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 2023  giugno 18 Domenica calendario

Intevista a Stefano Pio (parla di suo padre e di Battiato)

Giusto Pio e Franco Battiato hanno trovato insieme l’alba prima dell’imbrunire. “A partire da un pomeriggio di metà anni Settanta, quando Franco ha citofonato a casa nostra e da lì è iniziato il loro rapporto simbiotico”.
Pio e Battiato tra note in libertà, estetica, discussioni sulle avanguardie, il violino, il pianoforte, i concerti improvvisati prima, i successo pop dopo. Una magia raccontata tra le pagine scritte dal figlio di Pio, Stefano, nel libro Uno sguardo dal ponte; pagine di chi ha assistito, a volte partecipato; di chi si è fatto compenetrare dalle creazioni dei due, ne ha goduto consapevole e consapevolmente intende trasmetterle: “Ho sentito la responsabilità di offrire una testimonianza che avesse un valore documentale; mi sono accorto che con il passare del tempo il perimetro della collaborazione tra papà e Franco veniva sempre più sbiadito, con mio padre nel totale oblio”.
Erano un po’ come Mogol e Battisti.
È così, come loro hanno percorso un lungo tratto di strada insieme, il periodo più formativo e popolare.
Il primo incontro tra i due.
Sia io che mia sorella avevamo appena finito di frequentare il liceo Manzoni di Milano, un liceo molto attivo per scioperi e occupazioni e in questo contesto avevamo assistito a un happening di Battiato; (sorride) lui era arrivato nell’istituto con il viso totalmente pitturato di bianco, vestito in maniera particolare; poi avevamo partecipato ai Festival del Parco Lambro a Milano.
E da lì…
Abbiamo saputo che Ballista, bravissimo pianista e insegnante di Battiato, voleva presentarlo a mio padre per alcune lezioni di violino; (cambia tono) papà al tempo era considerato un violinista sui generis.
Tradotto?
Sempre stato particolare nei suoi gusti e nel suo modo di proporsi, nell’ambiente spiccava per originalità.
Sul piano estetico sembra un perfetto borghese.
Ma infatti si muoveva comunque all’interno di canoni classici; insomma a papà non interessava Battiato, ma grazie all’insistenza di Ballista, associata alla curiosità mia e di mia sorella, alla fine ha ceduto; (silenzio) non vedevamo l’ora, noi chissà cosa immaginavamo, quale stranezza.
E invece?
Franco si presentò tutto tradizionale con il suo cappottino grigio spinato. Formale.
Rispettoso.
Cercava di non urtare la sensibilità di mio padre; (cambia tono) papà proprio non voleva dargli lezioni, troppo impegnato, ma insistette tantissimo. “Va bene anche una sola volta la settimana, magari la domenica”. E papà: “La domenica sto con la famiglia, andiamo in gita”. “Allora solo le domeniche quando piove e restate in casa”. Accettò. E venne ogni domenica.
Simbiosi.
Cominciarono a confrontarsi sul terreno dell’estetica musicale, con affinità fortissime, pur provenendo da esperienze artistiche opposte.
Entrambi poco appassionati di Stockhausen…
Questo è uno dei motivi del libro: ormai assisto a molti tentativi di assimilazione ideologica secondo un ordine prescelto che ha un’ispirazione contraria; ho voluto smarcare l’esperienza sperimentale avanguardistica di mio padre e di Franco da quella che è l’avanguardia sperimentale accademica.
Già questa sua frase è puro Battiato.
(Sorride) Non aveva niente a che spartire con Stockhausen e nella prima parte del libro ho dedicato varie pagine al vero posizionamento ideologico e musicale.
Qual è stato il punto di svolta nel rapporto tra i due?
Quando mio padre si rese conto dell’eccezionalità di Franco nonostante la sua scarsa tecnica; riusciva a tradurre risultati sonori interessantissimi. A quel punto iniziò il confronto, uniti dalla condanna verso la sperimentazione accademica, chiusa in una torre d’avorio e senza contatti con il pubblico.
Nel libro racconta che Battiato aveva difficoltà economiche.
Aveva pubblicato due dischi di discreto successo, Fetus e Pollution, circa ventimila copie ognuno, però Franco era molto ingenuo con soldi e contrattualistica, quindi doveva stare attento a come spendeva; (sorride) sono bellissime le storie delle tournée dell’epoca, ho racconti diretti di musicisti presenti poi diventati miei amici.
Tipo?
Erano talmente indigenti da viaggiare con un furgone bianco scassato e a volte il cachet della serata era così basso da non consentire un albergo, quindi dormivano per terra, all’aperto, con gli strumenti al riparo dentro il benedetto furgone.
Vero bohémien.
(Ci pensa) Franco poteva suonare tutto, se non avesse avuto a disposizione un sintetizzatore avrebbe potuto creare le sue magie pure con una bacchetta e un barattolo di fagioli; (sorride) quando mio padre scoprì il suo stato di indigenza non volle più i soldi delle lezioni e la domenica tirava lungo per poi invitarlo a pranzo.
Non aveva difficoltà a “tirare lungo”.
Macché, erano avvolti dall’esigenza di portare all’altro la propria esperienza; (cambia tono) e pensare che prima di conoscere Franco in casa nostra era proibito ascoltare musica leggera.
Un cantante proibito.
Dopo Sanremo mia sorella ascoltava la radio; un giorno papà entra in casa, sente quella musica e inizia a urlare: “Spegni quella roba! Devo riposare le orecchie…”.
Lei li capiva quando parlavano?
Solo perché sono cresciuto in mezzo alla musica, mentre mia sorella e mia madre non tenevano il passo.
Suo padre ha dichiarato: “Per vent’anni la mia vita si è intrecciata e confusa con quella di Franco”. Non era un po’ geloso?
(Sospirone) All’epoca no, come tutti i ragazzi cercavo di staccarmi dalla famiglia, però con il senno di poi Battiato ha assorbito una grande fetta della nostra vita familiare, per certi versi è stato un altro figlio di mio padre, un fratello ideologico; (silenzio, poi ci ripensa) anche io prendevo lezioni di violino da papà, ma con Franco era un generale “va bene, bravo”; con me era di una cattiveria mostruosa.
Perché?
La risposta? “Tu dovrai affrontare un carriera professionale nel campo della classica, lui no”.
Si stupì nel vedere suo padre sul palco con Battiato?
Fu un passaggio graduale; Franco, in maniera intelligente, iniziò a coinvolgerlo nei concerti improvvisati del tempo: per Battiato le improvvisazioni avevano un valore musicale superiore ai concerti con partitura codificata.
Improvvisazioni totali?
Non del tutto, prima decidevano una sorta di canovaccio, però così Franco aveva maggiore libertà di creare; ho ripreso in mano l’archivio di mio padre, sterminato, e ho trovato concerti straordinari, finiti i quali c’era sempre il dibattito con il pubblico.
Ha pure i dibattiti?
Sì, e in quei momenti venivano chiariti tutti i punti del concerto e il pubblico era molto partecipativo.
Contestazioni?
Tantissime; dopo appena quattro o cinque lezioni di violino, Franco decise di salire su un palco per un’improvvisazione. Questa storia lo stesso Franco l’ha nascosta per anni.
E…
Voleva presentare un’improvvisazione sui barriti dei dinosauri, con il pubblico interdetto nei primi cinque minuti, dopodiché gli tirarono addosso di tutto tanto da costringerlo a scappare dal retro del teatrino; oppure un concerto a Milano, altra improvvisazione di diciotto minuti su un accordo unico, al momento dell’accensione delle luci Franco è sceso dal palco ed è andato ad affrontare, uno a uno, i contestatori con la frase: “Perché sei venuto a questo concerto?”. E da lì la discussione.
E suo padre davanti a tutto questo?
All’inizio non voleva neanche salire sul palco, poi Franco lo ha convinto e dopo un po’ ha scoperto di divertirsi talmente tanto che lo stesso Battiato gli doveva assestare calci per farlo smettere; in un’occasione lo ha lasciato solo, se n’è andato dietro le quinte, e papà continuava a suonare.
Battiato e suo padre cosa cercavano?
Un suono, una sonorità in grado di collegarsi immediatamente all’animo di chi ascolta.
Lei ha aperto a Battiato le porte dell’India…
All’epoca già ci ero stato, però Franco ci è arrivato mentalmente da solo; (sorride) al ritorno dal mio primo viaggio, ero così dimagrito che i miei genitori fecero fatica a riconoscermi. Poi avevo riportato alcune cartoline con sopra le divinità colorate; l’ultima rimasta, la più bruttina, era un cinghiale bianco…
Proprio ne L’era del cinghiale bianco c’è uno degli attacchi di violino più famosi di suo padre: è uno dei suoi preferiti?
Quello che amo di più è in Luna indiana; per l’album L’era del cinghiale bianco avevano preparato sei pezzi, ma la casa discografica ne pretendeva almeno sette, così nell’urgenza inventarono proprio Luna indiana, brano creato in una notte sul mio pianoforte, con me costretto a dormire sul divano.
Insieme quanto si divertivano?
Uh, moltissimo; l’unica regola alla quale non derogavano mai è che quello che usciva gli doveva piacere. Per questo ci sono stati molti scontri con la casa discografica e dischi mai pubblicati perché considerati troppo innovatori dai produttori.
C’è un album celebre perché mai pubblicato.
Cigarettes e ci ho partecipato; se papà componeva qualcosa e poi in casa incrociava me e i miei amici ci chiedeva di suonarle per ascoltare l’effetto. E queste prove le registrava; poi c’è stato il flop di svolta.
Cioè?
Astra rappresenta il primo 45 giri in cui la casa discografica non ebbe riserve nel pubblicarlo e per il primo pezzo, Adieu, si affidarono a me.
C’è lei sulla copertina.
Perché sia Franco che mio padre non avevano ancora deciso di entrare nella musica pop, quindi mi utilizzarono come frontman; l’esperienza naufragò e fu un bene perché da lì Battiato decise di manifestarsi apertamente.
E piano piano nacquero Patriots e La voce del padrone…
A La voce del padrone lanciamo le scommesse su quanto avrebbe venduto: il più ottimista era Franco con centomila copie; anzi, secondo uno dell’entourage dello stesso Franco, il disco sarebbe stato un insuccesso.
Da lì il successo.
Scoppiato tutto insieme: passarono da qualche centinaio di persone a decine di migliaia ogni sera; papà raccontava sempre il loro stupore in una notte a Reggio Emilia quando capirono che qualcosa era cambiato: da una collinetta videro una fila interminabile di auto e dopo il pubblico arrampicato sulle barriere.
I due come si rapportavano al clamore?
Con piacere, erano due pigmalioni, in grado di gestirlo.
E sua madre?
In un primo momento estranea; in un secondo un po’ scocciata per la quantità di tempo dedicato, poi cambiò idea quando l’aspetto economico si rese interessante.
E torniamo ai soldi…
All’inizio Franco non ne aveva neanche per acquistare un violino di qualità; una mattina, tornando a casa, vidi un violino nella vetrina di un antiquario. Ne parlai con papà; andò a vederlo, costava 500 mila lire, e lo comprò insieme a Ombretta Colli per poi regalarlo a Battiato. Quel violino ancora esiste.
Come intende gestire tutto il materiale inedito?
Mi piacerebbe proporlo al pubblico, magari con un catalogo e uno spettacolo teatrale. Ma non è semplice.
Chi erano suo padre e Battiato?
Due in grado di associare ricerca spirituale e ricerca musicale; poi a livello emozionale uno è stato mio padre e l’altro un uomo che ha sconvolto, in meglio, i parametri ordinari della nostra quotidianità.