la Repubblica, 14 giugno 2023
Beatificazione di B. Meno è meglio
Uno dei difetti nazionali è la tendenza a esagerare. Silvio Berlusconi è stato, come è noto, un uomo di eccezionale energia e inventiva che ha cambiato il costume degli italiani e in buona misura il modo di fare politica: pur senza i risultati che era lecito attendersi, dato l’enorme potere concentrato nelle mani di uno solo. Siccome era dotato di un certo senso dell’ironia, avrebbe sorriso del processo di beatificazione laica cui è sottoposto da lunedì. O forse no, lo avrebbe visto come l’omaggio minimo che gli era dovuto, chissà. Berlusconi è stato comunque un capo politico che ha diviso il Paese. E lo ha fatto a ragion veduta. Non poteva essere altrimenti, avendo realizzato il bipolarismo e accantonato l’Italia prudente della Prima Repubblica, coi suoi riti e anche le sue ipocrisie.
Il bipolarismo – almeno quello all’italiana, ancora immaturo – aveva bisogno non di un avversario, ma di un nemico da mettere ogni giorno spalle al muro. E Berlusconi ha interpretato alla perfezione questo ruolo con le sue crociate contro i “comunisti” e i magistrati politicizzati. A loro volta gli avversari dell’uomo di Arcore hanno sfruttato tutti i mezzi, compresi all’occorrenza gli strumenti giudiziari, per rovesciarlo o almeno indebolirlo. Ma i risultati di questo bipolarismo muscolare sono stati asimmetrici. La sinistra non è riuscita a scalzare Berlusconi, salvo le due vittorie effimere di Romano Prodi, non sufficienti a invertire la tendenza. (A proposito di Prodi, la scomparsa improvvisa della moglie Flavia ha reso evidente un imprevedibile intreccio di destini anche nel lutto). Berlusconi invece si è via via rinvigorito e ha dominato la scena per anni.
In sostanza, il fondatore del centro-destra denunciava la “persecuzione” di cui era oggetto, ma in cuor suo sapeva bene come sfruttarla. Era tutto nella logica del ring a cui si è subito ridotto il nostro bipolarismo, fondato sulla delegittimazione dell’altro. Si capisce allora che il “lutto nazionale” proclamato oggi per onorare lo scomparso, unito ai giorni di sospensione dei lavori delle Camere, suona un po’ eccessivo, persino surreale. La nazione veste il lutto, con le bandiere a mezz’asta, quando scompare un simbolo dell’unità nazionale, in primo luogo un ex presidente della Repubblica. O magari il papa, o ancora il capo di uno Stato straniero che ha avuto con l’Italia dei rapporti privilegiati. Fino ad arrivare, in qualche raro caso, a un eroe civile o sportivo.
Berlusconi non apparteneva a nessuna di tali categorie. Come capo politico, è stato un eccellente aggregatore di consensi in campagne elettorali quasi permanenti, ma non proprio un volenteroso dedito a pacificare la nazione. Si è detto in queste ore che avrebbe meritato la nomina a senatore a vita. Si può discutere sul merito, ma a ben vedere avrebbe avuto più senso. La nomina è andata più volte a politici in vista che avevano ben interpretato il ruolo nel loro partito e spesso al governo o in Parlamento. Sotto questo profilo Berlusconi aveva le carte in regola, mentre è abbastanza fuori luogo equipararlo, attrave rso il “lutto nazionale”, a un capo di Stato virtuale. Per non parlare della vacanza delle Camere, il cui dovere semmai sarebbe lavorare di più.
Si è voluto risarcirlo per la mancata ascesa al Quirinale, l’ultima ambizione alquanto velleitaria che nel gennaio 2022 si dissolse nell’inevitabile “no” degli alleati, FdI e Lega?
Ovvero si vuole creare un’aura quasi sacrale intorno al defunto, così da favorire una sorta di pacificazione che cancelli i conflitti politici della stagione berlusconiana? Forse è più credibile che si voglia sfruttare l’emozione collettiva per prolungare un certo stato d’animo dell’opinione pubblica a favore della destra. Ma allora si dovrà fare attenzione a non esagerare, come appunto si sta facendo.
Ottenere l’effetto opposto, è un attimo.