Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 17 Sabato calendario

Intervista a Giuseppe Tornatore

Giuseppe e i suoi padri. Quello biologico, da cui ha ereditato il nome e i tanti artistici che hanno accompagnato iquarant’anni di carriera che la Mostra internazionale del Nuovo cinema di Pesaro celebra con una retrospettiva esaustiva, tavole rotonde e un volume dedicato. È il filo rosso che emerge dalla conversazione con Giuseppe Tornatore sulla sua filmografia.
“Il camorrista”, 1986, è il primo film di finzione, ma anche la prima serie. Si vedrà, ora, su Paramount+
«Sì. È stato come prendere uno dei disegni dell’infanzia e poterlo tirare a lucido, ravvivare i colori. In quel set diedi il massimo, per l’età e la preparazione che avevo.
Fondamentale fu il sostegno del produttore Goffredo Lombardo, di Ben Gazzara, che fece un salto nel buio, degli attori che tifavano per me. C’erano sparatorie, scene di violenza, tutto fatto sul set, non c’era la post produzione digitale. I cinque episodi della serie li girai contestualmente. Il doppio della durata, più situazioni, personaggi. Un’idea che anticipava i tempi. Finalmente si vedrà».
Nel 1988 arriva “Nuovo Cinema Paradiso”, film Oscar, amato e citato da registi e cinefili di ogni latitudine.
«Sorprendente, non solo perché all’inizio non fu accolto bene. Mai mi sarei aspettato che da oltre trent’anni grandi registi lo citano, lo ricordano, giovani mi scrivono da tutto il mondo. Nasco in una salacinematografica. Ci misi tutta la passione, la conoscenza, anche del mestiere che avevo fatto a lungo. Chi ama il cinema lo coglie».
Nella cabina di proiezione alla fine di “Nuovo Cinema Paradiso“avrebbe voluto Fellini.
«Sì, lui rispose “sarei una presenza ingombrante, distarrrei la gente: Fellini, come si è ingrassato, ha perso i capelli…rovinerei il clima emotivo.
Non sono giusto. Ci vuole uno sconosciuto: fallo tu”. È stata una delle sue astuzie per sottrarsi, Federico era bravo a dire di no costringendoti a ringraziarlo».
Mastroianni, “Stanno tutti bene”.
«Film concepito nella fase in cui
Nuovo cinema Paradiso stava andando male. Ma ricordo l’entusiasmo di girare per l’Italia, una gita scolastica con Marcello, che conosceva i luoghi, decideva i ristoranti, sceglieva il menu. Era affettuoso, simpatico. Mi avvertì che Tonino Guerra avrebbe cercato di farmi cambiare film, misurava così la convinzione dei registi. Mi regalò una notazione per il protagonista, che amava chiacchierare e chiedeva agli altri di fargli domande: “Mi chieda perché sono qui, viaggio, ho questa valigia...” un contributo importante».
Ancora Philippe Noiret, l’episodio “Il cane blu”.
«Esperienza grottesca. Avevo un antico impegno per episodi dai racconti di Tonino Guerra. Il progettofallì ma dopo l’Oscar il produttore tornò alla carica, gli altri si erano defilati, io però avevo firmato l’impegno. Ero contrariato, lo girai senza scriverlo, improvvisavo sulla scaletta giorno per giorno. È stata una bella esperienza di vita, mestiere, scrittura. Noiret mi disse: “Le due cose peggiori per un attore sono lavorare con i bambini e gli animali, Escono dalla sala e dicono bravo il bambino, bravo il cane. Con te le ho fatte entrambe”».
Come nacque “Una pura formalità”?
«A Cecchi Gori, non piaceva nessun progetto che portavo. Mi innervosii: dammi un budget e lasciami fare. Lui non sapeva che storia fosse, o non me l’avrebbe fatta fare. Quel film è stata una delle intuizioni più felici della mia vita di regista e sceneggiatore.
Sapevo non avrebbe avuto successo di pubblico, ma speravo di incuriosire il mondo del cinema. E invece a Cannes fu trattato in modoterribile. Ogni anno c’è un film che viene preso di mira. C’era anche il dissapore di un certo mondo che era stato preso in contropiede dal successo diNuovo Cinema Paradiso.
OggiUna pura formalità è citato, richiesto, hanno tentato il remake inglese, l’hanno anche chiesto a me.
Era in anticipo sui tempi».
Si buttò su “L’uomo delle stelle”, che fu un successo. Poi “La leggenda del pianista sull’oceano”.
«Con Vittorio ci eravamo sciolti amichevolmente. Con Medusa iniziai a lavorare a un piccolo film, ma non ero convinto. Fui attratto da Baricco, un progetto costoso e complicato.
Prima di scrivere il copione volai in Carolina da Tim Roth a raccontarglielo, come avevo fatto con Depardieu per Una pura formalità. Accettò, scrissi per lui».
Il progetto su Leningrado mai realizzato, “La sconosciuta”, thriller sul traffico di bambini e maternità surrogata. E “Baaria”, il preferito?
«Tutti i miei film sono personali, ma qui c’è un motivo in più, la storia della mia famiglia. Un film complicato.
Sono felice di averlo fatto, è stato uno spartiacque perché ho sentito di aver esaurito la linea della Sicilia».
Con suo padre eravate uniti. Lui si fece intervistare al posto suo.
«A Parigi per Stanno tutti bene portai papà, guarito da poco da una malattia dolorosa. Aveva vissuto un paio d’anni a Parigi da giovane, quando era entrato in frizione con il mondo del Partito Comunista, dove lavorava. C’era anche Mastroianni, sul set i due avevano legato tanto. Io feci tardi a un’intervista in albergo e poichè papà si chiamava Giuseppe pure lui, quando lo hanno chiamato ha fatto l’intervista al posto mio».
Una figura centrale nella sua vita.
«È stato decisivo in tutto. Non ho mai avuto la fase di ribellione, mi sono sempre indentificato con lui: avere lo stesso nome non è solo un fatto esteriore. Era nato in un contesto umile, era illuminato, aperto, mi ha iniziato alla politica. Da ragazzino facevo il garzone del falegname, stampavo le foto, il proiezionista.
Quei soldi io non dovevo darli alla famiglia, compravo cineprese, moviole, obiettivi, finanziavo la mia febbre. Papà mi ha lasciato frequentare sale e cabine di proiezione, mi ha lasciato fare il cinema. E non si è mai vantato delle cose che ho fatto dopo. Era serio, misurato. Mi ha indotto a occuparmi di politica. A casa mia si parlava solo di questo. E quando tornavo da regista capiva il mio mestiere, mi dava consigli. Non è una visionemitizzata, era così».
Poi ha sviluppato un distacco dalla politica attiva.
«La militanza attiva è finita col trasferimento a Roma. Vedevo già lontana l’epoca in cui ero consigliere comunale, anche se nel 1994 ho poi fatto il candidato capolista a Palermo, mi avevano chiesto una mano. Dopo un anno mi sono dimesso, non ho più seguito. Voto sempre quel partito lì, anche se oggi è diventato un’altra cosa. Seguo, con i pochi momenti di speranza e i tanti di disillusione».
Alcuni dei suoi padri al cinema li ha omaggiati in libri e film meravigliosi, Come “Ennio”. Ce ne saranno altri?
«Ennioè stata una esperienza unica, complessa, dolorosa, mi sono lasciato guidare dal grande legame con lui.
Probabilmente rifarei l’esperienza, è bello occuparsi delle persone e delle loro storie, non so quante altre volte potrei imbattermi in qualcuno che ha avuto un tale impatto nella vita».
Prepara la serie “Nuovo Cinema Paradiso”.
«Ho scritto la prima stagione.
All’inizio ero perplesso,il produttore Belardi ha proposto una chiave che mi ha incuriosito. Mi sono immerso nei materiali che allora non avevo sviluppato. Ci sono tante idee, personaggi nuovi. E poi: una serie tv fatta per far venire al pubblico la voglia di tornare in sala non sarebbe uno schema perfetto?»