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 2023  giugno 17 Sabato calendario

L’unità cetacei che ferma gli ucraini

Si potrebbe chiamare «unità sottomarina delfini» e rappresenta l’ultima barriera difensiva dei russi del porto di Sebastopoli in Crimea, base della flotta del Mar Nero di Zar Putin. La trovata non è completamente nuova. Già prima dell’annessione russa della penisola nel 2014, esisteva un centro per l’addestramento dei delfini a uso militare, una tradizione russa anche se analoghe strutture esistono in California a San Diego, per esempio, ma presumibilmente anche in Israele e in Corea del Nord. E, forse, prima che altrove, in Svezia. Delfini, leoni marini e balene bianche o Beluga, hanno il vantaggio di nuotare più velocemente di qualsiasi sommozzatore, e di possedere (in particolare i delfini) sensori sonar che fanno invidia alle più moderne apparecchiature scientifiche.
L’UNITÀ CETACEI
Ma la novità è un’altra. Dopo una serie di smacchi clamorosi che hanno umiliato la Marina russa a partire dall’affondamento della nave ammiraglia, il Moskva, ai primi di aprile del 2022, fino all’infiltrazione di droni marini di Kiev oltre le barriere portuali che hanno danneggiato tre navi compresa l’Admiral Makarov, subentrata come portabandiera della flotta, i russi sono corsi ai ripari, riesumando la gloriosa unità cetacea. E i delfini sono miracolosamente raddoppiati, da 3-4 che erano all’inizio dell’invasione, ai 6-7 visualizzati oggi dai puntigliosi satelliti occidentali. Pattugliano proprio l’ingresso del porto, e rafforzano le multiple linee difensive composte da reti di siluri, barriere galleggianti e missili sia anti-aerei che a carica di profondità. La Marina russa, del resto, aveva già schierato i delfini nella base di Novorossiysk e in Siria a Tartus. A Sebastopoli, è addirittura possibile seguire con i satelliti i trasferimenti in barca dei cetacei-incursori. Una fonte militare racconta all’agenzia Ria Novosti che «i nostri specialisti hanno sviluppato dei nuovi dispositivi che convertono l’intercettazione sonar sott’acqua di potenziali bersagli in un segnale sul monitor dell’operatore». Con tanto di coordinate.
La Marina ucraina aveva dismesso il programma, a quanto pare perché non aveva fondi sufficienti. In definitiva, si tratta di un altro sistema d’arma, a forma di delfino, escogitato durante la Guerra Fredda. Nel 2019, venne catturato in Norvegia un bizzarro Beluga che portava un’imbracatura per videocamere, a circa 400 miglia dalla prima base navale russa. Eppure, il sospetto fu proprio che fosse uno dei mammiferi “arruolati” nei servizi segreti di Mosca. Dovette intervenire un colonnello russo per smentire con una punta d’ironia. «Se avessimo usato questo animale per spiare, pensate davvero che avremmo fatto trovare un numero di cellulare e il messaggio: per favore, chiamate questo numero?». Ma nessuno esclude che potesse trattarsi di una balena disertrice. All’epoca il norvegese professor Rikardsen spiegò che i beluga, come i delfini e le orche, sono davvero intelligenti e possono essere «addestrati come i cani per compiti come ispezionare i fondali marini, uccidere sommozzatori nemici, o attaccare ordigni agli scafi delle navi ostili».
A Sebastopoli, lo scopo è principalmente quello di scongiurare il sabotaggio sottomarino. La difesa aerea è affidata invece a un sistema di missili Tor SA-15 Gauntlet e sott’acqua a un paio di sistemi lancia-razzi sottomarini a propulsione DP-64 “Dam”. A questo complesso dispositivo si aggiunge una varietà di altri missili anti-nave e perfino a lungo raggio S-300/S-400, più il supporto in emergenza di caccia delle basi aeree della Crimea e sofisticate apparecchiature di guerra elettronica. Ma «l’ultimo soldato russo» ha polmoni da mammifero marino e nuota come una scheggia anche in profondità. Tempo fa, due esemplari del delfinario erano stati liberati, non c’erano più soldi per sfamarli, ed erano morti spiaggiati: non erano abituati alla vita selvatica. Ma questa è un’altra storia.
Marco Ventura