la Repubblica, 17 giugno 2023
Intervista alla cuoca di Azovstal
A 71 anni Tetyana Teplyuk è una donna che trasmette forza e disciplina. Appare impenetrabile anche dietro al sorriso. La recuperiamo in una clinica del Ministero degli Interni nel Nord Ovest di Kiev. Per la conversazione sceglie un ristorante dal nome italiano “Pesto cafè” dentro a un centro commerciale. È ora di pranzo ma ordina solo un tè verde.
Con il nome in codice “Godmother”, Tetyana ha iniziato a lavorare come infermiera e cuoca in una base del reggimento Azov nel 2015 a Mariupol. Ha vissuto l’assedio russo del 2022 all’interno di uno dei bunker centrali dell’Azovstal. È stata prigioniera nei territori filorussi e poi in Russia, prima di essere scambiata il 31 dicembre. Aveva perso 35 kg. Racconta tutto con distacco, ma crolla quando ricorda i suoi compagni vergognarsi per la fame.
Lo scorso mercoledì a Rostov è iniziato il processo-show contro 22 combattenti di Azov. E in questo contesto la testimonianza di Tetyana è importante. Della prigione di Olenivka ricorda le urla delle torture subite dagli uomini: «Sapevamo cosa stava succedendo. Li obbligavano a confessare crimini orribili, per costruire questi processi».
Qual era la sua occupazione prima della guerra?
«Ho lavorato la maggior parte della mia vita come infermiera. Quando è iniziata Maidan, ero nel servizio medico. Volevo andare al fronte, ma non era possibile a causa della mia età. Oggi ho 71 anni. In quel periodo ho ricevuto la chiamata di un mio figlioccio che era un soldato della brigata di Azov, mi ha proposto di trasferirmi come infermiera in una delle loro basi a Mariupol. Dal 2015, ci sono rimasta per sette anni».
Come si ricorda i primi giorni dell’assedio a febbraio 2022?
«Ho continuato a fare il mio lavoro come sempre: mi occupavo di medicare ferite lievi, fare bendaggi, somministrare antidolorifici. I bombardamenti erano intensi.
Spesso continuavo a medicare le persone anche durante questi momenti di allarme, senza andare nel rifugio. Un giorno il comandante mi ha rimproverato per questo».
Quando vi siete trasferiti nell’Azovstal?
«Agli inizi di marzo dopo che la nostra base era stata colpita ci siamo spostati più vicino all’area dell’acciaieria, in una scuola superiore. Faceva freddo e c’erano persone malate. In questa fase ho iniziato anche ad occuparmi della cucina. A metà aprile la situazione si è deteriorata e il comandante ha preso la decisione di trasferirci nell’acciaieria».
Com’era la vita dentro?
«L’Azovstal è un territorio immenso. C’erano tante aree di produzione e ognuna di loro aveva un bunker. In ogni bunker c’erano diverse forze. Io ero nel bunkerdegli Azov e mi occupavo delle ferite e della cucina. Dopo un po’ alcuni rifugi sono stati colpiti dai russi e altre forze si sono spostate da noi».
Qual è stato il momento più difficile?
«Il momento più difficile ha a che vedere con la fame. I combattenti tornavano con fame e disperazione. Io cercavo di cucinare con gli avanzi. Era dura, avevo perso l’appetito. Un giorno ho offerto il mio porridge a un soldato di ritorno. Ha iniziato a divorarlo, dopo che ne aveva mangiato la metà mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: ‘lo mangerò tutto’. Ovviamente era ok. Il suo nome di battaglia era Himul.
Ho capito in quel momento i miei genitori, e il rispetto con cui trattavano il pane, dopo aver vissuto l’Holodomor».
Come è arrivato l’ordine della resa?
«Il comandante è venuto da noi e ci ha comunicato che avevamo ricevuto l’ordine di consegnarci. Ci ha detto che la nostra parte aveva raggiunto un accordo con la Russiae che saremmo stati trattati da “prigionieri d’onore” e secondo la convenzione di Ginevra».
Come è stato il trasferimento al centro di detenzione?
«Il trasferimento iniziale è durato tre giorni. Siamo andati a piedi a un punto di incontro. Abbiamo portato con noi le nostre cose ma abbiamo abbandonato i simboli e gli oggetti che potessero dare fastidio ai russi. Ci sono venuti a prendere degli autobus.
Inizialmente ci hanno portato alla prigione di Olenivka».
Venivate interrogati? Avete subito torture?
«A Holenivka sono stata interrogata ma non ho ricevuto alcuna aggressione fisica. Né io né le altre donne. Erano i nostri soldati ad essere torturati. Li sentivamo urlare continuamente. Non ho mai sentito nulla di simile. I nostri cuori erano spezzati. Sapevamo cosa stava succedendo. Li obbligavano a confessare crimini atroci per costruire i processi farsa che sono iniziati questa settimana».
Quando siete stati portati in Russia?
«Il 27 di settembre siamo stati trasferiti a Taganrog. Le condizioni di prigionia erano migliori. C’erano tre di noi per ogni stanza. Avevamo un bagno. Ma percepivamo un odio molto più forte».
Quando è avvenuto lo scambio di prigionieri?
«Era il 30 dicembre: ci hanno chiamato e hanno portato quattro di noi fuori dalle nostre stanze. Ci hanno dato i nostri vestiti e ci hanno detto di cambiarci. Alla sera ci hanno fatto indossare la tenuta da prigioniere. Il giorno dopo siamo state scambiate».
Come è stato il ritorno alla vita in Ucraina?
«I primi giorni mi hanno portato in una clinica privata. Io non ho avuto problemi di salute durante tutto questo periodo. Però dall’inizio dell’invasione e soprattutto all’Azovstal ho perso l’appetito.
Quando sono tornata avevo perso 35 kg del mio peso».
Come sta ora?
«Sto bene e sono felice. Ma sono distrutta dal fatto che questa guerra si stia portando via così tante persone. Voglio che finisca il più presto possibile».