il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2023
Quelli che si sono messi contro Berlusconi
I tre pretori. Nel 1984 i pretori di Torino, Pescara e Roma, Giuseppe Casalbore, Nicola Trifuoggi ed Eugenio Bettiol, sequestrano gli impianti che consentono alle tre reti Fininvest le trasmissioni illegali in “interconnessione” e dispongono che rientrino nella legalità irradiando programmi in orari sfasati da una regione all’altra. B. “auto-oscura” le sue tre reti, fingendo che i giudici gliele abbiano “spente” e aizzando il popolo dei Puffi, di Dallas e di Uccelli di rovo contro la magistratura. Il premier Bettino Craxi interrompe una visita a Margaret Thatcher per rientrare in Italia, convocare un Consiglio dei ministri straordinario e varare il primo “decreto Berlusconi”, opera di Giuliano Amato, che legalizza ex post l’illegalità dell’amico Silvio e neutralizza le ordinanze dei pretori. Persino la Dc vota per l’incostituzionalità del decreto. Che decade. Così i pretori tornano a imporre la legge e il Cavaliere a “oscurare” i suoi network, con annessa campagna vittimistica. Ma subito Craxi vara il secondo “decreto Berlusconi”, minacciando i partiti alleati con la crisi di governo e le elezioni anticipate in caso di nuova bocciatura. Craxi verrà ricompensato da B. con bonifici miliardari.
Il pool Mani Pulite. I pm Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Francesco greco e Paolo Ielo, coordinati da Francesco Saverio Borrelli e Gerardo D’Ambrosio, iniziano a indagare sui grandi gruppi imprenditoriali, fra cui varie società Fininvest, fin dal 1992, ben prima dell’ingresso in politica di B. Vengono linciati dalle reti Fininvest, denunciati e inquisiti per un totale di oltre 100 indagini dalla Procura di Brescia, quasi sempre su denuncia dei loro inquisiti (molti del giro berlusconiano), ma alla fine sempre archiviati, prosciolti o assolti. Di Pietro sarà costretto a dimettersi nel 1994, subito dopo aver inquisito il premier B. per le tangenti alla Guardia di Finanza, da un ricatto su dossier passati per le mani di Paolo Berlusconi e Cesare Previti.
Indro Montanelli. Alla fine del 1993 B. decide di entrare in politica e chiede a Indro Montanelli di sostenerlo sul Giornale che ha fondato nel 1974 e di cui poi il Cavaliere è divenuto l’editore. Il grande giornalista rifiuta, denuncia il conflitto d’interessi che sta per crearsi e viene insultato sulle reti Fininvest unificate dai vari Sgarbi e Fede. L’8 gennaio 1994 Berlusconi, scortato da Antonio Tajani, arringa l’assemblea dei giornalisti in assenza e all’insaputa di Montanelli per aizzarglieli contro. Lui si dimette con una quarantina di loro e fonda la Voce, sostituito a Vittorio Feltri. Non smetterà mai di denunciare, sulla Voce e sul Corriere, il conflitto d’interessi del suo ex amico, il suo “regime mediatico” (definizione che condivide con un altro grande liberalconservatore, Giovanni Sartori) e la sua la “destra del manganello”. Fino alla morte, fra le minacce e gl’insulti dei berlusconiani, nel 2001.
Gianfranco Mascia. Il giovane attivista all’inizio del 1994 fonda il movimento Bo. Bi. (Boicotta il Biscione). E viene subito aggredito e violentato da un commando mascherato mai identificato. Sarà tra gli animatori del Popolo Viola, figlio dei Girotondi, che il 5 dicembre 2009 organizzerà a Roma il “No Berlusconi Day”.
Edoardo Pizzotti. Direttore degli affari legali di Publitalia, viene licenziato a fine ‘94 dopo aver rifiutato di coprire le attività illegali per nascondere le false fatture di Dell’Utri&C.. Due mesi dopo viene convocato come teste dalla Procura di Torino nel processo a Marcello Dell’Utri per le false fatture di Publitalia. Il giorno dopo la sua deposizione viene avvicinato in pieno giorno a Milano da due tizi con forte accento meridionale che lo minacciano: “Ti facciamo scoppiare la testa…”. Da allora inizia a ricevere telefonate mute sull’apparecchio di casa. Alcune provenienti, tabulati alla mano, dal suo ex ufficio di Publitalia.
Stefania Ariosto. È la fidanzata di Vittorio Dotti, avvocato milanese di B. e capogruppo di FI alla Camera. Viene convocata nel 1995 dalla Gdf che indaga su alcuni misteriosi libretti al portatore da oltre 100 miliardi di lire usati da B per pagamenti anonimi. E racconta alla pm Ilda Boccassini, che la copre come “teste Omega”, i rapporti illeciti di Cesare Previti, l’avvocato romano di B., con diversi giudici romani. Il 23 dicembre riceve un pacco dono con dentro un coniglio scuoiato e sgozzato che galleggia nel sangue, e un biglietto d’auguri: “Buon Natale”. Nel marzo 1996, alla vigilia delle elezioni, B. e Previti sono indagati per corruzione giudiziaria e il giudice Renato Squillante viene arrestato. La Ariosto subisce minacce private e da linciaggi pubblici dalla stampa e dall’entourage del Cavaliere: “mitomane”, “esaltata”, “cortigiana”, “serial killer e avventuriera”, “Pompadour”, “boccuccia di rosa”, “donna squinternata, malata di protagonismo e del complesso di Erostrato”. Anche Boccassini verrà linciata e calunniata per anni dall’orchestra nera berlusconiana. E, come lei, tutti i magistrati che oseranno indagare, processare e financo condannare B. e i suoi cari. Dal giudice civile Raimondo Mesiano (pedinato dalle telecamere di Canale 5 per deriderlo come un mezzo matto per i suoi calzini turchesi) al gip Andrea Padalino, dai pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo ai presidenti Luisa Ponti, Paolo Carfì e Alessandra Galli, fino ad Antonio Esposito (presidente di sezione della Cassazione che nel 2013 firma la prima e unica condanna definitiva di B. per la frode fiscale Mediaset).
L’Espresso di Rinaldi, Bocca e Pansa. Claudio Rinaldi approda da Panorama all’Espresso nel 1991, dopo aver sbattuto in faccia la porta a B. che si è impossessato della Mondadori. Non gli risparmia nulla, tantomeno l’inciucio con Massimo D’Alema nella Bicamerale (il “Dalemòni”, coniato col condirettore Giampaolo Pansa). Anche Giorgio Bocca cannoneggia da par suo. Nel ‘96 la vicedirettrice Chiara Beria di Argentine ottiene dall’Ariosto gli album fotografici che la ritraggono sulla barca di Previti con B. e alcuni giudici romani. L’Espresso li pubblica in quattro puntate e va a ruba. Il 23 maggio, un incendio doloso polverizza la casa di Chiara Beria in Versilia: l’indagine non porterà a nulla.
Francesco Di Stefano. L’imprenditore televisivo abruzzese ha creato un network di tv locali sotto il simbolo di Europa7. Nel 1998 l’Agcom bandisce la gara per le otto concessioni nazionali televisive da aggiungere a quelle della Rai. Europa7 si piazza al sesto posto per punteggio e al primo per qualità dei programmi. Poi ci sono le tre reti Mediaset, le due Tele+, Tmc e Mtv. Ma Rete4 viene esclusa perché la Consulta dal ‘94 ha sancito che va venduta o trasferita su satellite. Nel 1999 il governo D’Alema assegna la concessione a Europa7, che però non avrà mai le frequenze per trasmettere: sono occupate abusivamente da Rete4, prorogata sine die dalla legge Maccanico, dal decreto salva-Rete4 e dalla legge Gasparri. Di Stefano passerà gli anni seguenti a presentare denunce e ricorsi: al Tar, al Consiglio di Stato, alla Consulta, alla Ue. Invano.
Biagi, Luttazzi e Santoro. Nella campagna elettorale del 2001, gli unici elementi di disturbo per il favorito B. vengono da alcuni programmi tv: Satyricon di Daniele Luttazzi, che intervista Marco Travaglio sui rapporti fra il Cavaliere e Cosa Nostra; Il raggio verde di Michele Santoro e Il Fatto di Enzo Biagi, che rilanciano il tema. Santoro manda in onda l’intervista integrale di Canal+ a Paolo Borsellino. B. chiama in diretta: “Santoro, si contenga!”. Vinte le elezioni e tornato al governo, B. si riprende la Rai e il 18 aprile 2002 dirama da Sofia l’editto bulgaro contro Biagi, Luttazzi e Santoro. Che spariscono dai palinsesti, seguiti da Sabina Guzzanti, Carlo Freccero, Massimo Fini e molti altri. Dopo 814 puntate, Biagi si congeda dai suoi telespettatori dopo 40 anni di onorato servizio: “Meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti”. Tornerà in Rai solo nel 2007, pochi mesi prima di morire. Santoro, dopo una lunga causa di lavoro, verrà reintegrato dal Tribunale di Roma nel 2006 con Annozero. Nel 2009 B. riproverà a farlo fuori con pressioni sul dg Rai Mauro Masi e il membro dell’Agcom Giancarlo Innocenzi, intercettate dalla Procura di Trani. Luttazzi in Rai non tornerà più.
I Girotondi. Il 26 gennaio 2002 un gruppo di milanesi riunito da Luigina Venturelli, Titta Malinverni, le sorelle Marina e Ombretta Ingrascì e Daria Colombo invita i cittadini ad “abbracciare il Palazzo di Giustizia”. Due giorni prima, a raccogliere il monito di Borrelli “Resistere, resistere, resistere”, è stato un gruppo di professori fiorentini riuniti, Paul Ginsborg e Francesco “Pancho” Pardi, con 10mila persone. Nasce un movimento che chiede al centrosinistra di opporsi a B. Il 2 febbraio, in piazza Navona a Roma, manifesta il comitato “La legge è uguale per tutti” di Nando Dalla Chiesa. Sale sul palco Nanni Moretti: “Con questi dirigenti non vinceremo mai”. Intellettuali, scrittori, attori, registi, si uniscono all’urlo di Moretti in successive manifestazioni in tutta Italia. Due settimane dopo, lo stesso Moretti guida il primo girotondo romano con Silvia Bonucci e Marina Astrologo: oltre 5mila cittadini riniti attorno al “palazzaccio” della Cassazione. Paolo Flores d’Arcais, direttore di Micromega, trasforma la rivista in un settimanale di battaglia (con contributi fissi di Andrea Camilleri). E organizza a Milano “Il giorno della legalità” nel decennale di Mani Pulite. Il Palavobis è preso d’assalto da almeno 40mila persone. Parlano, fra gli altri, Flores, Paolo Sylos Labini, Dario Fo, Moni Ovadia, Sabina Guzzanti, Massimo Fini, Travaglio, Roberto Zaccaria, Carlo Freccero, Fernanda Pivano, Ginsborg Pardi, Di Pietro, Dalla Chiesa, Elio Veltri e Furio Colombo (che con Antonio Padellaro ha ridato vita all’Unità, ospitando giornalisti e intellettuali banditi dalla grande stampa, come Antonio Tabucchi).
Libertà e Giustizia.Associazione civica nata nel 2002 a Milano su iniziativa di Carlo De Benedetti con Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Biagi, Umberto Eco, Alessandro Galante Garrone, Claudio Magris, Guido Rossi, Sartori, Salvatore Veca, Umberto Veronesi. Ne faranno parte anche Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare, Sandra Bonsanti, Paul Ginsborg, Elisabetta Rubini, Tomaso Montanari e molti altri, battendosi per i valori costituzionali contro le leggi ad personam e per il No ai referendum sulle “riforme” di B. (2006) e di Renzi (2016).
“Usciamo dal silenzio”. Nel 2006 la giornalista Assunta Sarlo, assieme ad amiche e compagne, dopo l’ennesimo attacco sferrato dal governo B. alla legge 194, organizza una grande manifestazione del 14 gennaio a Milano. Saranno più di duecentomila le donne in piazza, precedute da un grande striscione azzurro “Siamo uscite dal silenzio”.
Beppe Grillo e i 5Stelle. Prima nei suoi spettacoli, poi nel suo blog fondato nel 2005 in tandem con Gianroberto Casaleggio, poi nei VDay nelle piazze e in streaming nel 2007 e nel 2008 (contro i condannati in Parlamento, il Porcellum, il monopolio tv e la legge Gasparri), Beppe Grillo ha sempre sbertucciato e attaccato Berlusconi, di cui aveva rifiutato fin dagli anni 80 le offerte miliardarie per passare dalla Rai alla Fininvest. È sulla critica irriducibile al berlusconismo che nel 2009 Grillo e Casaleggio fondano i 5Stelle. Di Battista declamerà la sentenza Dell’Utri ad Arcore, dinanzi alla villa di B. e i loro governi, Conte-1 e 2, saranno gli unici a cancellare le leggi vergogna sul precariato (col Dl Dignità di Di Maio), sulla corruzione e la prescrizione (con la Spazzacorrotti di Bonafede), sui reati fiscali (con le manette agli evasori).
Veronica Lario. Nel 2007 la seconda moglie di B. scrive una lettera a Repubblica in cui chiede al marito pubbliche scuse “per aver offeso la sua dignità di donna”, dopo una sua battuta a Mara Carfagna alla premiazione dei Telegatti (“se non fossi già sposato ti sposerei subito. Con te andrei ovunque”). Due anni dopo, in un’email all’Ansa, definisce la candidatura di veline alle Europee “ciarpame senza pudore”, parla di “vergini che si offrono al drago per rincorrere successo e notorietà” e dichiara “la strada del suo matrimonio segnata. Non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni”. Il riferimento è alla partecipazione di B. alla festa dei 18 anni di Noemi Letizia a Casoria. Per lui è l’inizio della fine. Per lei l’inizio del solito linciaggio: “Velina ingrata”, la insulta Libero. Nella causa di divorzio, la Cassazione conferma la sentenza d’appello che azzera l’assegno di mantenimento di 1,4 milioni al mese fissato dal Tribunale. Veronica dovrà restituire all’ex marito i 45 milioni già percepiti.
Giuseppe D’Avanzo. Nel 2009, dopo gli scandali Noemi Letizia e delle veline candidate alle Europee, il vicedirettore di Repubblica diretta da Ezio Mauro pone 10 domande a B.: “Ha frequentato minorenni? Ha ricompensato con candidature e promesse politiche le ragazze che la chiamano papi”? Si è intrattenuto prostitute? Può essere ricattabile?” e così via. Il Caimano – come lo soprannomina su Repubblica il grande giurista e scrittore Franco Cordero, ispirando anche l’omonimo film di Nanni Moretti – non risponde. Ma fa causa civile. E la perde.
Patrizia D’Addario. Nel 2009 partecipa a due festini a Palazzo Grazioli, portata a B. dall’amico Gianpaolo Tarantini. La prima volta Gianpi le allunga mille euro, “perché non ti sei fermata a dormire con Silvio”. La seconda, con Barbara Montereale e Lucia Rossini, che si fotografano nel bagno privato di B., Patrizia rimane sola con lui, che le ripromette aiuto per la pratica edilizia e le chiede di fermarsi per la notte. Lei accetta. E continua a registrare tutto, anche durante i rapporti sessuali nel lettone di Putin e le ripetute docce gelate a cui si sottopone, dopo, il premier. Stavolta Tarantini le passa una busta con 2 mila euro. Il premier insiste più volte per rivederla, ma lei rifiuta. Il forzista Tato Russo, amico di Tarantini, convince il ministro Raffaele Fitto a candidarla alle Europee. Poi la denuncia di Veronica complica i piani. D’Addario viene convocata in Procura per parlare di Gianpi, indagato per induzione e favoreggiamento alla prostituzione. E consegna le registrazioni dei colloqui con il premier. Il 17 giugno, passate le elezioni, il Corriere rivela l’inchiesta di Bari. E lei conferma tutto in diretta ad Annozero: share record del 28%. Il famoso residence non vedrà mai la luce.
Rosy Bindi. Ministra e parlamentare, è stata tra i rarissimi leader del centrosinistra a opporsi davvero a B. Che nel 2009 a Porta a Porta la ripaga definendola “più bella che intelligente”. Lei: “Sono una donna che non è a sua disposizione”.
Gianfranco Fini. Nel 2010 è presidente della Camera e numero 2 del Popolo delle Libertà (che unisce FI e An) e si scontra col premier B. perché contesta le sue leggi vergogna sulle intercettazioni e contro la magistratura. Appena lascia il Pdl per fondare Futuro e Libertà per l’Italia, i media berlusconiani scoprono che il suo disinvolto cognato Giancarlo Tulliani ha acquistato un appartamento a Montecarlo dal patrimonio di An. È la fine della carriera politica di Fini. I suoi uomini di FLI invece si ricicleranno in Fratelli d’Italia.
José Saramago. Nel 2010 la casa editrice Einaudi (gruppo Mondadori) rifiuta di pubblicare l’ultimo saggio del grande scrittore portoghese, premio Nobel per la Letteratura, intitolato Il quaderno e già uscito in Spagna e Portogallo, in cui il Cavaliere viene definito “delinquente” e “pericolo per la democrazia”. “Diffamazione”, lo liquida la casa editrice torinese. Il quaderno uscirà per Bollati Boringhieri.
Annamaria Fiorillo. È la pm minorile di turno la sera del 27 maggio 2010 quando una 17enne marocchina senza fissa dimora né documenti, Karima el-Marough detta Ruby, viene fermata dalla polizia a Milano per furto. Ordina di affidarla a una comunità per minori non accompagnati, ma alle 23.50 il commissario capo ne dispone il rilascio. Così vuole il capo di gabinetto Pietro Ostuni, buttato giù dal letto dal premier B. con una serie di telefonate sempre più pressanti: Ruby sarebbe imparentata con Mubarak e si rischia un incidente diplomatico col Cairo. A mezzanotte si presenta in Questura la consigliera regionale Nicole Minetti, già igienista dentale, intima amica di B. Alle 2, contro il parere della Fiorillo, Ruby lascia la Questura. Le sue peripezie vengono segnalate alla Procura. Scoppia il caso “Ruby”. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni sostiene che la Fiorillo autorizzò l’affidamento di Ruby alla Minetti: lei, per averlo smentito, viene sottoposta a procedimento disciplinare e condannata dal Csm alla sanzione della censura per violazione del riserbo.
Ambra Battilana, Chiara Danese e Imane Fadil. Sono le testimoni chiave dell’accusa nel processo Ruby-bis contro Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, e nel Ruby-ter contro B. e 27 testimoni prezzolati. Ma qui vengono escluse dal processo dopo aver chiesto di costituirsi parti civili. Per la Procura, le tre ragazze “hanno sofferto un danno da stress di fronte a un esercito di altre ragazze eteroindirizzato” da B., in quanto “sostenevano una tesi”, quella del bunga-bunga ad Arcore, contraria alla versione delle “cene eleganti”. Ambra e Chiara, al tempo 18enni, avevano partecipato a una serata a villa San Martino nel 2010 al seguito di Fede e ne erano fuggite in lacrime. “Questa situazione mi ha rovinato la vita – racconterà la Danese in aula – ho pensato al suicidio, ho sofferto di anoressia, bulimia e sono ancora in cura”. Battilana vive e lavora negli Usa. Imane Fadil è morta in circostanze misteriose.