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 2023  giugno 18 Domenica calendario

Intervista ad Anthony Fauci

«Non è ironico che io abbia contribuito per più di mezzo secolo a salvare milioni di vite e che ci siano lì fuori persone da cui mi devo difendere?». Anthony Fauci ha 82 anni, una moglie – Christine Grady, esperta in Bioetica – che lo rassicura, dopo la lectio magistralis e la laurea honoris causa ricevuta dal rettore dell’Università di Siena Roberto Di Pietra: «Il discorso era perfetto», e una serie di agenti federali si aggirano nei corridoi del rettorato per garantire la sua sicurezza. La galassia No Vax si è data appuntamento qui, in uno dei centri del sapere più antichi del mondo, per cercare di rovinare la visita di Fauci al Biotecnopolo diretto dal professor Rino Rappuoli, di cui sarà consulente, e la grande festa organizzata dall’Università per il Graduation day. Ma non è riuscita a ostacolare nulla. Del resto, lo scienziato non è tipo da desistere davanti a una protesta. «Negli Stati Uniti hanno arrestato due persone armate che stavano venendo da me. Per fortuna non ce l’hanno fatta».
I suoi nonni paterni erano di Sciacca, in Sicilia, quelli materni di Napoli, lei è nato e cresciuto a New York, ma dice di sentirsi italiano.
«Totalmente. Nel quartiere dove sono cresciuto, a Brooklyn, quando a 10 anni giocavo per strada, il 99 per cento dei miei amici aveva genitori appena arrivati dal vostro Paese, o nonni che lo avevano fatto qualche anno prima. Era come camminare per queste strade Sono cresciuto dentro questa cultura».
Si è dimesso pochi mesi fa dal Nih, l’istituto nazionale di sanità americano. Come mai?
«Ci ho lavorato per 54 anni e mi sono dimesso il 31 dicembre scorso. Sono stato abbastanza fortunato da essere il direttore dell’istituto per 38 anni, sono stato il consigliere di sette presidenti, da Ronald Reagan a George H. W. Bush, poi Clinton, George W. Bush, Obama, Trump e ora Biden. Già tempo fa avevo deciso che avrei voluto passare almeno due anni lontano dai doveri del governo federale, per fare cose che quando servi il Paese non puoi fare, come scrivere un memoir».
Lo sta scrivendo?
«Sì, volevo farlo prima di essere troppo vecchio, e mentre sono abbastanza in forze».
Nessun senso di delusione, di sconforto, per le accuse di questi anni nei confronti della scienza?
«Salutandomi il presidente Biden mi ha definito uno dei più importanti servitori dello Stato della storia del Paese. Cosa potrei chiedere di più?».
Nella lotta al Covid, di cui è diventato un simbolo, ci sono stati anche momenti duri.
«Una delle cose di cui vado più orgoglioso è il programma sviluppato su mandato di George W. Bush per contrastare l’Aids in Africa. Ero stato inviato lì per capire se ci fosse qualcosa che gli Stati Uniti potessero fare. Sono tornato convinto che fosse possibile, ma che servissero tanti soldi. Il presidente mi disse: penso io al denaro, tu pensa al programma. Abbiamo speso 15 milioni di dollari in 5 anni e fatto in modo di prevenire l’infezione in 2 milioni di persone. Sono passati 20 anni ed è stato stimato che gli Stati Uniti hanno speso 100 miliardi di dollari salvando 25 milioni di vite. Per cui quando mi chiede cosa provo quando dei pazzi lì fuori dicono “Non vaccinatevi, i vaccini ci stanno uccidendo, tu hai fatto i vaccini, hai ucciso un sacco di persone”, penso sia dannatamente ironico e faccio in modo che non interferisca con la mia vita».
Però è preoccupato. Nella sua lectio sul Covid ha citato Yogi Bera: “Non è finita finché non è finita”.
«Sono preoccupato per l’integrità dei Paesi democratici. Quando puoi mentire spudoratamente, quando le persone considerano le verità alternative qualcosa di normale, quando puoi dire qualsiasi cosa contro ogni evidenza senza alcuna conseguenza, le persone sono confuse, la scienza non basta a convincerle».
Per questo ha contraddetto Donald Trump in diretta, senza preoccuparsi delle conseguenze?
«Ho dovuto farlo perché quel che diceva era completamente falso. “Non preoccupatevi, il Covid non vi farà niente, prendete l’idrossiclorochina”. Non c’era alcun fondamento scientifico in quelle parole, smentirle era una mia responsabilità di fronte agli americani e di fronte al mondo».
Così è diventato un bersaglio.
«Da allora un enorme numero di persone di estrema destra mi ha identificato come nemico. In quel momento avevo pensato: magari mi licenzia, ma devo parlare. E sa qual è il bello? Trump non mi ha licenziato, ha continuato a comportarsi come se gli piacessi, “Ehi Anthony amico mio”, ma nel frattempo i suoi uomini cercavano di screditarmi. Solo quando ha perso le elezioni anche per lui sono diventato il “bad guy"».
Come mai i repubblicani sono più scettici dei democratici davanti alle ragioni della Scienza?
«Non è sempre stato così. Le ho raccontato di George W. Bush che era un repubblicano conservatore, ma lottò contro l’Aids seguendo la scienza. Il problema è che il partito repubblicano oggi in America è ostaggio dell’estrema destra».
Ostaggio di una minoranza?
«Proprio così. Sono al massimo il 30 per cento degli americani, ma agiscono come una forza di blocco. A causa loro, un candidato moderato non supererà mai le primarie. Grazie a questo nocciolo duro, è probabile che Donald Trump si ricandidi di nuovo nonostante le inchieste. Sono convinto che lo farà».
In molti Paesi, anche in Italia, è stata la destra a osteggiare le misure più dure contro la pandemia.
«C’è una questione economica. Negli Stati Uniti i repubblicani avevano come priorità salvare l’economia, non salvare vite. Poi c’è un altro aspetto: l’estrema destra è intrisa di libertarismo. “Non puoi dirmi di vaccinarmi, di indossare una mascherina, di non frequentare luoghi affollati, faccio quello che voglio”. L’individualismo portato all’estremo ha eroso il principio di autorità».
Per questo gli Stati Uniti hanno fatto peggio di molti altri Paesi, anche meno avanzati, nella lotta al Covid?
«Perché sono un Paese enorme, con Stati che hanno libertà di azione su molte cose, non esiste solo il livello federale. Sono frammentati e hanno reagito dividendosi. In più, ci sono profonde diseguaglianze tra la popolazione, le persone più povere, gli afroamericani, si sono ammalati di più, sono morti di più perché hanno condizioni di salute di partenza peggiori e vivono in condizioni igienico-sanitarie peggiori. Non abbiamo un accesso universale al sistema sanitario nazionale che garantisca tutti e questo è il primo dei problemi».
Come si fa a evitarlo, la prossima volta? Le avranno chiesto consiglio su questo.
«Per risolvere la questione serviranno decenni di impegno in questo senso, ma nell’immediato quel che bisogna fare è non dividersi. Se usiamo la metafora della guerra, davanti a un nemico le persone devono unirsi per fronteggiarlo. Noi invece abbiamo combattuto gli uni contro gli altri. Era inevitabile che andasse malissimo. Abbiamo perso oltre un milione di vite negli Stati Uniti, nonostante siano un Paese estremamente avanzato e ricco, anche per questi errori. Non è accettabile».
Ma oggi siamo più preparati?
«Lo spero. Ci sono cose che abbiamo imparato e che abbiamo fatto molto bene. L’approccio scientifico, gli investimenti medici, la capacità di produrre vaccini molto più velocemente di quanto non fosse mai successo».
Lo ha mostrato: 105 anni per il vaccino contro il tifo, 47anni per la poliomelite, 11 mesi per il Covid.
«Perché eravamo preparati dal punto di vista scientifico, ma non lo eravamo sulle strategie di salute pubblica. Sono quelle che dobbiamo rafforzare».
Per questo la preoccupa l’anti-scienza?
«Cattiva informazione e disinformazione sono i nemici della salute pubblica. Non dobbiamo lasciare che accada di nuovo, dobbiamo trovare delle contromisure. I social media diffondono fake news alla velocità della luce, le persone si affidano solo alle loro echo chambers, che siano Fox News o una chat on line, e la cattiva politica ci salta su: vede un gruppo di persone pronte a credere a qualsiasi cosa contro ogni evidenza e le usa per i suoi interessi. È esattamente quello che ha fatto Trump».
Quando Sabin scoprì il vaccino contro la polio no volle metterlo a profitto. Le case farmaceutiche non avrebbero dovuto fare lo stesso col vaccino anti-Covid?
«I margini di guadagno delle case farmaceutiche servono alla ricerca e agli investimenti. Quel che si poteva fare, era offrire il vaccino ai Paesi in via di sviluppo a prezzi molto moderati, gratuitamente o quasi».
Non è stato fatto.
«No».
Ha lodato le istituzioni italiane per la loro trasparenza nella prima fase della pandemia. La Cina non è stata e non è altrettanto trasparente.
«Certamente no. Ho a che fare con la Cina da decenni e quel che mi colpisce è che sono opachi anche quando non hanno niente da nascondere».
In questo caso hanno responsabilità da nascondere?
«Questo davvero non lo so». —