la Repubblica, 18 giugno 2023
Intervista a Francesca Comencini
Col suo cinema ha indagato la realtà, in tv ha riletto il western. «È un genere che può contenere spunti infiniti, con cui raccontare la società», dice Francesca Comencini, premiata col Nastro d’Argento speciale per la direzione artistica diDjango, la serie (disponibile on demand su Sky e in streaming su Now), che rilegge in chiave contemporanea il cult movie di Sergio Corbucci. In autunno tornerà sul set per girare il suo film più intimo (prodotto da Marco Bellocchio e Simone Gattoni), forse il più importante e personale. «È dedicato al cinema e alla figura di mio padre Luigi Comencini. È arrivato il momento. Ma è presto per parlarne».
Ha rotto i tabù rileggendo un western cult, con un antieroe refrattario al potere. Che sfida è raccontare i conflitti del nostro tempo attraverso il western?
«La sfida era raccontare un eroe, un uomo che è stato deludente, fragile e non ha saputo mantenere la parola ma che vuole riparare, e di fatto è il cuore del progetto – anche se ci sono fortissimi personaggi femminili.
Andare a indagare dentro un genere che più di tutti ha esplorato la virilità e mostrare la fragilità maschile, credo che sia la cosa più innovativa e necessaria. Considero il Nastro il riconoscimento a una squadra, David Evans e Enrico Artale, con passione ci siamo dannati per fare la serie più bella possibile».
Cosa la incuriosiva?
«Capire quali possono essere i canoni e i codici, per gli uomini, di stare nei cambiamenti delle relazioni umane e sentimentali rispetto alla forza della donne. Si dovrebbero interrogare.
Ringrazio Sky e Cattleya per il coraggio».
Ha detto che gli spaghetti western hanno contribuito alla sua formazione, anche politica. In che senso?
«Nel senso che all’epoca li vedevamo come film di ribelli. Una delle cose meravigliose del western è che è un genere che dalle sue ceneri rinasce».
New Babylon era il luogo dell’accettazione e dell’inclusività, che oggi fanno paura.
«Era stato fondato da chi aveva vinto la guerra, aveva combattuto per la libertà degli schiavi e si era reso conto che la libertà non era applicata. E poi c’è il tema di imparare ad accettare un mondo che ne contenga molti».
Con questo governo, è un tema attuale.
«Tutti i cambiamenti avvengono per colpi e contraccolpi: che l’inclusività possa generare paure, anche legittime, è una cosa. Togliere i diritti, creare una società con cittadini di serie A e di serie B, un’altra».
Con i suoi film ha esplorato la realtà: la tossicodipendenza, la storia di Carlo Giuliani, il mobbing, il lavoro in fabbrica. Oggi cosa le piacerebbe raccontare?
«Tante cose. La narrazione scomoda,anche di cose non rassicuranti, per il lavoro che faccio, è la forma più potente di denuncia».
Immergersi nel clima del paese, fotografarlo, fa paura?
«A me piace, mi appassiona. Mi fanno paura la rimozione, voler cancellare la memoria, gli slogan. Immergersi nella complessità è bellissimo»
Chi sono stati i suoi maestri?
«La mia maestra è stata Elsa Morante. Il senso che dà alle piccole vite, pensi aLa storia,è potente. Ed è una scrittrice che ha trovato sempre il modo di raccontare il mondo mantenendo la sua scommessa totale sulla poesia. E poi, sembrerà scontato, considero un maestro mio padre, non solo come regista. Dal punto vista umano».
C’è una frase bella e amara nel film “La terrazza” di Ettore Scola: “Coraggio, il meglio è passato”. Le è mai capitato di pensarlo?
«No, mai. Io sono contro la nostalgia e penso che si debba pensare che il meglio debba ancora venire, ne abbiamo la responsabilità. Per me la memoria è il contrario della nostalgia. Ecco, considero un maestro anche Scola, lo adoro. Di maestre e maestri in Italia ne abbiamo avuti tanti».
Troppo spessi dimenticati. È stata un’autrice appassionata, passati i 60 anni la passione resiste o è disillusa?
«Sono la stessa, anzi sono peggiorata: cerco di fare ogni cosa come se fosse la prima – e l’ultima – come se fosse l’occasione della vita. L’esperienza e la saggezza che vengono con l’età, in me sono accompagnate dall’ingenuità».
Dodici anni fa ha scritto “Famiglie” un romanzo sulle famiglie allargate. Che pensa della battaglia per i diritti?
«Trovo tremendo il vento che soffia sui diritti, sulle vite delle persone. Le e problematiche non vanno negate, esistono, ma la mia idea è che possa esserci un’enorme arca di diritti diversi, che sono stati conquistati e vanno difesi a tutti i costi».
Elly Schlein ha detto: “Non ci hanno sentito arrivare”. Ha mai avuto la stessa sensazione?
«La sento molto mia questa frase.
Non hanno sentito arrivare neanche me, tant’è che è il primo Nastro d’argento che vinco nella vita e ho lavorato sempre con fatica. Mi piace che ci sia una donna segretaria del Pd e penso che bisogna darle tempo».
Si deve dare tempo anche a Giorgia Meloni?
«È stata legittimamente eletta, bisogna riconoscerlo sempre; dopo di che ho idee molto diverse dalle sue».
È mamma di tre figli, ed è nonna: è fiduciosa sul futuro?
«Per le cose che abbiamo detto, sono preoccupata. Penso che bisogna uscire, impegnarsi e proprio per essere fiduciosi sul futuro, curarlo e vigilare».