Robinson, 17 giugno 2023
Su "Mahmoud o l’innalzamento delle acque" di Antoine Wauters (Pozza)
Con la “rivoluzione correttiva” ( il colpo di Stato) del 13 novembre 1970 Hafiz al- Asad prese il potere in Siria. Dal ’ 48, se ne succedevano i tentativi ( una cinquantina, in effetti); per trent’anni Hafiz diede invece stabilità al paese ( di arabi, curdi, turcomanni, assiri, circassi, armeni, greci, persiani, albanesi, bosgnacchi, pashtun, russi e giorgiani: per due terzi sunniti e, per un decimo, cristiani – ma Hafiz proveniva dalla minoranza musulmana alauita, sciita): permanenza al potere garantita dall’assetto monopartitico, e la repressione dell’opposizione (la più nota è la strage della città di Hama). Il consenso (le percentuali alle votazioni superavano misticamente il 97%) fu fondato su alcune riforme infrastrutturali, prima fra tutte la diga di Baqta, costruita in terra sull’Eufrate: 4 chilometri e mezzo per 6 metri di altezza; completata nel 1973, lasciò formarsi lentamente il bacino che rifornì di acqua e energia idroelettrica la regione - il lago di Asad.
Ci furono all’epoca dei documentari, che hanno ispirato oggi un romanzo di culto, Mahmoud ol’Innalzamento delle acque del giovane scrittore belga Antoine Wauters ( tradotto da Stefania Ricciardi, preziosa per la resa prosodica, per Neri Pozza). Già nel 1970 le riprese mostravano, con allegro sfondo di canto arabo, la costruzione della diga del progresso, le gru immani, e poi il breve silenzio delle preghiere, tutti, ingegneri e manovali, che si inchinavano sul deserto. Gli operai che impastano la terra, alla domanda «quanto lavori al giorno?» rispondono «sei metri”, senza fermarsi. Le donne ancora allattano bimbi grandicelli, ma animali selvaggi e da allevamento vengono via insieme, e gli uomini sugli asini. L’acqua comincia a salire.
Emozionato in particolare dai film frugali e strazianti del regista Omar Amiralay, Antoine Wauters racconta lo strazio del villaggio inondato, nella regione che accoglie le città più antiche del mondo, nella forma di un mirabile canto in versi liberi. Parla un vecchio siriano, Mahmoud, che sta per immergersi nel lago che ha ricoperto il suo mondo: si sistema il boccaglio e si butta, agita piano le pinne per tenersi in verticale nelle acque superficiali piene di rifiuti;poi in apnea affonda verso il suo paesaggio perduto, aggirando il minareto della grande moschea, bellissimo nelle scie verdi e oro della sua torcia. Nel “ dehors” del caffè Farah, dove invano si cercava un tavolo libero, scivolano banchi di pesci. Più giù, dove Mahmoud non riesce a scendere, ci saranno le tende azzurre, le stoviglie e i vetri rotti di casa, e quasi vede la madre che gli sorride. Mahmoud deve risalire alla luce, verso la pancia delle rane, e quella lucida dei sacchetti di plastica; intanto trae in salvo una farfalla appesantita dall’acqua. Il rimpianto è troppo forte, capisce i figli che hanno imbracciato le armi. Mahmoud è stato poeta del regime – ha cantato il saggio Presidente padre del popolo, « un autentico arabo, è contro l’ingiustizia contro la corruzione» – eppure è stato torturato per tre anni, carcerato dal 1987 al ’90. E sta invece così bene ora, col capanno sul lago, e la barchetta che gli consente di andare a trovare il suo passato, che sarebbe annegato comunque.
È stato un poeta dunque Mahmoud, e oggi Antoine Wauters dichiara che non ha potuto scrivere questa storia – che si dilata a cronaca di tutto il paese sotto la dinastia Asad – se non in versi liberi. Finalista, con Mahmoud o l’innalzamento delle acque, in 17 premi letterari e sette volte premiato, Wauters ha già praticato forme di scrittura miste tra prosa e poesia; è scrittore impegnato, e gran marciatore – se non camminassi, confessa, scriverei libri ancora più arrabbiati.
I passaggi più virulenti qui sono contro l’Oculista, il secondogenito di Afiz, che studia a Londra in un grande appartamento in Hyde Park pagato dal regime, tirocinante d’ospedale di cui tutti hanno un buon ricordo, e che il caso – l’incidente d’auto mortale del fratello maggiore – riporta in patria a metamorfosarsi in capo politico; i suoi sicari spegneranno le sigarette negli occhi ai dissidenti, infilato topi nella vagina delle donne, strappato le corde vocali ai rivoltosi detti “ galletti canterini”. Mahmoud non è caduto nell’illusione della Primavera araba («Ci incamminiamo verso la primavera / come verso un’ampia tenda funebre » ; le parole come retini acchiappafarfalle per le cause perdute). La diga, in preda, fino al 2017, all’incuria dell’Isis, è a rischio. Ma non è la massa pericolosa che preme sulla base della diga a pesare sul cuore di Mahmoud, ma i polmoni vuoti delle immersioni. «Qui sotto » ( dice, indicando il fondo della barchetta) c’è il dattero e le stuoie dove il padre giocava a scacchi con gli amici, come sagome del mitico teatro d’ombre di Damasco. E di nuovo Mahmoud respira il profumo della casa, odori d’anice e di sterco fresco, della strana polvere per il bucato steso al sole sulla pietra del forno, dei datteri lasciati a seccare sotto il pendolo a cucù del nonno, nella «dolcezza immensa del tempo di cottura dei polli di Khamssieh» (il vicino) e nel sentore «della loro marca di dentifricio, sempre la stessa, in tutti quegli / anni».