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 2023  giugno 17 Sabato calendario

L’Euroscommessa Forza Italia

È l’ultimo regalo che Silvio Berlusconi ha fatto alla sua amata Forza Italia. Metterla al centro, in vista delle prossime elezioni, di un processo europeo che al momento, a Bruxelles, è il “discorso”; e attraversa le strategie politiche di tutti i Paesi membri. Il progetto è ottenere nelle urne del giugno 2024 una maggioranza diversa da quella attuale, la “maggioranza Ursula” che, dal 16 luglio 2019, guida la presidenza della commissione con Ursula Von der Leyen, votata dal Ppe, una parte dei socialdemocratici (S&D) e dai liberali – più i voti (determinanti) di alcuni partiti euroscettici, tra cui il Movimento 5 Stelle. La Lega, che fa parte del gruppo Identità e Democrazia, votò contro, così come Fratelli d’Italia.
La nuova maggioranza dovrebbe invece essere formata da Popolari, Conservatori e Liberali, imprimendo dunque al governo Eu una virata a destra. Un vero e proprio ribaltone. La parte rilevante per noi è il ruolo che viene assegnato in questo processo all’Italia. Alla premier, ovviamente, che appartiene al Ecr; e a Forza Italia. La morte di Silvio Berlusconi ha infatti tolto alla sua creatura la protezione di un leader, ma l’ha anche resa “libera” di scegliere. Nel vasto palcoscenico Europeo, questo piccolo partito può fare dunque la differenza. Con quale maggioranza si schiererà? Rimarrà fedele al centrismo tradizionale del Ppe, di cui è parte? O inclinerà a destra come vuole la presidente del Consiglio?
Questa sfida è partita in Italia da pochissimo, annunciata dal viaggio, il 7 giugno, di Manfred Weber, presidente dei popolari europei, molto favorevole all’alleanza con i conservatori. Weber è venuto ad inaugurare una due giorni del Ppe, con invito di 177 europarlamentari. Accolto con grande amicizia da Tajani che si è schierato con molta chiarezza: «Forza Italia è centrale all’interno della famiglia del Ppe, in prospettiva anche delle elezioni europee. Faremo di tutto perché possa esserci un cambio di maggioranza, con una coalizione formata da Popolari, Conservatori e liberali». Weber ha fatto una altrettanto impegnativa dichiarazione: «Forza Italia è il pilastro del Ppe in Italia».
Fuori dall’incontro ma dominante in spirito, Giorgia Meloni, che è forse la più convinta del progetto; e nei fatti ne è il vero pivot, nel senso che dalle scelte che prenderà su vari temi economici, il Pnrr per primo, il fisco, e i migranti, riuscirà o meno a diventare il perno di questa nuova maggioranza.
Non che sia semplice portare avanti l’idea del ribaltone.
Se il progetto in teoria convince tutti, ha una condizione difficile da aggirare: no a estremisti ed euroscettici, come ha detto sempre a Roma Weber. «Il Ppe combatte per un’Europa più forte. Chiunque sarà nostro alleato in futuro dev’essere convinto di voler partecipare a un progetto comune di rafforzamento dell’Europa». Con sottolineatura di Tajani: «La possibile alleanza può essere fatta tra conservatori, liberali e popolari. Non è possibile fare un’alleanza con il gruppo di Identità e
Democrazia (cui è iscritto il partito di Salvini,
nda
). La Lega è molto diversa da Afd e dovrà decidere cosa fare. Siamo alleati in Italia, e le questioni europee riguardano le famiglie europee».
Le parole indicano un potenziale scontro nel centrodestra che si vorrebbe esportare in Europa ma che comincia a litigare all’ombra del Cupolone: Salvini non risponde a Tajani. Ma alcuni dei suoi rispondono: «I Popolari, quelli che da decenni mal governano in Ue a braccetto con socialisti e sinistra? No, grazie. Dobbiamo prendere atto, forse, che il Ppe preferisce continuare il cammino con Macron e le sinistre e la maggioranza Ursula».
Questa è la prima contraddizione nell’attuale governo. Ma in Germania Weber ha resistenze nella Cdu/Csu, e in Polonia il rapporto fra Ppe e Conservatori è logorato da una durissima campagna elettorale fra il presidente Morawiecki e il suo predecessore (popolare) Donald Tusk. Tuttavia questi sono in qualche modo “vincoli” esterni, europei. E ricadono soprattutto nel campo di chi non ha votato la coalizione Ursula – dunque Giorgia e Salvini.
L’altra contraddizione è invece squisitamente tutta italiana, e tutta nel campo del Ppe e Forza Italia.
I Popolari Europei sono da anni il gruppo più ampio del Parlamento Europeo, ma in lenta riduzione. Nel 1999 era il 37 per cento dell’emiciclo di Bruxelles, nel 2019 è sceso al 24 per cento, cioè 177 deputati su 705 del totale degli eletti nel parlamento Eu. Il timore è che scenda a 160 nel prossimo voto, del 2024, molto vicino cioè ai socialisti e liberali. Contenere il declino è importante perché in gioco c’è la leadership della Commissione, che oggi è appunto rappresentata da Ursula Von der Leyen. Ma nel resto dell’Europa il quadro non è brillante. Da decenni non c’è un leader di estrazione popolare in Francia e in Germania. E negli stessi due Paesi, Francia (i Republicains) e Germania i popolari sono in forte crisi, così come nei Paesi Bassi (numeri esigui). In Spagna il Partido Popular è in ripresa, ma leggera. In Italia, uno dei Paesi dove più hanno avuto influenza, con Forza Italia sono oggi ben lontani dal 25 per cento.
Insomma, per fare la nuova coalizione a Bruxelles, il Ppe non basta. Per questo è necessario imbarcare i conservatori – cosa che in Italia porterebbe in dote il partito in grande crescita di Meloni. Al contempo l’idea è che, proprio in Italia, il successo del nuovo governo possa dare a Forza Italia una nuova spinta alla crescita.
Quest’ultima speranza è stata tuttavia raffreddata dalla morte di Silvio Berlusconi.
Anche se i numeri per il ribaltone europeo ci sarebbero, dunque, non è facile coagularli. Le diffidenze e i rifiuti reciproci sono molti. La macroniana Renew Europe non vuole entrare in una coalizione con un partito dove c’è Marine Le Pen. In Germania la Cdu non pensa neppure lontanamente a collaborare con Alternativa per la Germania. Non graditi sono i polacchi del Pis e gli spagnoli di Vox. In Italia rimane la questione Lega, vicina al fronte sovranista e non entusiasta di rompere con la Le Pen. Ma a sua volta Meloni dovrebbe fare rinunce, con i polacchi, gli spagnoli, e Orban.
In un momento di attesa si trova Forza Italia, come si diceva. La morte di Silvio la priva di una guida ma anche di un appoggio economico. Il partito ha 90 milioni di debito con la famiglia di Berlusconi. Diversa e più impalpabile è la questione del consenso politico. Un giro di telefonate ieri sera con un paio di navigatori del partito di Silvio dava un po’ più di precisione al tipo di preoccupazione. Secondo queste fonti, non è questione «che riguarda i gruppi parlamentari». «Certo» dice uno di loro, «più vicini si arriva alle elezioni più difficile sarà tenere tutti coloro (e sono la maggioranza) che temono di non essere rieletti».
Ma «non sono un problema. Loro sono carne vile, già persi. Alcuni vecchi, di altri tempi. Chi li voterà senza Silvio?».
La preoccupazione riguarda piuttosto i “capi bastone”, che portano i voti dal territorio: uomini che per dire «nel Sud, sono molto importanti, come in Campania, nel sud e nel nord del Lazio, per non parlare della Sicilia. Sono sempre stati decisivi, e nelle europee si vota con il proporzionale. Loro saranno quelli che cambieranno gli equilibri, loro che sanno che senza Silvio il voto non sarà lo stesso di prima». Sul territorio si delinea dunque «la frana vera».
È molto probabile che questo voto andrà a FdI. Questa è la speranza anche di Chigi, e dei leader europei, ma la legge della compensazione fa si che non si risolva il problema: se FdI prende voti da FI, si rimane con lo stesso numero di voti. Tuttavia una forte affermazione di FdI darebbe una spinta di autonomia a Meloni in Europa. Il pendolo pare dunque continuare a tornare su Meloni.
Che in queste ultime settimane ha sfoggiato una grande dimestichezza con l’elite Europea. Testimonianza ne sono la visita del cancelliere Scholz e soprattutto il viaggio fatto a Tunisi con Von der Leyen e l’olandese Rutte. Un trio mai visto insieme, e impensabile fino a poco tempo fa, se si ricorda la ostinata opposizione degli olandesi al sud Europa e la freddezza di Von der Leyen. Ma Rutte è in difficoltà nel suo Paese con il “partito dei contadini” (discendente dai Gilet Gialli) e la Von der Leyen in campagna elettorale, in difesa della sua coalizione e rielezione, ed è ormai una pendolare con Roma. Segno di quanto punti ha la Meloni al suo attivo, oggi.
La presidente del Consiglio si è conquistata tutto questo, con un comportamento in Eu dove non ha trasportato i toni e l’aggressività identitaria che usa in Italia. «Ha dato segnali di rispettare i criteri europei» dicono a Bruxelles, sottolineando «il fermo sostegno a Zelensky», indicando la differenza di posizione presa sugli immigrati rispetto alla Polonia. Ma fino alle elezioni di Spagna e quelle Polacche, non si potranno davvero fare passi avanti perché il quadro è ancora confuso.
In Italia rimane comunque l’incognita Lega: quella Lega rimasta impigliata nel 2019, le altre elezioni Eu, con il fronte sovranista europeo, vicino a Putin. Anche allora si trattò di un assalto al predominio dei democratici a Bruxelles «Vinciamo noi e cambiamo l’Europa» era lo slogan. In Italia Salvini, allora nel governo gialloverde, vince il 33 per cento, ma il fronte sovranista in Europa fa flop e fu la fine del governo gialloverde e di Salvini vicepremier. Una vicenda che in Europa suggerisce ancora oggi cautela.
E se Silvio fosse ancora qui, chiedo ai miei due interlocutori, come deciderebbe sul tema, ricordando il suo schierarsi a favore di Putin sulla guerra? «Silvio non avrebbe bisogno di schierarsi. Col suo carisma scommetto che riuscirebbe a evitare a tutti di dover scegliere. Questa era la sua forza – non strappare mai».
Questa volta non strappare costerebbe forse grande fatica anche a lui. —