Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 14 Mercoledì calendario

Meloni ha paura che Fi non sopravviva al suo leader

-C’è uno spettro che inizia ad aleggiare su Palazzo Chigi. Una prospettiva che atterrisce Giorgia Meloni e nel più classico gioco di specchi anche la sua principale avversaria, Elly Schlein. È la nascita di un altro governo tecnico. Che, secondo una formula prudenziale, in molti definiscono «alla Draghi».Perchè la scomparsa di Silvio Berlusconi apre una serie di spazi che fino a due giorni fa sembravano chiusi. Soprattutto pone una sequenza di incognite. Il destino di Forza Italia appare imprevedibile. Per la presidente del consiglio anche incontrollabile. «I parlamentari di Silvio – è allora la principale riflessione svolta dalla premier – a questo punto si sentono senza protezione. Temono di perdere il seggio. Noi, per prima cosa, dobbiamo garantire loro che non si andrà a elezioni anticipate. Vanno rassicurati, altrimenti esplode tutto». Ecco il punto. Il probabile caos dentro il partito che fu del Cavaliere è sostanzialmente inevitabile. Una galassia pronta ad esplodere e a generare una miriade di “pianetini- partitini”. E nella deflagrazione a farne le spese può essere l’esecutivo Meloni. Soprattutto se l’innesco ha un’origine esogena: ad esempio il mancato rispetto del Pnrr e il conseguente annullamento di una o più rate di finanziamento da parte dell’Ue. «Per questo sto chiedendo a Tajani di congelare la situazione il più possibile – ripete nelle ultime ore la ledaer di Fratelli d’Italia – deve reggere il partito almeno fino alle prossime europee».Si tratta però di una rassicurazione che assomiglia ad un coltello con due lame: perchè in caso di crisi, garantire la prosecuzione della legislatura significa anche far nascere un altro esecutivo. Resta la circostanza che Forza Italia è ormai una variabile indipendente in cui tutti sono impegnati a tutelare gli interessi personali e non quelli di partito. Ancor meno della coalizione.Il detonatore, però, non potrà mai essere interno. Meloni lo sa bene. La scossa può essere solo esterna. L’epicentro non potrà che essere a Bruxelles. Le lentezze, infatti, con cui l’Italia sta gestendo il Piano di Ripresa e Resilienza, fino ad ora apparivano come un modo per far pesare il ruolo di Roma nelle trattative con la Commissione Uee con le altre Cancellerie. Adesso stanno diventando una “occasione” per chi – anche in Europa – ritiene di poter organizzare uno sgambetto alla destra italiana e si stanno trasformando in un incubo per la squadra di Palazzo Chigi. Se, infatti, gli uffici di Ursula von der Leyen dovessero decidere a fine anno o all’inizio del 2024 di bloccare una o più tranche del Recovery Fund, la fibrillazione sarebbe pesantissima. La tempesta sui mercati impetuosa. Il pressing sul governo inevitabile. Fino a due giorni fa, dinanzi a questa ipotesi, la presidente del consiglio rispondeva a tutti i suoi collaboratori con sicurezza: «Se non si può andare avanti, si torna al voto». Ma con un partito allo sbando come Forza Italia quella strada non sarà così agevole. Pur di non mettere a rischio il proprio seggio saranno in molti a cercare nuove sponde e a costruire pr ogetti alternativi come i cosiddetti “Responsabili”. Un rischio ingigantito dalla possibilità che il segretario della Lega, Matteo Salvini, farà di tutto pur di non vedere definitivamente certificata la supremazia di Fratelli d’Italia. Soprattutto se la tattica meloniana comportasse l’incorporazione di fatto di Forza Italia.Non a caso il vero interrogativo che si pone dinanzi alla donna di Palazzo Chigi riguarda il futuro del suo partito: una fusione con i reduci berlusconiani la metterebbe parzialmente al riparo dai probabili sconvolgimenti tellurici del mondo forzista. Aprirebbe la strada ad una collaborazione con il Ppe. «Ma – è uno dei ritornelli impauriti di Meloni – dovremmo democristianizzarci». Una soluzione che non piace alla parte più radicale del suo partito e che probabilmente non convince la stessa premier preoccupata di tranciare le radici della destra missina. E allarmata da un’eventuale nascita di un soggetto politico alla sua destra.Anche per questo, nel tentativo di dissolvere l’incubo del governo tecnico e allontanare il fantasma di un “nuovo Draghi”, Meloni è sicura di poter stringere con la segretaria del Pd, Elly Schlein, un patto di convenienza reciproca. Concordare fin da adesso che Fratelli d’Italia e il Pd non avalleranno mai un altro governo tecnico. E che, in caso di crisi, si tornerebbe alle urne. Un percorso di cui la leader democratica è assolutamente convinta e sui ha costruito la sua candidatura alla guida dei Dem. Sebbene, infatti, in Parlamento diversi “centristi” abbiano già messo in azione il pallottoliere (da Matteo Renzi ai cattolici del Pd) per verificare i numeri della maggioranza, dal vertice dei Democratici è partito un secco e inequivocabile “fermi tutti”.