Tuttolibri, 17 giugno 2023
Vizi e virtù delle vittoriane
«Il matrimonio è stato un bel po’ al centro dei tuoi interessi», osserva Annie, la protagonista de Il matrimonio del prete di Nora Vynne, rivolgendosi all’amica Effie, la quale ribatte: «A che altro c’era da pensare… quando ho finito di andare a scuola e non ero abituata a non avere nulla da fare?». Intrighi e complicazioni matrimoniali sono al centro del romanzo di Vynne, una scrittrice inglese della fine dell’800 impegnata a migliorare la condizione delle operaie, che ora arriva anche in Italia a cura di Maria Teresa Chialant, una nota studiosa della narrativa vittoriana.Pubblicato nel 1899 dalla casa editrice Putnam’s di New York, che aveva una sede anche a Londra, esso è un esempio di narrativa sentimentale, consapevole del cambiamento dei tempi. Infatti, Vynne pone in risalto la figura della new woman, rivolgendosi a un pubblico borghese giovane e sufficientemente emancipato, senza trascurare problematiche radicate nella cultura vittoriana, a cominciare da quelle legate alla tradizionale visione cristiana, messa in crisi dall’avanzata del positivismo darwiniano, come anche dalle diatribe interne tra i fautori del credo anglicano, il fondamento della monarchia britannica, e quelli che guardavano con simpatia alla chiesa cattolica, rinvigorita dal cosiddetto Oxford Movement e da conversioni come quella del cardinale Newman.Giustamente, nella sua densa introduzione, Chialant ricorda l’affermazione della narrativa femminile nell’ultimo decennio dell’Ottocento, e il suo appoggio alla lotta delle suffragette, citando Mona Caird, Sarah Grand, George Egerton ed Ella Epworth Dixon. Aggiungiamo che anche qualche voce maschile si inseriva abilmente nel coro, come quella dell’anglo-canadese Grant Allen, l’autore del popolarissimo The Woman Who Did (tradurrei La donna che osò farlo, 1895), inedito in Italia, che racconta le vicende di una donna emancipata, la quale rimane fedele a una relazione extraconiugale e «vive nel peccato», attirando sulla sua testa una serie impressionante di sventure. Se si considera che la visione patriarcale più repressiva traeva vigore e legittimità proprio dall’interpretazione della Bibbia, si capisce come la lotta per l’indipendenza femminile e la contestazione dei princìpi cristiani andassero a braccetto. Non tutte le scrittrici tardo-vittoriane, ovviamente, erano su posizioni progressiste: basterà pensare a Mary Augusta Arnold, meglio conosciuta come Mrs. Humphry Ward, che in Robert Elsmere (1888) cerca di esaltare i valori cristiani, coniugandoli con una nuova sensibilità sociale. L’opera ebbe un successo clamoroso, tanto che il primo ministro Gladstone ne scrisse una dettagliata recensione, e, secondo Virginia Woolf (che non scherzava in fatto di ironia nei confronti di alcune «colleghe»), inaridì la vocazione narrativa di Mrs. Ward.Nel caso de Il matrimonio del prete ci troviamo in un ambito più circoscritto, poiché il motivo principale è costituito dal matrimonio infelice tra Annie e un ricco cattolico spretato, Eustace Stravil, pieno di sensi di colpa e convinto che «l’amore» (ovvero il sesso, da cui è morbosamente attirato) e «il peccato» siano la stessa cosa. L’intreccio secondario, che ha numerosi punti di contatto con la vicenda principale, segue il rapporto fallimentare tra Ella, una ragazza piena di contraddizioni (veste in modo provocatorio ma è rigorosamente anglicana), molto attenta ai soldi di cui dispongono i suoi pretendenti, e Dick, un giovane fin troppo mite e perbene, grande amico di Annie. Tra gli altri personaggi maschili spicca George Sutton, il giovane filantropo attratto in modo superficiale dagli ideali socialisti.Siamo, comunque, alle origini del romanzo sentimentale o, se si vuole, «rosa», che si affermerà nel corso del Novecento, con un processo di mutazione genetica che permette a Il matrimonio del prete di conservare un’impostazione ancora vittoriana. Basterà pensare all’ambientazione urbana, che esplora alcune zone di Londra, tra cui i Kensington Gardens, resi celebri qualche anno dopo da J.M. Barrie (ancora oggi al loro interno si trova la statua di Peter Pan), all’attenzione data al vestiario, alle descrizioni riservate alla vita quotidiana della middle-class, e ai rituali sociali. Il realismo di Vynne ha, peraltro, limiti evidenti: ad esempio, l’origine della ricchezza che permette all’ex prete una vita oziosa rimane del tutto oscura, oppure, nel caso del più fortunato tra gli spasimanti di Ella, ha cause del tutto improbabili. In alcuni episodi, Vynne mostra una pruderie degna dei timorati predecessori: le allusioni alle prostitute frequentate da Eustace sono talmente evanescenti da consentire la lettura de Il matrimonio del prete alla più casta delle fanciulle vittoriane.Cosa, dunque, rende interessante il romanzo di Vynne e valida la sua riproposta? Innanzitutto, la rappresentazione di un mondo ormai privo di valori sia etici (tutto ruota attorno al denaro in tasca ai futuri mariti), che intellettuali: nel boudoir di Annie coesistono un crocefisso e la statuetta della Venere di Milo, ma, nella loro diversità, i due oggetti sono semplici copie, souvenir personali. Poi, l’uso massiccio di dialoghi brillanti e vivaci, ricchi di humour e di auto-ironia, vicini a quelli delle commedie di Oscar Wilde e di George Bernard Shaw, che spopolavano nei teatri londinesi della fin-de-siècle. Soprattutto, la dimensione femminile trionfa nei dialoghi stessi e attraverso i punti di vista, affidati in larga misura ad Annie e alle giovani donne che l’eroina frequenta e che si frequentano per spettegolare su di lei o sulle rispettive prospettive matrimoniali. Peccato per la conclusione (spoiler alert), che redime la figura odiosa di Eustace, mostrando l’ex-prete pentito, pronto a tornare, come se nulla fosse, nella chiesa «papista» e addirittura desideroso di benedire una nuova unione per Annie, da cui ha intanto avuto un figlio. Tutto bene quel che finisce bene, malgrado qualche pesante ammaccatura, proprio come in un romanzo rosa dei nostri tempi.