Corriere della Sera, 17 giugno 2023
Europee, si tratta per abbassare al 3% lo sbarramento
Non c’è tanto tempo. Fra un anno si vota, da un mese si tratta: l’obiettivo è modificare la legge elettorale per le Europee, abbassando la quota di sbarramento dal 4 al 3%.
Ecco a cosa lavorano i partiti di maggioranza e opposizione, impegnati in colloqui informali, scambi di documenti, bozze di emendamenti. È un dossier di iniziativa parlamentare, che è a conoscenza del governo e che viene portato avanti dai gruppi nel più stretto riserbo, per evitare intoppi. Anche perché l’operazione – se avesse successo – dovrebbe realizzarsi a fine anno, completata la sessione di bilancio.
La discussione ha preso inizio nei primi giorni di maggio dopo una richiesta avanzata dai Verdi, che hanno proposto di «uniformare» lo sbarramento di accesso all’Europarlamento al modello in vigore per le Camere. A sostegno della tesi è stato fatto notare che nella gran parte dei Paesi comunitari i sistemi di voto prevedono soglie «simboliche» tra l’1 e il 2%. E in alcuni casi vige il proporzionale puro, senza cioè barrage. Ovviamente c’è un interesse diretto dietro questa iniziativa, dato che alle scorse elezioni nazionali gli ambientalisti alleati con la Sinistra hanno ottenuto il 3,6%.
Ed è evidente che il maquillage tecnico si porti appresso implicazioni politiche rilevanti. L’idea ha subito incontrato l’interesse (bipartisan) dei partiti minori. Ma anche FdI, fin dai primi contatti, non ha posto veti. E non solo perché memore di quanto accade nel 2014, quando Giorgia Meloni si fermò appena tre decimali sotto la soglia del 4% e non riuscì ad entrare a Strasburgo.
Il partito di maggioranza relativa ha intenzione di aiutare l’area centrista alleata. Ma se fino alla scorsa settimana il problema riguardava solo l’arcipelago post democristiano e Noi Moderati, dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi la questione potrebbe coinvolgere anche gli azzurri. Qualora il blocco di riferimento italiano del Ppe non conquistasse seggi, verrebbe messo a repentaglio il progetto europeo della premier. E soprattutto cambierebbe radicalmente la geografia politica nazionale delineata dal voto di settembre dello scorso anno.
È vero che gli alleati dei forzisti, compresi i leghisti, si mostrano fiduciosi e confidano sulla tenuta del centro grazie a un accordo tra i voti dello «zoccolo duro» berlusconiano (valutato il 5%) e il resto delle forze moderate che potrebbe portare in dote altri due punti. Di più. L’abbassamento del quorum – nelle loro valutazioni – consentirebbe a Matteo Renzi e Carlo Calenda di muoversi in autonomia, risolvendo così quello che viene definito «l’equivoco del Terzo polo».
Insomma, agevolare la riduzione dello sbarramento produrrebbe un saldo politico positivo. E probabilmente garantirebbe anche un ritorno elettorale, dato che il 3% resta comunque un’asticella complicata da superare. E a quel punto i seggi verrebbero divisi tra le forze più grandi. Sono valutazioni fatte prima della scomparsa del Cavaliere e sulla base di una trattativa chiesta dalle opposizioni.
Non tutte. Perché il Pd come al solito è diviso. C’è chi tra i fedelissimi di Elly Schlein non vorrebbe modificare il barrage, perché ritiene così di drenare voti a sinistra. E chi tra i dem sostiene invece che quei consensi si disperderebbero e allora sarebbe preferibile accettare l’abbassamento del quorum, in modo da consentire agli alleati di rafforzarsi nella prospettiva di futuri accordi di coalizione.
Una cosa è certa, se verrà cambiata la quota di sbarramento verrà modificata anche la norma per la raccolta delle firme a sostegno delle liste, escludendo dall’incombenza i partiti presenti in Parlamento. Anche di questo si è discusso, e tanto basta per capire che il lavoro per raggiungere un’intesa è già avanti. Ma fino a dicembre nessuno si esporrà sui contenuti delle modifiche alla legge elettorale. Sarebbe una sorta di surplace prima di aprire il dibattito sul «diritto di tribuna» in Europa delle forze minori: il segnale d’avvio dell’operazione 3%.