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 2023  giugno 17 Sabato calendario

Intervista a Mya-Rose Craig


Il suo primo twich – per i non ornitologi: è una spedizione per andare a vedere uccelli rari – lo ha fatto quando aveva appena nove giorni. Mya-Rose Craig oggi ha 21 anni ed è l’ornitologa più famosa della Gen Z, creatrice a 11 anni di un blog di grande successo, Birdgirl, attivista per il clima e l’ambiente paragonata a Greta Thunberg (sono amiche), vincitrice di numerosi premi e, anche, dottoressa honoris causa in scienze all’Università di Bristol, la città dove è nata.
Niente di tutto questo sarebbe successo se non fosse nata in una famiglia di fanatici del birdwatching: a un certo punto, il padre Chris, originario di Liverpool, decide di concedersi un «Big Year» (un anno solare «in cui ti prefiggi lo scopo di avvistare quante più specie di uccelli possibili all’interno di una determinata area; nel nostro caso, il Regno Unito»), mentre per la madre Helena, una musulmana del Bangladesh «convertita» dal marito all’osservazione degli uccelli, il birdwatching è da sempre un prezioso spazio di benessere che attenua i sintomi di un disturbo bipolare diagnosticato in età adulta.
Craig, che da ragazzina aveva iniziato a raccontare online la sua passione proprio per dimostrare che anche le ragazze possono praticare il birdwatching, tradizionalmente considerata un’attività per bianchi benestanti avanti con gli anni, nel 2015 ha anche fondato l’organizzazione Black2Nature che, da una parte, organizza campi nella natura per bambini VME, che sta per Visibly Minority Ethnic e indica ragazzini provenienti da minoranze etniche, dall’altra campagne di diverso tipo. Lo scopo è quello di «creare cambiamento sia dal basso verso l’alto che dall’alto verso il basso» e rendere accessibile a chiunque il contatto ravvicinato con la natura.
In questi giorni è in libreria La mia famiglia e altri volatili, il memoir nel quale Craig racconta la sua (abbastanza incredibile) vita in giro per il mondo all’inseguimento del prossimo «uccello bersaglio», come i birder definiscono gli obiettivi dei loro twich.
A 17 anni è stata la persona più giovane ad avere visto la metà delle 10mila specie di uccelli del mondo. Oggi a che quota è?
«Circa 5700».
Dopo che le avrà viste tutte, che cosa farà?
«Non credo che arriverò mai a quel punto. Quando me ne mancheranno poche sarà perché sono le più difficili da scovare, tipo che dovrei prendere dei voli charter apposta per andare su quella tale isola sperduta… Ma va bene così, perché quello era un obiettivo che mi ero posta prima dei 18. Del resto, durante la pandemia ho iniziato ad apprezzare anche gli uccelli vicino a casa».
Crede che la sua generazione riuscirà ad avere un impatto reale sulla crisi climatica?
«Sì, perché conosco moltissimi giovani che se ne preoccupano e hanno una vera passione. E poi trovo che le cose siano già migliorate, almeno in termini di conversazione sull’ambiente e sulla politica, quindi si tratta di insistere finché non cambierà qualcosa».
Che cosa gli «adulti» non capiscono fino in fondo di quello che chiedete?
«Una cosa che mi fa arrabbiare moltissimo è che, per loro, il problema del cambiamento climatico non è in cima alle preoccupazioni. C’è sempre qualcos’altro di più urgente, le bollette, il lavoro, ed è così che ragiona la politica, sul breve termine».
Perché si è rifiutata di andare alla Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, lo scorso novembre in Egitto?
«Per tre motivi. Innanzi tutto, non sentivo di avere un ruolo specifico in quell’ambito. Secondo, perché personalmente avevo trovato la partecipazione alla Cop26 a Glasgow molto impegnativa soprattutto da un punto di vista emotivo. E questo mi porta al terzo motivo: il luogo scelto, Sharm El Sheikh, ha fatto sì che per gli attivisti non ci fossero grossi margini per comunicare il proprio punto di vista se non all’interno delle mura della conferenza. Invece, i momenti migliori a Glasgow erano stati proprio quelli condivisi per le strade con la gente».
Viene spesso paragonata a Greta Thunberg. Come la fa sentire?
«Credo di essere stata male interpretata, in passato, per qualcosa che ho detto su questo accostamento, come se non lo avessi apprezzato. Ma non è così: conosco Greta ed è fantastica, e penso che il lavoro che ha fatto per il cambiamento climatico sia stato davvero rivoluzionario. Però c’è stato un momento, attorno al 2020, in cui ogni singolo attivista nel mondo veniva definito come “la Greta Thunberg dell’India”, o “del Sud America”, e credo che questo non abbia reso giustizia al lavoro che queste persone stavano facendo individualmente per la causa».
Perché ha deciso di includere nel libro una cosa privata come la malattia mentale di sua madre?
«Non era nei miei piani originali, ma presto mi sono resa conto che non avrebbe avuto senso scriverlo senza mostrarmi vulnerabile e senza condividere un po’ di noi come famiglia. In particolare, credo che gran parte della ragione per cui viaggiamo e per cui amiamo così tanto gli uccelli sia perché farlo crea, ogni volta, uno spazio sicuro anche in momenti difficili. È stato per questo che ho voluto parlare del bipolarismo di mia madre, del quale peraltro fino ad allora non avevo mai parlato nemmeno con i miei amici di scuola. Ricordo di essere andata da lei a chiederle il permesso, e lei si è subito dimostrata favorevole, in parte perché non aveva mai visto questo disturbo rappresentato nei media. In realtà, alcuni dei commenti più belli che ho ricevuto sono stati proprio quelli di persone che dicevano di essersi immedesimate proprio in quella parte del libro».
Mi tolga una curiosità: perché secondo lei tante persone hanno paura degli uccelli?
«Sinceramente non saprei, ma credo funzioni come per me la paura dei ragni. La cosa strana è che, di solito, gli uccelli di cui la gente ha paura sono quelli più innocui, tipo galline e pavoni, e non specie davvero spaventose come i casuari, che mi è capitato di vedere in Australia e che sono enormi animali di due metri e mezzo, con artigli giganteschi e che se ne vanno in giro liberi per i sobborghi delle città».
Quanto è competitiva quando si parla di birdwatching?
«Lo ero di più da bambina, quando sentivo tutto il fascino della caccia e dei numeri. Oggi, che ho molta più pazienza, ho imparato ad apprezzare di più la tranquillità dello stare in mezzo alla natura senza telefono e senza avere niente da fare se non essere, semplicemente. E credo che sia proprio questo a piacermi davvero del birdwatching».
Una specie di meditazione.
«Sì, è un po’ la mia mindfulness».
Lei non è solo «la ragazza degli uccelli». Che cosa altro le piace fare?
«La cosa che stupisce di più le persone, quando mi conoscono, è quanto in realtà mi piaccia divertirmi. Di solito, l’idea che hanno di me è di una persona molto seria e tranquilla».
È vero che è pazza di Taylor Swift?
«Sì, ho attraversato una fase Taylor Swift – che forse è ancora in corso! Mi piace molto perché ha una fan base molto attiva. Anche qui all’università c’è una “Taylor Swift Society” e io ne faccio parte. In generale, trovo che ai concerti ci sia un’atmosfera simile a quella del birdwatching: niente pensieri, solo vibrazioni».
Come fa a far tardi in discoteca e poi svegliarsi all’alba per un twich?
«Quando ero più giovane non avevo problemi, potevo andare a dormire a qualsiasi ora e poi alzarmi tranquillamente. Ma temo di avere appena raggiunto un’età in cui non riuscirò più a farlo!». Non sente mai il bisogno di prendersi una pausa dal birdwatching?
«Lo sentirei se lo facessi in modo intensivo. Invece per me la natura, e soprattutto gli uccelli, sono una fuga dalla vita quotidiana, perciò è un po’ il contrario: quando voglio staccare dal resto, esco a fare una passeggiata. La cosa bella è che gli uccelli sono ovunque. Per esempio, in questo periodo di esami, anche solo guardare quelli fuori dalla biblioteca mi dà gioia».
Lei studia scienze sociali a Cambridge. Come vanno gli studi?
«Ho dato un esame ieri e credo sia andato abbastanza bene. Anche se molti pensavano che mi sarei iscritta a scienze naturali o biologia, praticare l’attivismo mi ha fatto capire che a interessarmi sono soprattutto le persone».
Qual è la materia che le sta piacendo di più?
«In questo periodo sto studiando politica, antropologia e relazioni internazionali e sono tutte e tre molto interessanti, soprattutto quest’ultima».
Che rapporto ha con le sue origini bangladesi?
«Credo che avere una metà della famiglia in Bangladesh abbia influenzato molto il mio attivismo. Il cambiamento climatico sembra sempre qualcosa di molto lontano nello spazio e nel tempo. Invece, essere in contatto con le persone del villaggio di mio nonno, in uno dei Paesi che sta subendo di più gli effetti catastrofici del clima, mi ha fatto capire quanto invece si tratti di qualcosa che riguarda il qui e ora».
Che cosa risponde alle accuse di chi considera ipocriti gli attivisti che prendono aerei, contribuendo all’inquinamento?
«È una questione sulla quale mi interrogo spesso. Ci sono molti luoghi in cui sono stata che non esisterebbero nemmeno più se non fosse per le persone che viaggiano e investono nell’ecoturismo, che ormai è un’industria sulla quale molte aree di biodiversità fanno affidamento. Ma chiaramente si tratta di una questione complessa, come in generale lo è il cambiamento climatico».
Andrà in vacanza questa estate?
«Ho in programma alcuni festival, quello di Glastonbury per esempio. Poi io e i miei andremo in Costa Rica per un paio di settimane, e sono molto emozionata perché non sono mai stata in America Centrale e lì ci sono molti colibrì, i miei uccelli preferiti».
È innamorata?
«No, no, no. Sono sempre molto impegnata».
Come si vede tra dieci anni?
«Di sicuro, continuerò col birdwatching e l’attivismo, e chissà, magari avremo già risolto la crisi climatica (ride). Non sono mai stata molto interessata a costruirmi una famiglia e una casa con la staccionata bianca. Credo che mi piacerebbe poter continuare a vedere il mondo e quello che ha da offrire».