Corriere della Sera, 17 giugno 2023
Il riforma che divide i magistrati
Roma Matteo Renzi, così come Carlo Calenda e Mara Carfagna, offre più di un’apertura del Terzo polo alla maggioranza sulla riforma Nordio: «Ha alcuni segnali timidi ma importanti». Ma il leader di Italia viva, nello stesso tempo, solleva il sospetto che possa essere la maggioranza «nella quale convivono un’anima garantista e una forcaiola» a dividersi: «Il punto non è se l’appoggeremo noi, ma se l’appoggeranno loro». Le forze di governo, d’altra parte, puntano il dito sulle contraddizioni interne al Pd: in particolare sul fatto che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio ha molti sostenitori tra i sindaci dem. Emergono distinguo anche tra i magistrati: molto critiche Area, Unicost e Magistratura democratica, più aperturista la valutazione di Magistratura indipendente.
Il giorno dopo il via libera in Consiglio dei ministri, la riforma della giustizia scompone e ricompone il quadro politico. Il viceministro Francesco Paolo Sisto, di Forza Italia, sicuramente ascrivibile nella squadra dei garantisti, va dritto: «Con il reato di abuso di ufficio è il processo che diventa la punizione, non la sentenza. Per questo, e per la levata di scudi di tutti i sindaci, abbiamo scelto di abrogarlo in quanto inutile e dannoso». Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani (Fratelli d’Italia), parla di riforma «semplicemente in continuità con quello che avevamo detto in campagna elettorale». Quindi definisce quello disegnato dal nuovo complesso di norme «un sistema più garantista, che mette al riparo i cittadini dalle esagerazioni e dalle esasperazioni di una giustizia che spesso infligge la pena di un processo a fini mediatici o la pena di intercettazioni che vanno sui giornali».
Ciro Maschio, deputato di FdI, anche in considerazione del suo ruolo di presidente della commissione Giustizia alla Camera, apre comunque al dialogo: «Siamo pronti ad accogliere il testo nel clima di confronto che ci ha sempre contraddistinto, così da arrivare entro l’estate all’approvazione». Anche la cancellazione del reato di abuso d’ufficio – chiarisce Maschio – è una decisione figlia di una discussione «all’interno della maggioranza» che aveva ipotizzato anche una riformulazione invece che l’abrogazione. «Non abbiamo voluto lasciare margini a quella indefinitezza delle fattispecie che ne ha consentito un utilizzo improprio». Allineata la Lega, altra espressione dell’anima meno garantista della coalizione, che difende la riforma e proprio la cancellazione del reato di abuso d’ufficio: «È un segnale importante, fa recuperare operatività alla Pa».
Ma su questo tema, il più discusso, arrivano voci favorevoli anche dall’area, in senso largo, del centrosinistra. Franco Bassanini – che è stato ministro e sottosegretario nei governi guidati da Romano Prodi e Massimo D’Alema e padre della riforma di semplificazione amministrativa – rivolge ai dem un appello: «L’abolizione dell’abuso d’ufficio è stata per anni una battaglia di ministri e sindaci di sinistra». E Pier Ferdinando Casini invita i dem a non fare dell’abuso d’ufficio e della diffusione delle intercettazioni «un baluardo politico». Ma Elly Schlein esplicita la contrarietà all’abrogazione e invia i due capigruppo e i parlamentari che si occupano della materia a provare a ricomporre le divisioni con i sindaci dissidenti.
Protesterà in piazza il Movimento Cinque Stelle, contrario su tutta la linea. «Il reato di abuso d’ufficio lo avevamo già circoscritto, ma abolirlo elimina presidi anti corruzione, non possiamo permettercelo», dice Giuseppe Conte. Francesco Silvestri, capogruppo a Montecitorio, sollecita a non sminuire la portata della riforma: «Non direi che la montagna abbia partorito il topolino. È il topolino che ha partorito la montagna».