La Stampa, 17 giugno 2023
Il mestiere dei copisti
C’è qualcosa che non torna nel dibattito sulla riforma della giustizia voluta da Carlo Nordio. Intanto non torna che il ministro non tolleri critiche al suo lavoro così come, dice, la politica non critica le sentenze: ognuno ha il diritto di criticare una sentenza e ognuno ha diritto di criticare una legge: è quella roba lì, la democrazia. Non torna che si parli dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, seppure discutibile, come dello sprofondo nella bolgia del crimine dei colletti bianchi (sul serio il sindaco di Basaluzzo o di Trebisacce sono colletti bianchi?), quando ventisette condanne e trentacinque patteggiamenti su cinquemila e 418 indagini (dati del 2021) dimostrano quanto prevalga il danno, nel contributo alla paralisi delle pubbliche amministrazioni e nei tribunali, sul vantaggio d’aver rifilato uno o due anni di reclusione all’uno virgola uno per cento degli indagati. Non torna, poi, che si ricominci con la storia del bavaglio per il divieto di pubblicare le intercettazioni sinché non le avrà valutate il gip, depennando quelle irrilevanti: questione di aspettare qualche mese, ma delle inchieste, degli addebiti e dei vari dettagli intanto si potrà scrivere comunque. Non torna, soprattutto, la nota dolente dell’Ordine dei giornalisti, allarmato dalla conseguente restrizione “del diritto dei cittadini a essere pienamente informati”. Curioso: i cittadini hanno diritto a essere informati, e il nostro dovere di informarli passa attraverso il dovere dei magistrati di elargirci il materiale a noi gradito, ma da loro raccolto, e fino all’ultima delle carte e subito? È davvero questo, di copisti, il nostro mestiere?