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 2023  giugno 17 Sabato calendario

Intervista a una mamma surrogata

«Chi sono Lia e Andrea per me?
Qualcosa di speciale. La mia famiglia italiana». Nancy Haker ha l’allegria nella voce. Calma, sicura, materna.
«Lo dicono anche le mie allieve in ospedale», scherza. Quattro figli, 56 anni, diversi mariti, capelli rossi, tatuaggi sparsi, una nidiata di nipoti.
E due maternità surrogate. Nel 2006 e nel 2008. Per una delle coppie pioniere delle famiglie arcobaleno in Italia, Tommaso Giartosio e Gianfranco Goretti. Scrittore Tommaso, insegnante Gianfranco.
Nancy, infermiera professionale, è californiana ma oggi vive a Bethel, in Alaska. «Faceva troppo caldo sulla West Coast», scherza. «Aiutare qualcuno a far nascere un bambino è diventato un reato? Tommaso e Gianfranco, padri meravigliosi, sarebbero dei criminali? Penso che in Italia siate impazziti».
Parliamo al telefono. Più volte. Nancy va diritta al punto. Al cuore del problema. Perché tra le posizioni inconciliabili e feroci sulla gestazione per altri che l’Italia definirà “reato universale” questa è un’altra storia. L’altra faccia della luna. Il racconto, trasparente, di un patto tra adulti che si sono scelti reciprocamente. «Da tempo volevo fare una gestazione per altri. Ma all’agenzia “Growing generation” dissi che sarei stata disponibile soltanto per una coppia gay. Scelta da me».
È andata così Nancy?
«Sì. Lo stesso giorno dell’incontro organizzato dall’agenzia a Los Angeles siamo andati a pranzo insieme. Per me era fondamentale conoscere le due persone che avrei aiutato a diventare padri. Avere la certezza che sarebbero diventati buoni genitori. Con Tommaso e Gianfranco la sintonia è stata immediata. Oggi è una grande amicizia. O qualcosa di più, ma la parola per definire il nostro legame ancora non l’abbiamo trovata».
Lei aveva già quattro figli, un buon lavoro. Perché offrirsi come madre surrogata?
«Vi sembrerà strano ma io adoro essere incinta. Sto bene, non soffro, sono felice. Quattro figli erano però sufficienti per me. Ho un cugino gay che avrebbe voluto disperatamente diventare padre, voleva adottare, ma non glielo hanno concesso. Di fronte al suo dolore ho deciso che avrei donato il mio utero a chi ne avesse bisogno».
Non aveva problemi di soldi?
Quanto ha guadagnato?
«Ventimila dollari per la gravidanza di Lia, ventimila dollari per la gravidanza di Andrea. Soldi che non hanno cambiato la mia vita, ho sempre avuto un ottimo lavoro. Anzi sono diventata surrogate mothersoltanto quando la mia carriera si è
stabilizzata».
La sua famiglia, i suoi figli?
«Mi hanno supportato. Siamo una grande tribù, senza schemi, piena di diversità. Adoriamo fare bambini. In Usa la maternità surrogata esiste da decenni e non sconvolge nessuno.
Qui ci sono contratti trasparenti, assoluta tutela per chi cerca un bambino e per le gestanti».
Contratti, appunto. Uno scambio commerciale.
«Ogni storia è diversa. Ho incontrato donne che facevano la maternitàsurrogata per denaro e altre per motivazioni altruistiche. Rispetto entrambe le scelte. Se non c’è sfruttamento, dove è lo scandalo?».
Cosa è sfruttamento per lei?
«Penso alle donne in India costrette dalla miseria a vendere il proprio utero, penso all’Ucraina dove anche sotto le bombe centinaia di ragazze fanno nascere per pochi soldi figli per altri. Nessuno ha forzato me a diventare madre surrogata».
Anche negli States ci sono gravi problemi di povertà.
«Ma le agenzie serie – e non tutte sono serie – accettano soltanto donne che sono già madri e con un reddito. Questa è una garanzia. E contratti chiarissimi».
Però mi chiedo: dopo nove mesi con Lia nella pancia, sentendola scalciare e crescere, non ha sofferto a separarsene? Il corpo ha un memoria.
«Ero felice della sua nascita, sono stata felice di tenerla in braccio, ma sapevo fin dal primo momento che Lia e poi Andrea sarebbero stati figli di Tommaso e Gianfranco, non miei.
Tutta la gravidanza per altri avviene con questa consapevolezza. Il concepimento in vitro è un fatto medico, non si realizza dopo una notte d’amore. L’ovocita è di un’altra donna. Non c’è legame biologico. Per questo è fondamentale essere già madri. Non ero triste, sapevo che Tommaso e Gianfranco, Lia e Andrea, sarebbero rimasti nella mia vita».
Cosa è per loro? Una specie di zia?
«In un certo senso. Sono stata diverse volte in Italia, tornerò il prossimo anno, sono stata testimone di nozze di Franco e Tommaso, quando i figli erano piccoli ci sentivamo molto spesso. Loro sanno bene come sono venuti al mondo, sanno che sono la “portatrice”. È tutto trasparente».
Portatrice, non madre. Non crede che oggi soffrano per la mancanza di una figura materna?
«Francamente no. Tommaso e Franco sono genitori meravigliosi e i ragazzi sono sereni. Io ho cresciuto quattro figli da sola e sono persone realizzate».
Offrire il proprio utero. Per molte donne è qualcosa di spaventoso.
«Per me è stata una gioia.
Dovrebbero ascoltare la mia esperienza».
Dopo Lia e Andrea lei non ha fatto più gestazioni per altri.
«Era sufficiente così. Avevo fatto il mio dono».