Corriere della Sera, 18 giugno 2023
Intervista ad Antonio Tajani
Antonio Tajani, come ci si sente ad essere chiamato «presidente di Forza Italia» dopo 30 anni in cui quella definizione apparteneva solo e soltanto a Silvio Berlusconi?
«Intanto bisogna prima arrivare al Consiglio nazionale per eleggere il presidente. Io chiederò nel Comitato di presidenza che si tenga prima della pausa estiva. Abbiamo molto da fare: la campagna elettorale in Molise, tante iniziative già in cantiere. Per il resto, nessuno si sente il sostituto di Berlusconi. Sarebbe impossibile. Fino al giorno delle elezioni, cercherò di guidare Forza Italia senza timore di affrontare le difficoltà, e con la linea chiara che ci ha affidato Berlusconi».
Quale?
«Lealtà al governo di centrodestra, riforme istituzionali, sburocratizzazione, innalzamento delle pensioni minime, meno tasse, più infrastrutture, europeismo e atlantismo, un ambientalismo pragmatico e non ideologico e un ruolo da protagonisti all’interno del Ppe. Non cambieremo».
Ma come si governa un partito con tante anime che solo Berlusconi finora ha tenuto unito?
«Lo si fa in sintonia con la classe dirigente e rispettando lo statuto. Dobbiamo tutti essere coinvolti in questo cammino, tutti».
Fino al congresso? E quando sarà convocato, lo avete deciso?
«Vedremo, certamente non prima del prossimo anno, ma il lavoro per le Europee e per il radicamento sul territorio, il tesseramento, l’ampliamento del nostro partito, dobbiamo iniziarlo subito».
Fino alla morte di Berlusconi FI era un partito diviso tra tajaniani e ministeriali, chi faceva riferimento a Ronzulli, i cosiddetti «Fascina boys», per non parlare dei governatori come Schifani che chiedono maggior spazio. Ora che succede?
«Sempre stato contrario alle correnti, non credo ai personalismi ma alle persone e sono sicuro che tutti avranno qualcosa di importante da fare. Tutti, è la mia intenzione, saranno coinvolti, il movimento deve essere unito. Non partiamo da zero: siamo tutti sostenitori di questo governo. Come dimostrano i capigruppo, c’è già una rappresentanza Nord, Sud e Centro. E ripeto: ci sarà un ruolo per chiunque voglia lavorare».
Sul territorio darete maggiore spazio ai vostri rappresentanti?
«I presidenti di Regione sono una risorsa preziosa, come i sindaci. Figuriamoci se io, che vengo dal territorio dove ho sempre cercato i voti uno ad uno, non capisco il peso di chi lo guida e ci lavora. Poi, per statuto, vedremo come organizzarci».
Lei ha detto che per Marta Fascina non c’è bisogno di un incarico formale. È un rientro nei ranghi?
«Ma figuriamoci, lei farà quello che vorrà fare, in questi giorni così dolorosi non mi sono nemmeno permesso di disturbarla. Lei è stata la compagna di vita di Berlusconi. Ripeto, deciderà lei cosa fare. Ora quello che conta è lavorare tutti insieme, uniti».
Per fare cosa? Quale è oggi il vostro primo obiettivo?
«Non bisognerà disperdere il consenso che ci sta arrivando sull’onda emotiva della grandezza della figura di Berlusconi, gli organigrammi contano poco».
Prima della scomparsa del leader si era pensato ad una riorganizzazione profonda del partito, anche con coordinatori per il Nord, il Centro e il Sud. Ora?
«Ora naturalmente, e per rispetto a Berlusconi, si lascia tutto com’è. Io non farò nomine, non toccherò nulla. Coinvolgerò tutti, i responsabili nazionali, parlerò agli eletti, a partire dai gruppi parlamentari. Poi inizierà, vedremo insieme come, un nuovo cammino».
Lei esclude un impegno diretto, sul campo, di uno dei figli, per avere un Berlusconi direttamente impegnato in politica?
«Saranno loro a decidere. Al momento Marina è stata molto chiara. Ci sono accanto, ci incoraggiano, ci danno sostegno, nel “rispetto dei diversi ruoli”».
La candidatura di Paolo Berlusconi a Monza?
«Non ne abbiamo parlato, davvero. Mancano tre mesi».
Sia sincero: nessun timore che FI divenga terreno di caccia di altri partiti?
«Siamo saldamente nella maggioranza, in crescita nei sondaggi, abbiamo ottimi rapporti con Lega e FdI: ma perché la gente dovrebbe scappare? Per andare dove? Semmai possiamo essere noi un polo d’attrazione di profili liberali, cattolici, di intellettuali, come fece Berlusconi nell’epoca dei “professori”».
La vostra collocazione fermamente nel Ppe aiuta?
«Certo, perché siamo gli eredi di Schumann e De Gasperi, dei fondatori dell’Europa, perché ci riconosciamo pienamente in quei valori e in quelle battaglie, perché abbiamo idee chiare e – senza contrasti con i nostri alleati – le faremo valere».
Farete da tramite per un patto tra i Conservatori di Meloni e il Ppe?
«Siamo favorevoli ad un quadro di questo genere, ma ovviamente va aspettato il voto. Noi saremo lì, in posizione centrale come lo siamo in Italia, nel centrodestra, essenziali per vincere e governare. Sempre».
Intanto ha colpito la scelta del governo di esercitare il golden power per impedire che proprietà cinesi entrassero con ruolo decisivo in Pirelli: state abbandonando la Via della Seta?
«Sulla Via della Seta stiamo ragionando come governo sul da farsi. Per Pirelli, la golden power è stata usata per difendere gli interessi nazionali: ci sono settori di altissima specializzazione – che come in questo caso forniscono dati sensibili – che non possono essere accessibili a un governo o Stato che non sia il nostro. L’interesse nazionale è la nostra stella polare».