La Lettura, 17 giugno 2023
Le regole di vita di Tolstoj
Incredibile, sconcertante, ma sempre magistrale Lev Tolstoj. A diciotto anni è già saggio, categorico, contradditorio, polemico come a ottanta. Lo dimostra questo volumetto smilzo e prezioso, inedito, apodittico, ferreo catalogo di Regole di vita che ha l’intransigenza della giovinezza (lo scrive tra i diciotto e i vent’anni), l’equilibrio della maturità, la lucidità della vecchiaia. Ha fatto bene Lucio Coco a ripescarlo in uno dei novanta volumi delle opere complete, tradurlo per la prima volta in Italia (ma, attenzione, alcune regole erano già note e comunque gli inediti tolstoiani da noi sono moltissimi!): sarebbe bello finisse nelle mani dei nostri adolescenti. Sì, lo si legga, lo si mediti e tuttavia non si dimentichi (Coco ovviamente non lo dice) che per ogni rigida regola scritta c’è il suo allegro rovescio, la sua clamorosa smentita nella avventurosa biografia dello scrittore, piena di frequenti, goduriosissime trasgressioni.
Santo e peccatore. Sì, ascetico e intemperante fino alla morte nella desolata stazioncina di Astàpovo, dove rifiuta moglie, figli, ricchezze, celebrità, benedizioni, assoluzioni e affronta sfrontatamente l’aldilà in barba a politici, preti, giornalisti accorsi a contendersi le ultime parole. Fuori tutti. Resta solo nella sua misera branda, testardamente convinto di aver ragione nel disprezzare l’avido, corrotto, meschino mondo intorno. E vuole essere sepolto nella nuda terra, senza croci, lapidi, monumenti. Un tumulo di erba verde. Nemmeno il nome. Sic transit gloria mundi. Sì, incredibile, sconcertante, ma sempre magistrale Lev Tolstoj.
Qualche volta essere orfani può dare buoni frutti. Lev perde la madre a due anni, il padre a nove: così lui, i suoi tre fratelli e la sorella Marija vengono allevati da zie e cugine, che a loro volta muoiono una dopo l’altra, e i rampolli Tolstoj passano di casa in casa, crescono senza una vera famiglia. Nobili, ricchi, soli. Lev è un adolescente inquieto, turbolento, introverso: bello e impossibile, come canta la Nannini. Categorico, massimalista, intransigente con sé stesso, fin da ragazzo tiene un diario (una delle regole: «Non tralasciare nessun pensiero senza averlo trascritto e averlo sviluppato al momento opportuno»). Un modo per pensare a quello che fa, per ragionare su quello che gli succede, per organizzarsi la vita e, chi sa mai, per allenarsi alla scrittura. Che cosa farà nella vita non ha nessuna idea. Comincia l’università, cambia un paio di facoltà, da giurisprudenza a lingue orientali, poi l’abbandona senza laurearsi e finisce per arruolarsi nell’esercito sull’esempio del fratello maggiore.
È incostante, disordinato, passionale, impulsivo: vuol diventare tenace, ordinato, freddo, razionale. Scrive a più riprese elenchi interminabili di regole, infarcisce i suoi diari di norme forsennate, incatena le sue giornate a ritmi micidiali, si sottopone a precetti inflessibili. Un esempio? «1) Alzarsi alle 5, coricarsi alle 9 o alle 10. 2) Mangiare moderatamente, niente dolci. 3) Fare un’ora di passeggiata al giorno. 4) Realizzare tutto quanto stabilito». Non male per un diciottenne. Oppure: «Ogni mattina fissare tutto ciò che devi fare nell’intera giornata e portarlo a termine anche nel caso la sua realizzazione porti qualche danno». O ancora: «Se fai qualcosa, impegna ogni tua facoltà in quella attività».
Perfetto. Salvo poi, come sappiamo bene, trasgredire ogni punto allegramente. Niente dolci forse, ma parecchie sbronze. «Uccidere con l’operosità la propria lussuria»: sì, certamente, operosità, ma altrettanta lussuria senza ritegno. Bordelli, ragazze di bassissima estrazione sociale, contadine: da una di queste avrà anche un figlio. Regola 18: «Non prendere le carte da gioco in mano». Regola che dura poco: giocatore accanito, perde case e tenute al whist (può permetterselo), ma negli ultimi giorni vuole lasciare tutti i suoi averi ai poveri, con comprensibile stizza della moglie, che gli ha dato tredici figli (alcuni morti in tenera età) e vuole sfruttare l’opera del marito, costruendo un astuto, lautamente redditizio business, seguendo i consigli della altrettanto accorta moglie del collega del marito Fëdor Dostoevskij, morto trent’anni prima.
A diciotto anni Lev ha le idee chiare: «L’attività di un uomo si manifesta in tre relazioni. 1) Nella relazione con l’Essere Supremo. 2) Nella relazione con esseri uguali a sé. 3) Nella relazione che ognuno ha con sé stesso». E specifica: nella relazione con sé stesso bisogna raggiungere il dominio sul corpo, sui sensi, sulla ragione. Del corpo si occupa con una ossessione che anticipa di centocinquant’anni gli odierni patiti del fitness.
Al termine di queste Regole c’è un’intera sezione di dettagliati esercizi, un programma da personal trainer (Lev frequentava la palestra di un famoso atleta moscovita). Molte camminate, jogging, stretching («Tenendo un asciugamano, passare le braccia sopra la testa e dietro la schiena»), esercizi con i pesi per sviluppare addominali («Appendersi e sollevare le gambe tenendole tese»), pettorali («Stendersi a terra e alzarsi sulle braccia, tenendo il corpo diritto»). Fondamentale il controllo della memoria: «Ogni giorno studia dei versi in quella lingua che conosci debolmente», «Ripeti la sera tutto ciò che hai appreso durante il giorno».
Intendiamoci, di scrivere ha sempre più voglia. Tra i suoi progetti c’è: pubblicare una rivista di morale, redigere un manuale di religione per il popolo semplice (trent’anni dopo, grandiosa sarà la sua rilettura dei Vangeli), scrivere un promemoria di storia russa, scrivere brevi racconti utili.
Dunque ci siamo. La scrittura è alle porte. Queste regole adolescenziali, inflessibili ma poi molto flessibili, sono un germe fecondo da cui nasceranno tutti i suoi personaggi, altrettanto complessi e contradditori, come lo è Lev ventenne. Che hanno un corpo forte e allenato come il suo e lo useranno (si pensi alla magnifica scena della falciatura in Anna Karenina), hanno scoppi di sensualità ingorda (come dimenticare lo sguardo assatanato di Pierre Bezuchov di fronte alle floride spalle, al seno prosperoso di Hélène... eppure la prima regola per l’assoggettamento del sentimento d’amore dice: tieniti lontano dalle donne).
Ci sono regole, proprio tra le prime, scritte dal diciannovenne Lev a Kazan’, quando è in università, che parlano della sua inquieta ricerca di fede. «Per formarsi un’idea di Dio, diamo inizialmente uno sguardo alle nostre attitudini morali e poi alla natura». Dio è prima di tutto armonia con il creato, con quell’erba, con quello scarabeo, con quel cielo che ha sopra di sé. «Sì, quello che so, non lo so con la ragione, ma mi è dato, mi è rivelato e io lo so col cuore...». La natura, grande maestra di vita e di spiritualità: Lev lo ha già capito a vent’anni, non la ragione ma l’anima guida la sua vita.
Queste Regole sono un magnifico inizio, ma non ci si fermi qui. Per tutta la vita Lev si è tormentato sul senso della vita, della fede, delle azioni umane. Si legga la sua grandiosa Confessione: «Un viaggiatore, sorpreso nel deserto da una belva feroce, per salvarsi si precipita in un pozzo asciutto, ma sul fondo vede un drago che spalanca le fauci per divorarlo. Lo sventurato si aggrappa ai rami di un cespuglio cresciuto in una fenditura del pozzo. Sbucano due topi e incominciano a rodere il fusto del cespuglio a cui è attaccato. Sulle foglie del cespuglio vede delle gocce di miele e comincia a leccarle, ma ben presto le sente amare». Il drago è la morte, i rami in procinto di staccarsi la vita, il miele le gioie che solo per un istante attenuano l’orrore del drago della morte. Non illudiamoci, il sapore dolce del miele dura poco. Ci attendono le fauci del drago. Pensiamoci sempre