Domenicale, 18 giugno 2023
Biografia di Germana Marucelli
Si apre alle Gallerie degli Uffizi nel Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti la prima esposizione interamente dedicata a Germana Marucelli, antesignana della moda italiana e del Made in Italy. È una mostra insolita perché non vi si trovano solo abiti, ma anche opere d’arte e di design, la cui intima correlazione testimonia e distilla uno speciale e unico stile di vita.
Il nome di Germana Marucelli era famoso ai suoi tempi (1905-1983), ma con gli anni è entrato in una sfera rarefatta delle cose e delle persone. Dopo quarant’anni dalla sua scomparsa, di cui una ventina dedicati alla ricerca e all’approfondimento, si può tentare di diradare la nebbia: chi era Germana Marucelli e che eredità ha lasciato?
Fu lei la prima a tagliare il cordone ombelicale con la moda francese, che fino al 1940 aveva dettato le regole del grande vestire. Fu costretta a reciderlo – come tutti – durante la Seconda guerra mondiale, ma poi fu l’unica, per sei duri anni, a difendere a ogni costo la sua nuova indipendenza e originalissima capacità creativa.
Fu la sua fortuna. Isolata, a volte addirittura osteggiata dai colleghi, che continuavano a guardare Oltralpe, si rivolse alla cultura e fu reciproco amore. Fondò nel 1947 un premio di poesia, il San Babila, e diede vita ai «Giovedì di Germana Marucelli», che ospitavano regolarmente personaggi come Giuseppe Ungaretti, Lucio Fontana, Massimo Campigli, Aligi Sassu, Eugenio Montale, Giacomo Manzù, Ettore Sottsass e così via. Tanto che le venne dato l’appellativo di “sarta intellettuale”.
La mostra non segue un percorso cronologico ma tematico e inizia con un’opera emblematica, frutto di costanti suggestioni e contaminazioni: la «Guerriera sacerdotessa», abito nato dai riflessi dell’arte cinetico-visiva mutuata da Getulio Alviani, operatore plastico udinese. Lei stessa lo commenta così: «Ho fatto le corazze e gli scudi nella moda. (…) Ho visto fino in fondo il disperdersi della donna moderna e nel mio anelito di aiutarla a salvare, a trovare sé stessa l’ho resa guerriera e sacerdotessa». Grazie a documenti, fotografie, articoli di periodici nazionali ed esteri, corrispondenze, opere d’arte e di design, la mostra documenta l’attivissima interrelazione creata da Germana tra i diversi linguaggi, nello spirito neo rinascimentale che animò quegli anni e di cui la moda, quella alta, divenne così il perno.
Quell’interrelazione era parte di lei, era sentita in maniera personale, basata sull’amicizia, sulla stima e sugli scambi culturali e dello spirito. Paolo Scheggi ne fu un esempio: concittadino e un po’ parente arrivò da Settignano nel 1961 e fu ospitato in casa di Germana per ben tre anni della sua assai breve e intensa esistenza. Stava facendo arte di tipo informale e una sua rarissima lamiera sembra alludere già alle successive “intersuperfici curve”, esposte nella medesima sala, che lo hanno reso famoso. In mezzo ci sono però gli abiti “Cocktail” e i “Camicioni” di Germana, coperti di pennellate autografe di Scheggi, a rendere più solide e tangibili le influenze reciproche.
Il criterio principe per la Marucelli fu sempre quello del mettersi in gioco direttamente: guerriera e sacerdotessa è innanzitutto lei, una donna che non ha mai esitato a rovesciare il senso delle cose se convinta della necessità di uscire da un’impasse esistenziale. A cominciare dalla sua visione della moda e della sua funzione, per cui l’abito non doveva essere un modo per trasformarsi in qualcuno, o una sorta di divisa, ma il risultato dell’elaborazione della personalità profonda che chiede di venire espressa. Insomma un «dare forma all’informe» che è dentro di sé, per usare una felice espressione di Gillo Dorfles riferita alla creatività di Germana.
Nel 1972, all’apice della carriera, Germana Marucelli si ritira dalle passerelle ormai orientate perlopiù verso una moda seriale e di effetto, ma non abbandona la sua passione per la moda alta, personale. Continua la sua ricerca con le amiche e clienti più care e crea una nuova linea chiamata “Mohair”, mai presentata ma esposta in esclusiva in questa occasione. Apre la “Scuolina” per trasmettere i rudimenti della sua arte alle nipoti e alle figlie delle amiche più care, e infine nel 1974 crea «Le presenze»: una serie di tavolette auree policromate che rievocano l’essenzialità delle sue tante linee di abiti e ne sanciscono lo stile in modo iconico, severo ma anche lieve. Come era lei
•
Elke Schmidt