la Repubblica, 14 giugno 2023
Ridisegnare New York
New York City è in trasformazione. L’indice di occupazione degli uffici resta attorno al 50 per cento rispetto ai livelli pre-pandemia, ma lo scorso anno la città ha registrato 56 milioni di visitatori che hanno riempito strade, bar e ristoranti. In tutto il mondo il futuro economico delle metropoli è legato proprio a questo cambiamento, che va accolto garantendo alle persone la possibilità di passare i propri momenti liberi negli spazi pubblici e nei locali delle città – anche se nelle ore lavorative gran parte delle nostre interazioni sociali avviene tramite videoconferenza. Siamo agli albori di un nuovo tipo di visione urbana: la Playground City, la città dell’incontro. Per dar vita a città in grado di unire le persone, è necessario creare quartieri a uso e reddito misti, in cui biblioteche, uffici, cinema, negozi di alimentari, scuole, parchi, ristoranti e così via siano tutti facilmente raggiungibili. Si tratta di offrire stimoli e incentivi perché le persone vogliano uscire di casa, trovando qualcosa di meglio rispetto ai servizi offerti dalle aziende del mondo digitale.
Il lavoro in remoto fa parte ormai della quotidianità, ma la necessità di incontrarsi in città non è venuta meno. Gli studi che abbiamo condotto al M.I.T., prima e durante i lockdown, dimostrano che nel momento in cui sostituiamo le interazioni in presenza con le call su Zoom, la nostra vita sociale si riduce. Online possiamo coltivare qualche amicizia stretta, ma non i cosiddetti “legami deboli”, per usare un termine sociologico, ossia le connessioni fisiche che si stringono con persone a noi relativamente estranee – come coloro che incrociamo in autobus o nei corridoi in ufficio. Quando i legami deboli si perdono, i flussi di idee si arrestano, e può diminuire la capacità di accettare il nuovo o il diverso. Se il posto di lavoro fisico non torna a occupare una posizione centrale nella nostra vita, diventa dunque necessario creare nuovi luoghi di incontro.
Fortunatamente, i dati mostrano che delle alternative stanno già emergendo. Esiste una biforcazione netta tra la vita in ufficio e quella in città. I tassi di ingresso in certi uffici di New York sono ancora la metà rispetto ai livelli di prima del 2020. Ma, se si analizzano le stesse aree sulla base dei dati in arrivo dai telefoni cellulari, osservando insomma le visite al quartiere piuttosto che ai luoghi di lavoro, il quadro è ben diverso. Gli uffici saranno anchemezzi vuoti, ma le strade sonoin fermento.
Se parte di questa rinascita è dovuta al turismo, importante è ora fare di più per convincere anche i residenti a ravvivare la città. Si tratta di accelerare l’evoluzione della città verso un luogo che promuova l’incontro tra persone diverse, non solo o comunque non primariamente per motivi di lavoro.
L’idea non è nuova. L’insieme di ristoranti, parchi, teatri e piazze ha avuto a lungo la funzione di salotto urbano, base di un’economia sana e della vita civica. Nella Londra del XVIII secolo, le caffetterie erano spazi comuni che permettevano l’interazione casuale tra artisti, politici e studiosi come Samuel Johnson, di cui è famosa la frase: «Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire».Tuttavia la città dell’incontro a cui pensiamo oggi si differenzia dalla città industriale del secolo scorso o dalla città ufficio degli ultimi decenni perché si concentra sulle attività quotidiane accessibili a tutti. Nella Playground City i quartieri a funzione mista in cui abitazioni, lavoro e tempo libero si uniscono, generano quello spontaneo “balletto delle strade” –sidewalk ballet – cantato dall’urbanista newyorchese Jane Jacobs negli anni Sessanta del Novecento.
La trasformazione in città dell’incontro non avverrà spontaneamente. Per affrontare il problema deibassi tassi di occupazione dei locali commerciali e delle imprese in difficoltà, il sindaco e i funzionari dell’amministrazione newyorchese hanno istituito un gruppo di lavoro per immaginare una “nuova” New York. Avendo contribuito alla stesura del rapporto finale, vorremmo condividere alcune raccomandazioni le quali, seppur specifiche per la realtà di New York, toccano in modo diretto una serie di sfide comuni alle città occidentali.
1. Imparare dai Big Data.
Esistono molti strumenti adatti al potenziale rilancio dei centri urbani: ad esempio investire in arte e cultura, o incentivare lo sviluppo residenziale e dei trasporti pubblici. Tuttavia queste iniziative non devono essere concepite in modo impressionistico, ma devono essere riesaminate e valutate in tempo reale attraverso l’analisi delle enormi moli di dati forniti dalle reti digitali.2. Disfarsi di norme-zavorra che ostacolano l’innovazione.
Le città sono spesso penalizzate dalla zonizzazione urbanistica, che separa le aree a destinazione abitativa da quelle in cui si lavora: creando quartieri residenziali senza commercio di prossimità o zone per uffici deserte nei fine settimana. La flessibilità degli usi è cruciale per favorire l’integrazione sociale e aumentare la capacità di ogni quartiere di incentivare gli incontri.3. Ripensare la struttura degli edifici per uffici.
Ricostruire una città partendo da rigide strutture novecentesche non sarà semplice. Se la tradizionale pianta degli edifici a uso ufficio comprende spazi interni privi di luce naturale, questi ultimi potrebbero essere destinati a nuove modalità di coabitazione e co-working – soluzioni che peraltro permetterebbero di affrontare il crescente problema della solitudine urbana. Lungo il perimetro, dove si trovano gli affacci esterni, si potrebbero disporre le camere da letto, mentre al centro sarebbero collocati gli spazi comuni.
4. Animare strade e piazze.
La città dell’incontro dovrebbe essere in costante movimento. Le strade potrebbero essere rese pedonali nel fine settimana, in occasione di festival o di mostre temporanee. Se le sale cinematografiche oggi faticano a competere con Netflix, incrementare le proiezioni all’aperto nelle serate estive potrebbe invogliare il pubblico a riscoprire un tipo di esperienza collettiva che è andata scomparendo negli ultimi anni.
5. Riequilibrare la concorrenza
tra e-commerce e negozi di quartiere.
Il commercio digitale è comodo, ma spesso distrugge le attività commerciali che danno carattere alle strade. Per mantenere vivaci i quartieri, le amministrazioni locali dovrebbero tassare in misura equa l’e-commerce per il traffico e l’inquinamento che produce, e al contempo ridurre le imposte sulle vendite al dettaglio, rendendo i negozi locali più competitivi.
6. Coinvolgere i cittadini.
Le amministrazioni dovrebbero dare ai cittadini la possibilità di partecipare direttamente alla creazione della Playground City, coinvolgendo anche le fasce della popolazione che rischiano di essere emarginate nella transizione al nuovo modello – non tutti hanno la possibilità di lavorare in remoto. Una città sana ha il dovere di accogliere tutti, assicurando alloggi a prezzi abbordabili e spazi pubblici accessibili.Le nostre città sono state prospere a lungo prima della nascita degli uffici moderni, e possono continuare ad esserlo anche se gli uffici non dovessero ritrovare la loro centralità. Gli stili di vita che si associano alla città dell’incontro – come mobilità sostenibile e consumi locali – possono peraltro permetterci di promuovere maggiore sostenibilità ambientale, mentre il rafforzare dei legami deboli può contrastare la polarizzazione sociale. La capacità di strade vivaci di attrarci ad esse potrebbe riuscire in un obiettivo ulteriore: staccarci dai nostri telefoni, e farci vivere in modo intenso, di nuovo insiemeagli altri.
(Traduzione di Emilia Benghi) Edward Glaeser è Direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Harvard. Carlo Ratti dirige il Senseable City lab del M.I.T. e l’ufficio di design e innovazione CRA – Carlo Ratti Associati. Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata dal New York Times.