostrando un dente ricoperto, arriva subito qualcuno a strapparglielo con una pinza. Il presente si mescola col passato e i suoi ricordi di bambino quando il padre musicista curdo era stato imprigionato a Bagdad dopo essere sfuggiti dall’Iran, presa dai talebani. "Non conoscevo bene la musica di Xatar, sapevo che era un esponente del cosidetto gangsta rap tedesco e sapevo di questo incredibile furto d’oro ma non molto altro. Amici comuni ci hanno fatto incontrare e ho letto la sua biografia la cui prima frase è ’I primi ricordi della mia vita sono quelli in prigione’ - ha spiegato a Roma il regista. "Da queste prime parole sono rimasto agganciato in un’incredibile storia di migrazione: una famiglia dell’élite iraniana che scappa e nel momento in cui riesce ad arrivare in Germania i genitori si separano. Lui diventa l’uomo di casa e per trovare i soldi per aiutare mamma e sorella diventa un criminale, poi finisce per registrare un disco in carcere. In tutti i miei film c’è una prigione ma realizzare un disco in prigione è qualcosa di straordinario. Oltre a leggere la sua autobiografia durante il lockdown abbiamo fatto lunghe sessioni su Zoom in cui io, come un giornalista, gli ho fatto tantissime domande. Dal libro e dalle nostre conversazioni è nata la sceneggiatura per il film".
Il film ripercorre la storia di Giwar Hajabi, vero nome di Xatar, dalla fuga dei genitori da Teheran attraverso la resistenza sulle montagne curde, il coraggio della madre che pur torturata non spiffera i nomi dei compagni della resistenza, l’arrivo in Iraq, la faticosa marcia verso la Francia tramite la Croce Rossa e poi infine l’arrivo in Germania, a Bonn. Dove la madre finisce a fare le pulizie nella casa della professoressa di musica da 40 franchi l’ora per permettere al figlio di imparare a suonare il piano e dove il padre - una volta riconquistato il suo ruolo di direttore d’orchestra - lascia la famiglia. Giwar è un giovane ragazzo pieno di talento ma la rabbia nei confronti del padre e la vita nel ghetto lo trasforma in un piccolo criminale, spacciatore che esce e entra dal carcere, quando si trasferisce in Olanda per studiare business musicale finisce nuovamente nei guai lavorando per un boss locale, perdendo il suo carico di cocaina e lanciandosi in una rapina da film a un portavalori di lingotti d’oro.
Da questo e dall’opera di Wagner che padre e figlio ascoltano appena arrivati a Bonn viene il titolo del film. "È chiaramente un titolo ironico - dice Akin - Non mi sento vicino a Wagner che fa parte dell’élite tedesca, che era il musicista preferito da Hitler. Qui invece c’è una nuova epopea perché, va detto, oggi il gangsta rap è la vera voce dei poveri, degli oppressi, una voce che si può far risalire fino ai tempi della Mesopotamia. È facile dire "tutti hanno un’opportunità", se vivi nel ghetto non hai tutte queste strade per uscirne; puoi diventare un criminale, uno sportivo o un artista se hai la fortuna di avere buoni insegnanti. Con questo film ho voluto rompere un cliché".
Chiediamo a Akin se un film su un gangsta rapper può essere un modello pericoloso di emulazione per dei ragazzi giovani il regista risponde: "La musica hip hop è il modo in cui ho imparato l’inglese attraverso le canzoni, non conoscevo il gangsta rap, ma fare questo film mi ha messo in connessione la voce della povertà e il messaggio dei più deboli, nella tradizione della folk music di Woody Guthrie e Bob Dylan. I criminali nel mondo c’erano prima che ci fossero i film problemi, questo è il motivo per cui ho problemi a credere che certi ritratti o storie portino a quelle conseguenze. So che sono temi controversi, difficili da dimostrare. I criminali sono più vecchi della cultura pop, non so qui ma in Germania è molto difficile convicere le persone con i soldi pubblici a investire in un film sul gangsta rap. Ho dovuto spiegare che stavamo raccontando la storia di persone curde in Iran che emigrano in Germiana. Puoi fare film sui serial killer e Hitler ma nel momento in cui vuoi raccontare un gangsta rapper immigrato allora ci sono problemi. Mi sembra che siamo di fronte a un razzismo tedesco difficile da capire. Perché se io vedo un noenazista skinhead lo riconosco e cambio strada, ma più difficile riconoscere un altro tipo di razzismo nella società. L’hip hop è il messaggero, non attaccate il messaggero ma attaccate il problema".