la Repubblica, 14 giugno 2023
Intervista a Riccardo Muti
Gli impegni in agenda arrivano già al 2028, segno della stima e celebrità internazionale, che lo lusingano ma anche imbarazzano perché la grancassa non gli è mai piaciuta. Ma tant’è. Dominatore della musica dalla fine degli anni Sessanta, a 81 anni senza ruggini, Riccardo Muti si appresta a essere festeggiato, ancora una volta, in mezzo mondo. A Chicago dal 23 al 25 giugno con quel capolavoro potente e vertiginoso che è laMissa solemnis di Beethoven concluderà al top i 13 trionfali anni di direzione musicale della Chicago Symphony Orchestra (e il 27 al Millenium Park il concerto per la città). Non un addio, Muti continuerà la collaborazione con la Cso: insieme il 5 ottobre a New York aprono la stagione della Carnegie Hall, a gennaio 2024 sono in tour europeo, il 26 a Torino per Lingotto Musica, alla Scala il 27 e all’Opera di Roma il 29.
Sempre in Italia ci sarà Un ballo in maschera, al Regio di Torino dal 21 febbraio con la regia di Andrea De Rosa. Soprattutto, massima glorificazione, a Vienna, il 7 maggio 2024, per i 200 anni dalla prima esecuzione, sarà Muti a dirigere laNona sinfonia di Beethoven con i Wiener Philharmoniker.
Un italiano che celebra i 200 anni della Nona. Orgoglioso?
«Molto. È una delle cose della mia lunga carriera che mi dà più soddisfazione anche perché è una richiesta arrivata dall’orchestra e, col concerto del prossimo agosto a Salisburgo, sono 53 anni consecutivi con i Wiener senza saltare un anno.
La mia carriera la devo alle orchestre. Con laNona c’è il riconoscimento di dare vita a una delle composizioni più metafisiche mai scritte. Sulla partitura ho appuntato i versi di un poeta, Mikhail Lermontov, per dire con le parole la profondità della musica: “Notte silente, il deserto è in ascolto di Dio e la stella parla alla stella”, il silenzio cosmico, il deserto, che siamo noi, in ascolto della voce di Dio... La prima volta che la diressi mi tremava la mano. Karajan diceva: “Con laNona le prime venti esecuzioni le butti alle ortiche”».
Una sfida simile sarà anche l’esecuzione della Missa, a Chicago.
È vero che la studia da cinquant’anni?
«Vero. La data della mia partitura è 1972. È una cattedrale di fronte a cui mi sono sentito piccolo. Per anni la prendevo, la lasciavo. Come fai a interpretare l’espressione più alta del dolore umano? È una musica che puoi eseguire solo dopo una lunga esperienza, dopo aver affrontato Mozart, Verdi, Cherubini».
Le spiace lasciare la direzione musicale della Chicago Symphony?
«Sono stati anni meravigliosi, di conquiste, avventure anche fuori dalla famosa sala, anni in cui l’orchestra ha avuto un ricambio con 40 elementi nuovi, di incisioni come laSinfonia n. 11di Philip Glass il quale ora sta scrivendo per me un pezzo che eseguirò nella tournèe europea.
Si intitolaIl trionfo dell’ottagono in riferimento a Castel del Monte, la costruzione di Federico II in Puglia di cui ha visto la foto nel mio studio.
Con la Cso abbiamo aperto la strada amolti compositori nuovi, soprattutto a donne e non per le quote rosa, ma per la qualità della musica delle compositrici».
Nella sua vita le donne hanno contato?
«Di sicuro Cristina, mia moglie, mia figlia Chiara. Su tutte mia madre, donna severa e passionale. A ottoanni strimpellavo malamente il violino: mio padre, che ci faceva studiare per amore di cultura, un giorno disse lasciamo perdere, ma mia madre pronunciò la frase che ha determinato la mia vita: proviamo ancora un mese. In quel mese cambiò tutto».
Si è mai stancato della musica?
«No, ma vorrei avere più tempo libero, anche solo per studiare. Fare il direttore musicale è un impegno, umano oltre che professionale. Con l’orchestra non è che agiti solo la bacchetta».
Un gioco: se la sua bacchetta fosse magica cosa cambierebbe?
«Va da sé, un mondo più equo, più cura per l’ambiente, soprattutto cambierei la musica: meno dilettanti, più professionismo nelle direzioni d’orchestra, nei musicisti e anche in chi scrive nei giornali di musica».
Non si farà molti amici con queste parole...
«Come diceva Eduardo “io non mi do a nisciuno”, questo mi dà la possibilità, anche nelle affermazioni pubbliche, di essere libero. La musica merita rispetto, è un’arte che parla a tutti, a popoli e culture diverse».
È lo spirito che accompagna i concerti delle Vie dell’Amicizia, i ponti in musica che con il Ravenna Festival si costruiscono nel mondo: quest’anno dal 7 luglio sarete a Ravenna e nei teatri romani di Jerash e Pompei.
«Si aggiungerà il concerto dell’ 11 ottobre: per il centenario della nascita dirigerò la Filarmonica di Sarajevo dove nel ‘97, a guerra da poco finita, partì tutto e iniziarono “Le vie dell’amicizia”. Queste sono le cose che contano del mio lavoro, non i minuti di applausi. Le mie orchestre lo sanno: finita l’esecuzione, dopo un paio di battimani, io faccio ciao ciao e me ne vado».