La Stampa, 18 giugno 2023
Il calcio violento sui social
Bersagli mobili. Gli atleti attirano insulti, i calciatori più degli altri e in un singolo Mondiale, in un mese di partite, le 32 squadre presenti in Qatar hanno ricevuto almeno 19.636 post scritti per ferire e destabilizzare: offese che a loro volta hanno generato milioni di commenti, 287 mila cancellati prima di arrivare al destinatario, 434 mila pescati dall’algoritmo e messi sotto analisi grazie al sistema elaborato dalla Fifa e dal sindacato Fifpro per affrontare il problema. Perché di questo si tratta, di una piaga, di un grosso, grasso e viscido guaio, non è banale rumore di fondo.
Ora che ci sono per la prima volta dei dati certi, esiste anche la definizione di un mondo fino a qui liquidato come inevitabile contorno di ogni evento pubblico, ombra molesta di qualsiasi personaggio conosciuto. I social lasciano viaggiare il meglio e il peggio in libertà, flirtano con l’anonimato e sono canali ideali per gli sfoghi dei frustrati e dietro questa semplice, scontata, constatazione, si è sempre chiuso il dibattito. Solo che è troppo facile dire che nulla si può fare, che la nostra società ringhiosa si manifesta così e quella fetta più o meno larga di blateratori seriali impegnati a diffondere violenza, razzismo, sessismo, a infangare credi e immagini è l’incancellabile percentuale di stolti. Dal vivo non avrebbero il coraggio, online esagerano, vero, ovvio pure questo. E molto meno tranquillizzante di quanto sembra. Aumentano e con loro lo schifo che producono, immondizia confezionata da parti precise del mondo, uscita da profili che, impegnandosi, diventano pure tracciabili. La fotografia dettagliata concede di decodificare nickname e fesserie, di dare una nazionalità, una frequenza, di individuare tipologie, reati: 300 protagonisti del Mondiale hanno subito il razzismo via social.
I numeri raccolti dicono che la piattaforma più usata da chi vuole insultare è Twitter, che più si va avanti nel torneo e più le provocazioni si fanno crudeli, che il peggio arriva quando partono i rigori e davanti all’errore non c’è pietà. Chi sbaglia non si prende dell’idiota, viene sommerso da attacchi discriminatori e verso ogni fronte: nazione rappresentata, nazione di origine, nazione del campionato di appartenenza, sesso e sessualità, genere, omofobia spinta, islamofobia massiccia. Un catalogo degli orrori in cui entrano sproloqui a tema disabilità, antisemitismo e il livello di ferocia sale.
La partita più abusata è Inghilterra-Francia, quarti di finale in cui escono gli inglesi e vanno avanti i francesi destinati a diventare i più massacrati. E più le eliminazioni si fanno dolorose, più alcuni singoli diventano target, facce ideali sulle quali dirigere esplosioni di meschinità. Talenti che se parano diventano eroi e se sbagliano vengono divorati dalla cattiveria. C’è chi lo fa per solitudine, chi per noia, per aumentare la propria cerchia, per farsi notare pure senza faccia o nome.
La maggioranza del marciume arriva da Europa e Sudamerica, i due continenti originano il 74 per cento del totale delle ingiurie, Africa e Nordamerica si fermano all’8 per cento dei mandanti, l’Asia ne genera il 10 per cento. Ognuno degli 864 giocatori monitorati (insieme agli arbitri e a altre figuri ufficiali) raccoglie epiteti specifici e continui, alcuni si sarebbero trovati in una tempesta di aggressività se avessero letto ogni frase vomitata per colpirli. Tik Tok si muove ancora poco in questo massacro, anche se in generale le piattaforme fanno pochissimo per limitare i danni. Qualcuno ha anticorpi minimi e i cinguettii di Musk rivendicano la libertà assoluta. La Fifa ha avviato il sistema e lo userà anche per il Mondiale femminile che parte il 20 luglio in Australia e Nuova Zelanda.
Le cifre escono nel giorno che le Nazioni Unite hanno scelto per manifestare contro l’Hate Speech e a distanza ravvicinata dall’incontro tra il capo del calcio Infantino e l’attaccante del Real Madrid Vinicius, il più colpito dalla discriminazione in questa stagione. I dati e i “buuu” si incrociano, il virtuale e il reale si alimentano e gli imbecilli abbandonati a loro stessi fanno danni. Però se si possono cancellare in tempo reale messaggi xenofobi che partono dai computer in ogni angolo del mondo, deve essere possibile zittire il settore di uno stadio. E se lo stadio diventa intero, meglio smettere, fermarsi, come ha chiesto Ancelotti dopo l’ultimo Valencia-Real, e togliere un peso a chi non è tenuto a sentirsi vulnerabile solo perché la società è fatta così. Le società cambiano se spinte a farlo. —