La Stampa, 17 giugno 2023
Intervista a Valentina Petrillo, la prima atleta trans
«Prima ero l’atleta ipovedente, ora sono l’atleta trans». Il sogno azzurro di Valentina Petrillo corre veloce sul tartan dove riesce a essere se stessa e a sfrecciare tra le T12 nei 200 (primato italiano di 25"86) e nei 400 (RI di 58"21 realizzato questo giovedì a Sasso Marconi), le gare in cui sarà impegnata agli imminenti Mondiali di atletica paralimpica di Parigi (8-17 luglio).
Napoletana di nascita, dal 1994 vive a Bologna, dove si è trasferita per studiare Informatica all’Istituto per persone con difficoltà visive Francesco Cavazza, in seguito alla malattia di Stargardt, patologia genetica da cui è affetta anche la plurimedagliata nuotatrice azzurra Carlotta Gilli. All’età di 46 anni, ha deciso di intraprendere il suo percorso di transizione verso il genere femminile, incontrando non pochi ostacoli da superare per portare avanti la sua carriera sportiva: una storia raccontata anche nel docufilm «5 nanomoli – Il sogno olimpico di una donna trans», proiettato questa sera (ore 21,30) in anteprima al Biografilm Festival di Bologna.
Come è nata Valentina?
«Ho capito di non essere nel mio genere all’età di 5 anni o 6 anni, ma l’ho sempre combattuta credendola una cosa negativa. Certi eccessi che vedevo in tv poi, non mi hanno mai ispirato: io non ero così, mi vedevo donna, ma in scarpe da ginnastica e tuta, senza “mascherone"».
Perché la sua è una corsa «a ostacoli»?
«Per la World Athletics non posso gareggiare nelle loro manifestazioni internazionali per normodotate, però potrei andare a fare l’Olimpiade se facessi il limite minimo: un paradosso. Già dal 2015, il Cio ha emanato le prime linee guida sul trattamento delle persone transgender, parlando di 10 nanomoli di testosterone nel sangue. World Athletics è quella che, invece, ha tenuto le norme più restrittive, fino ad arrivare a depennare le persone transgender, dallo scorso 1° aprile: fa specie pensare che il 31 marzo era la giornata internazionale della visibilità transgender e il giorno dopo hanno reso invisibile Valentina».
Come è riuscita a salvare la sua carriera sportiva?
«Prima di me, nessuna atleta italiana aveva avanzato questa richiesta nel mondo agonistico e così, dal 2018 al 2020, sono dovuta restare ferma. Per fortuna, il mondo paralimpico ha risposto in una maniera fantastica alla mia richiesta e la Fispes ha creato un alias che mi permettesse di gareggiare, riconoscendomi nello sport come Valentina pur essendo ancora Fabrizio sui documenti. Dal gennaio scorso sono Valentina anche per lo Stato».
Sta ottenendo record su record: è pronta alla prima manifestazione iridata?
«Dopo il 5° posto agli Europei in Polonia del 2021, mi piacerebbe migliorarmi anche solo di una posizione al Mondiale di Parigi perché il 4° posto permetterebbe di conquistare un posto non nominativo per l’Italia per la Paralimpiade del prossimo anno, sempre nella capitale francese».
Come siamo messi a tolleranza in Italia nei confronti delle persone transgender?
«Purtroppo, siamo ancora indietro e c’è bisogno di fare tanti Pride o film che raccontano le nostre storie, perché veniamo etichettati come un fenomeno o casi sporadici. Dobbiamo rivendicare i nostri diritti e la nostra visibilità, anche per questo ho scelto di parlarne in un documentario che illustra la mia vicenda travagliata. Per due anni, Valentina Petrillo non ha potuto correre, pur essendoci regolamenti che prevedevano la sua partecipazione».
Come si districa nelle “paralimpiadi quotidiane”?
«Rispondo con un aneddoto. Prima ero famoso come Fabrizio l’ipovedente, ora la gente si è dimenticata della malattia agli occhi e mi guarda solo perché sono trans. Ci sono persone che si sono dimenticate che ho un problema alla vista e una mia amica che mi conosce da vent’anni l’altro giorno mi ha chiesto se prendessi io la macchina, che nemmeno ho mai avuto la patente. In generale, siamo più avanti nello sport paralimpico rispetto all’apertura sull’identità di genere. Vorrei essere ricordata per i risultati sportivi, piuttosto che per essere stata la prima trans italiana a correre».
Si sente accettata in Nazionale?
«Ricordo come se fosse ieri l’11 settembre 2020, quando mi presentai timorosa a Jesolo e mi venne incontro Assunta Legnante che, con poche parole, mi aprì il cuore: “Piacere, sono la capitana della Nazionale italiana, benvenuta tra noi"». —