la Repubblica, 17 giugno 2023
Ritratto di Paolo Berlusconi
MILANO –Alla procura della Repubblica di Milano, nella lontana e sempre più rivisitata era di Tangentopoli (1992), lo chiamavano “Berluschino”. Essere il fratello minore di un essere umano dilagante e primeggiante in vari campi come Silvio Berlusconi, appare complicatissimo. Eppure, Paolo Berlusconi, 73 anni, 13 in meno del numero 1, non ha mai perso un’innata tenerezza, un sorriso contagioso, una gran voglia di vivere e divertirsi. Non è ancora stabilito che possa prenderelui in Senato lo scranno di Silvio, morto, come il mondo intero sa, lunedì scorso. Ma sinora non è stato escluso dai vertici di Forza Italia. E se ci fosse bisogno, non direbbe mai di no. Sarebbe la prima volta.
È dal lontano ’63 che Paolo è socio di Silvio in Edilnord, il primo pilastro dell’impero del Biscione. Ma si è sempre tenuto lontano dal proscenio. Ce l’aveva fatta sino all’inchiesta Mani Pulite. Quando (1994) gli tocca ammettere le tangenti pagate da Edilnord per realizzare – alposto di un milione e mezzo di metri quadri di marcite, con tanto di castello medievale – il Golf club di Tolcinasco, con appartamenti di lusso. Spiega che è stato lui ad avviare le corruzioni – un miliardo e 300 milioni (in lire) di mazzette a favore di politici e amministratori pubblici di Pieve Emanuele, paese alle porte di Milano – attraverso un manager del gruppo, l’ex comunista Sergio Roncucci. Uno che era stato presentato da Silvio a papa Giovanni Paolo II con sobrie parole:«È un comunista che abbiamo convertito». Brutto affare. Le “disponibilità extracontabili”, e cioè i fondi neri della Edilnord, non potevano non essere ammesse da Paolo Berlusconi. Il quale aveva già conosciuto i pubblici ministeri nell’inverno del ‘92 per le tangenti pagate per le discariche (all’uscita, per evitare i fotografi, si lanciò dentro il portabagagli di un pulmino Fiorino guidato dai carabinieri). E ci avrebbe avuto a che fare anche per le tangenti pagate dal gruppo per corrompere la Guardia di Finanza, attraverso il ragionier Salvatore Sciascia, fiscalista di fiducia, reo confesso e poi eletto senatore sotto le bandiere di Forza Italia.
Insomma, come Marcello Dell’Utri e come Cesare Previti, anche Paolo è uno dei fedelissimi di Silvio a finire nelle maglie della giustizia. E appare ormai preistoria anche un’altra vicenda emblematica. Siamo ad Arcore, alla vigilia di Natale del 2005. Pochi mesi prima c’era stata la scalata della Unipol alla Banca nazionale del lavoro. La società incaricata dalla Procura di effettuare le intercettazioni sull’affare non rispetta alcuna riservatezza. Ma non nel senso inteso dai garantisti.
Il top manager Luca Raffaelli ha copiato su una chiavetta la conversazione tra Piero Fassino, allora segretario Ds, e Giovanni Consorte di Unipol. E, attraverso un amico, un imprenditore e bancarottiere, raggiunge Paolo Berlusconi, quindi il fratello maggiore. Il quale «ci ha chiesto di fargli ascoltare quella cosa». Poi «ha aperto improvvisamente gli occhi è ci ha detto: grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno». Poco dopo, su “il Giornale”, uscirà l’intercettazione illegale, nella quale Fassino dice: «Allora abbiamo una banca?». Fassino verrà risarcito, quasi tutti saranno prescritti, l’unico a pagare con la condanna resterà il volenteroso Raffaelli.
È da oltre mezzo secolo che Paolo si dà fare, come sa e come può per il gruppo, e l’ombra giganteggiante di Silvio, se un po’ l’ha oscurato, certamente l’ha protetto. Ogni volta che Silvio ha avuto problemi, Paolo c’era. Un grande affetto lo legava al primogenito.
Amministratore del Giornale, di recente venduto agli Angelucci, e socio del Foglio, due matrimoni d’amore, tre lunghe convivenze (con Katia Noventa, presentatrice; Natalia Estrada, show girl e ora titolare di un maneggio di cavalli; con l’attrice e imprenditrice Carolina Marconi) e un nuovo amore – si dice – con un’altra bellissima (e più giovane di trent’anni), Paolo ha avuto quattro figli, tre femmine e un maschio. Supertifoso del Milan, l’anno scorso era il presidente del Monza che approdava in serie A.
Sempre di poche parole, in un’intervista ha detto: “Mio fratello è abituato ad alzare l’asticella”: e adesso, forse, l’asticella della politica si alza anche per lui. Ma nessuno potrà sentirgli dire: “Finalmente, era ora”.