il Giornale, 18 giugno 2023
Salvemini e don Sturzo
L’ esilio di Don Luigi Sturzo dura ventidue anni: prima a Parigi, poi a Londra (1924-1940) e infine a New York sino all’agosto del 1946. È a Napoli il 5 settembre dello stesso anno. Il 17 dicembre del 1952 il presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo nomina senatore a vita. Muore l’8 di agosto del 1959. Ebbene, nel libro Dai ricordi di un fuoruscito 1922-1933 (Bollati Boringhieri, 2002 e 2021), così Gaetano Salvemini ricorda il suo incontro con Sturzo. «A Londra un amico della vecchia Unità, Angelo Crespi, stabilitosi lì da molti anni, mi offrì una prima affettuosa ospitalità. Trovai don Sturzo, che vi era andato nell’autunno del 1924, credendo che la sua sarebbe stata una breve assenza dall’Italia, ma ormai era diventato anche lui fuoriuscito. Don Sturzo crede all’esistenza di Dio: un Dio badiamo bene che non solo esiste chi sa mai dove, ma è sempre presente a tutto quello che don Sturzo fa, e don Sturzo gliene deve rendere conto strettissimo, immediatamente, e non nell’ora della morte, o nella valle di Giosafatte. Perciò don Sturzo fa sempre quel che ritiene essere il suo dovere, e con questo non transige mai. Perciò chi ha del proprio dovere una idea analoga, Dio o non Dio, e cerca di conformarsi a quell’idea, per quanto la debolezza umana glielo consenta, sente per quell’uomo, quando viene a conoscerlo, un rispetto, che dipende dalla personalità morale dell’uomo e non ha nulla da vedere colle sue opinioni religiose e filosofiche». Ancora: «Frequentandolo a Londra, divenni ammiratore dell’uomo lui al suo posto, io al mio. Con quell’uomo buono (naturalmente era anche intelligente) non si scherzava. E non scherzai mai, anche perché certe abitudini quando si tratti di cose serie non le ho. E credo che nacque, da questo riguardo che avevamo in comune per le cose serie, una amicizia che io considero uno dei più begli acquisti della mia vita. Non discutemmo mai. Innanzi a quell’Imalaia di certezza e di volontà, la discussione non avrebbe avuto senso. Quando arrivavamo alla zona contestabile, accertavamo istintivamente che lì non si passava né di qua né di là, e scantonavamo amichevolmente, ognuno per la sua strada». La zona contestabile era quella che era costituita dalle opinioni religiose. «Una sola volta ricorda Salvemini gli dissi che lui era giansenista, e sentii subito di averlo offeso: sorrise sorpreso, ed io non procedetti avanti». «Don Sturzo discuteva e lasciava discutere su tutto, con una libertà di spirito, che raramente avevo trovato nei così detti liberi pensatori; ma quando si arrivava alla zona riservata, cadeva la cortina di ferro, don Sturzo non discuteva più. A costo di offenderlo, ripeterò che don Sturzo è un giansenista, di quelli ortodossi, beninteso, come don Luca degli Scalzi, il maestro di Mazzini». Conclude Salvemini: «E aggiungerò che è un liberale. Il clericale domanda la libertà per sé in nome del principio liberale, salvo a sopprimerla negli altri, non appena gli sia possibile, in nome del principio clericale. Don Sturzo non è clericale. Ha fede nel metodo della libertà per tutti e sempre. È convinto che, attraverso il metodo della libertà, la sua fede prevarrà sull’errore delle altre opinioni per forza propria, senza imposizioni più o meno oblique. E questo, credo, era quel terreno comune di rispetto alla libertà di tutti e sempre, che rese possibile la nostra amicizia, al di sopra di ogni dissenso ideologico».