la Repubblica, 14 giugno 2023
In morte di McCarthy
Ci sono scrittori ben diversi dai loro personaggi, Hemingway non ebbe mai la saggezza di Robert Jordan, guerrigliero diPer chi suona la campana, Fitzgerald la grazia del Grande Gatsby o Tolstoj il romanticismo del principe Andrej. E ci sono scrittori che invece sembrano identici ai loro eroi, Salinger per tutta la vita irrisolto come Holden, Calvino sognatore come ilBarone Rampante, Eco curioso come Guglielmo da Baskerville nel Nome della rosa.
Cormac McCarthy, maestro del noir americano scomparso ieri a Santa Fe, New Mexico, a 89 anni, apparteneva risolutamente alla seconda categoria, artisti specchio dei loro romanzi. Duro, solitario, sprezzante, senza affetti, viveva come i protagonisti dei suoi capolavori, La strada (2006), Einaudi, il nuovo Stella Maris, in corso di traduzione, Cavalli selvaggi, (1992), Guida, Meridiano di sangue, (1985), Einaudi.
La prima moglie, la poetessa Lee Holleman, raccontava di aver divorziato da McCarthy quando lui, benché lei si curasse del figlio Cullen e della casa, le chiese di trovarsi un lavoro, «così che possa scrivere ogni giorno, tranquillo». E la seconda moglie, la cantante inglese Anne De Lisle, raccontò: «Con Cormac si viveva senza un cent, poveri, facevamo il bagno nel lago gelato per risparmiare. Era già uno scrittore apprezzato dalla critica, ma non voleva nessun impegno se non scrivere, gli offrivano 2000 dollari per una conferenza, diceva di no e mangiavano fagioli in scatola per un mese». «Insegnare scrittura nei college è una truffa» commentava l’artista.
Secondo ilWashington Post Mc-Carthy decide di «vivere da eremita», ma per i familiari le scelte sono estreme, dure, come la scrittura agra delle pagine migliori e la desolazione delle trame. «Solo la vita e la morte sono degne della letteratura» ripete McCarthy, deciso a vivere da straccione pur di dedicarsi all’arte.
Lo salva il primo premio della Fondazione MacArthur, nel 1981, considerato in America «la borsa di studio dei geni». Viveva in miseria in un motel, ma grazie ai 236.000 dollari può comprare una casa in Texas e studia la pianura brulla, la prateria riarsa e le facce grevi dei cow boy che saranno poi quinte e trame dei libri.
Nato il 20 luglio 1933 a Providence, Rhode Island, da una famiglia benestante, si ribella a scuola, «non volevo essere quel che i miei genitori volevano», fa il servizio militare in aviazione, legge le prime recensioni favorevol. «Da giovane scrittore ha sviluppato una voce narrativa unica che affascina i lettori con la potenza grezza e la bellezza cruda. Con un distintivo mix di umorismo nero, lirismo poetico e onestà implacabile, McCarthy supera i confini e sfida le norme».
Non vende più di 3000 copie dei libri degli esordi, i giudizi sono meravigliosi, le tirature pessime. Per il Nobel Saul Bellow, McCarthy è un maestro per «l’uso del linguaggio, le frasi degne di vita e morte» e per il critico e leggenda dell’università di Yale Harold Bloom Meridiano di sangueresta «il western migliore di tutti i tempi». Nel 2007 arriva infine il capolavoro, La strada, travolgendo il mondo delle lettere chic che il maestro aveva sempre disprezzato, trionfando a Hollywood con la pellicola dallo stesso titolo, con Viggo Mortensen e Kodi Smith-McPhee, diretto da John Hillcoat. McCarthy è conscio, a quel punto, della deriva amara del suo paese e del mondo, la fine delle illusioni del dopo Guerra Fredda, il ritorno della guerra, con l’invasione dell’Iraq da parte del presidente Bush figlio, la catastrofe ambientale che incombe e La stradaracconta di un padre e un figlio che, in un pianeta post apocalisse provano a tener vivi i rapporti umani, l’amore, la speranza.
Premiato con il Pulitzer, La stradasmentisce i critici come Harrison Smith, persuasi che Cormac McCarthy fosse «capace di poesia ma non di sentimenti». Al contrario il romanzo diventa popolare proprio perché, quando il piccolo resta solo, tra le folle crudeli che battono l’America, anticipando la furia dei teppisti che assaltano il Campidoglio in nome di Trump, il 6 gennaio 2021, prima che lo rendano schiavo sessuale o cibo per cannibali, le tribù decise a restare umane lo adottano.
Un altro celebre film nero dai libri di McCarthy, il vero nome era Charles Joseph McCarthy, Cormac un soprannome, è “Non è un paese per vecchi”, portato sugli schermi dai fratelli Coen nel 2007, con un perfetto Javier Bardem nella parte del killer con la pistola usata per ammazzare le mucche, Anton Chigurh. A quel punto McCarthy è ricco e famoso, ma non smette di vivere come un eremita, malgrado qualche goffa foto per le riviste di gossip con registi e attori celebrati.
La strada vince il premio Pulitzer per la narrativa, seguono il National Book Award e il National Book Critics Circle Award le traduzioni ubique di una scrittura capace ormai di catturare lettori di ogni estrazione sociale grazie alle complessità dell’esperienza umana brutale e meravigliosa.
Scontroso, burbero, antisociale nell’era social, McCarthy sa che nell’America di Trump, nel mondo di Putin e dell’Intelligenza Artificiale, la forza elementare dei sentimenti umani è a rischio, i valori migliori dell’Homo Sapiens sull’orlo del baratro. La sua prosa, a tratti scabra e magnifica come il lessico dell’Antico Testamento nella Versione inglese di King James, spaventa, con bambini impiccati, bande di narcotrafficanti allo sbando, pedofili a schiavizzare i più deboli ma non perde mai la fede nella dignità di uomini e donne, perché se “Dio non c’è” tuttavia “noi siamo i suoi profeti”.