Corriere della Sera, 16 giugno 2023
Padre Georg Torna a Friburgo
CITTÀ DEL VATICANO Due righe di comunicato per liquidare la faccenda: «In data 28 febbraio 2023, monsignor Georg Gänswein ha concluso l’incarico di Prefetto della Casa Pontificia. Il Santo Padre ha disposto che dal 1° luglio rientri, per il momento, nella sua Diocesi di origine». A mezzogiorno di ieri, la Santa Sede ha confermato ufficialmente ciò che era trapelato un paio di settimane fa: l’arcivescovo tornerà dal mese prossimo nella diocesi di Friburgo.
In Germania un quotidiano come la Süddeutsche Zeitung titola: «Der Gipfel der Demütigung», l’apice dell’umiliazione. Sebbene il fatto che si dica «per il momento», come un inciso purgatoriale, attenui un po’ la durezza del provvedimento e faccia pensare che in futuro potrebbero essergli assegnati nuovi incarichi. Gänswein del resto è un arcivescovo di 66 anni, lontano dall’età della pensione fissata per i vescovi a 75. Chi gli è vicino lo descrive molto amareggiato, «non è il momento di parlare», spiega agli amici. Lascia Roma dopo 28 anni: arrivò in Vaticano nel 1995, un anno prima che Ratzinger lo chiamasse all’ex Sant’Uffizio e lo scegliesse poi come segretario personale.
Si dice che stia trovando alloggio nel seminario diocesano. Per qualche tempo rimarrà senza incarichi. Se ne parlava dall’ultima udienza con Francesco, il 19 maggio. Era stato Benedetto XVI a nominarlo Prefetto della Casa Pontificia il 7 dicembre 2012, tre mesi prima di dimettersi. Francesco lo aveva mantenuto in carica, quasi un «ponte» con il predecessore. Ma poi le cose si sono complicate. Ora si viene a sapere che l’incarico è scaduto il 28 febbraio: a dieci anni esatti – la durata di due mandati quinquennali – dalla rinuncia al pontificato di Ratzinger. Di fatto, però, Gänswein non era più prefetto da tre anni, lui stesso si era definito un «prefetto dimezzato». All’inizio del 2020 era uscito in Francia un libro del cardinale Robert Sarah contro ogni apertura sul celibato sacerdotale, a doppia firma con Benedetto, poco prima della risposta attesa di Francesco (che peraltro non arrivò) alla richiesta del Sinodo amazzonico di poter ordinare preti dei diaconi sposati. Sembrava una interferenza dell’emerito sul Papa, cosa che Ratzinger era sempre stato attento a non fare. Gänswein disse di aver chiesto di «togliere il nome di Benedetto come coautore» – ne era stato pubblicato un testo – parlando di «malinteso», Sarah ribattè che erano d’accordo. Fu l’ultimo di una serie di «incidenti» che negli anni precedenti avevano visto l’ala più tradizionalista della Chiesa usare pubblicazioni di Benedetto in opposizione al successore. Così Francesco congedò l’arcivescovo, «lei rimane prefetto ma da domani non torna al lavoro», ha riferito Gänswein nel suo ultimo libro, «Nient’altro che la verità», pubblicato all’indomani dei funerali di Benedetto. Anche quel libro era servito, nel mondo tradizionalista, come tentativo post mortem di usare Benedetto XVI contro Francesco. Gänswein ha sempre negato di aver voluto creare divisioni, «è un pregiudizio che non accetto, ci sono correnti che non vogliono proprio amarmi».
Il Papa era stato durissimo a proposito delle «storie cinesi», ovvero delle menzogne seguite alla morte di Benedetto: «La gente che strumentalizza una persona così brava, così di Dio, quasi direi un santo padre della Chiesa, quella gente non ha etica, è gente di partito, non di Chiesa».