il Giornale, 16 giugno 2023
Biografia di Andrea Pazienza
A pochi passi da uno degli ingressi del cimitero di San Severo, in un fazzoletto di terra all’ombra di un cipresso, c’è una grossa pietra calcarea modellata dal vento del Gargano. Da crepe e fessure spuntano pennelli sottili, matite, pennarelli di ogni colore. Per gli appassionati di fumetto è meta di pellegrinaggio, quando si capita da queste parti: vi riposano le spoglie di Andrea Pazienza, protagonista unico ed eccezionale della nona arte. «Se mi dovesse succedere qualcosa, voglio solo un po’ di terra a San Severo, e un albero sopra» sono le parole dette un giorno al padre Enrico, insegnante di educazione artistica e pittore. Nel 1988 i due stavano organizzando la prima mostra insieme, a Peschici, dove avrebbero esposto una serie di quadri e disegni ad acquerello. Andrea non fece in tempo a vederla: scomparve nella notte tra il 15 e il 16 giugno nella sua casa di Montepulciano. Un malore improvviso, forse causato dall’eroina con cui aveva a lungo flirtato prima di rifugiarsi in Toscana, in cerca di una nuova vita. E se anche fosse? Cambierebbe qualcosa nel nostro giudizio sull’artista e sull’uomo? Era un giovane bello, solare e generoso, dotato da madre natura di una singolare predisposizione al disegno. Un dono raro che gli permetteva di dare vita alle immagini con un gesto rapido, fluido e sicuro. Come ogni grande artista, Pazienza univa questo talento creativo innato a una sensibilità estrema; il solo vizio che può averlo ucciso è «il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere», per dirla con le parole di Guccini, suo compagno di serate al Premio Tenco. Pazienza genio precoce: il suo primo disegno riconoscibile è un orso realizzato a soli 18 mesi. Pazienza giovane promessa: al Liceo Misticoni di Pescara stupisce gli insegnanti per la naturalezza del gesto e le doti tecniche non comuni. Dipinge quadri, li espone, vince diversi concorsi. Alcune di queste opere giovanili costituiscono la collezione permanente del Claps, museo inaugurato lo scorso dicembre nella città abruzzese proprio per celebrare l’artista. Poi Bologna, il Dams, il 1977. Il fumetto. La leggenda di Pazienza nasce qui, in una casa occupata al 20 di via Clavature, la Traumfabrik. Un ritrovo di creativi, fumettisti come Filippo Scòzzari, protagonisti del rock demenziale come Freak Antoni e i componenti dei Gaznevada, videomaker come Renato De Maria. Fuori, la Bologna del Movimento, di Radio Alice, di Francesco Lorusso, «un ragazzo venuto dal niente/ ucciso per strada/ colpito alla fronte». Non sono solo i versi di Roberto Roversi o le pagine di Enrico Palandri a raccontare quei giorni: le splendide tavole autobiografiche de Le straordinarie avventure di Pentothal, pubblicate su Linus, mostrano lo smarrimento di Pazienza di fronte ai mezzi blindati per le vie della città. Il successo è immediato, i giovani hanno finalmente trovato la voce capace di raccontarli. Nel frattempo, Il Male e Cannibale ospitano vignette mordaci e brevi storie scanzonate. Celeberrimo il Pippo sballato fuggito dalla Disney per dedicarsi alle droghe in una comune di fricchettoni. Sulle pagine di Frigidaire nasce nel 1981 il personaggio di Zanardi, che attraversa gli anni Ottanta capeggiando un trio di liceali amorali e privi di scrupoli. Pazienza non giudica le loro turpi azioni, si limita a rappresentare una gioventù concentrata su se stessa e tesa unicamente a soddisfare i propri piaceri, come oltreoceano racconterà, pochi anni dopo, Bret Easton Ellis in Meno di zero. Nel nuovo decennio Pazienza assurge a rockstar del fumetto. Disegna tantissimo, le riviste se lo contendono perché i lettori lo seguono fedelmente e pubblicarlo significa aumentare le copie vendute; realizza copertine di dischi e pubblicità, viene immortalato da Oliviero Toscani per Vogue. Fellini gli commissiona l’affiche per il film La città delle donne, ma la collaborazione non funziona a dovere: «Sono d’accordo con Fellini quando dice che sembra il manifesto di una parrucchiera», afferma Pazienza in un’intervista. Dopo anni vissuti al massimo, il fumettista entra in crisi. L’eroina, le cattive compagnie che la droga si porta dietro, la fine di una importante relazione amorosa. Il 1984 lo vede stremato, è l’annus horribilis. L’amico editore Mauro Paganelli lo sottrae a Bologna e ai suoi veleni, gli trova casa a Montepulciano. Nella quiete della campagna toscana Pazienza rinasce, si dedica a nuovi progetti artistici, si innamora della disegnatrice Marina Comandini. Per un certo periodo la coppia ha per vicino di casa il poeta Moreno Miorelli, una figura che si rivela cruciale in questa seconda parte del percorso artistico del nostro. Tramite lui Pazienza scopre Campofame, componimento dello scrittore americano Robinson Jeffers, trasformandolo in uno struggente fumetto; e si fa rapire dall’ipnotica voce di Carmelo Bene che recita Byron e i poeti russi di inizio Novecento. Majakovskij, Esenin, Pasternak e Blok diventano la colonna sonora di Pompeo, capolavoro grafico di Pazienza uscito in volume nell’ottobre del 1987. È una storia fortemente autobiografica in cui l’artista si mette a nudo affrontando i fantasmi del passato e, alla fine, fa morire il suo alter ego fumettistico. Nella postfazione Pazienza parla con tono saggio e disincantato ai lettori, l’esorcismo sembra riuscito. Non è così. In una notte di giugno di sette lustri fa, accade l’irreparabile. Pazienza ha solo trentadue anni. La chiesa di San Biagio, a Montepulciano, lo splendido tempietto rinascimentale dove nel 1986 era stato celebrato il matrimonio con Marina Comandini, è il luogo della cerimonia di commiato. Curiosamente, nel 1971 l’artista aveva dipinto un quadro dal titolo Andrea Pazienza is dead che rappresenta il suo funerale: una bara portata in spalla e un numeroso seguito di persone, diversi volti segnati dal pianto, un giornale con la notizia della morte a caratteri cubitali. I presenti ricordano bene il momento in cui la bara uscì dalla chiesa: il cielo si oscurò improvvisamente e si scatenò un forte temporale. Era la voce di Andrea che tuonava dall’alto, per un ultimo potente saluto. I veri artisti sono posseduti da una forza creativa ancestrale, e chi ha avuto la fortuna di vedere Pazienza all’opera lo sa bene. In rete c’è un video di quattro minuti che documenta la straordinaria performance nei padiglioni della Mostra d’Oltremare di Napoli, il 2 maggio 1987. Pazienza è di fronte a una parete di otto metri per tre, completamente bianca. La studia, prende un grosso pennello, una latta di vernice nera e comincia la magia. Il pubblico è incredulo: in poco tempo e senza nessun disegno preparatorio l’artista inscena una lotta tra fanti, cavalieri, leoni, antilopi, avvoltoi. Un recente saggio curato da Michele Mordente ha messo in luce le analogie con una grande tela di Jacques-Louis David, Le Sabine, conservata al Louvre. Il murales di Pazienza, invece, dopo esser stato restaurato e staccato dal muro originale, da dieci anni è inspiegabilmente chiuso in un padiglione inaccessibile al pubblico. Un tesoro nascosto che i tanti ammiratori di Pazienza vorrebbero poter finalmente ammirare.