Corriere della Sera, 14 giugno 2023
Berlusconi prima di Berlusconi
Q uesta è la favola di un bambino dell’Isola, vissuto tra via Volturno e via Borsieri, diventato miliardario dopo l’imprinting della strada, imitato, invidiato, amato, detestato, condannato, titolare ad honorem del ghe pensi mi ambrosiano, capace di inventare storie e di crederci sul serio, fino a farle diventare vere. Narra una leggenda che se avesse potuto, Milano l’avrebbe fatta lui. Ma c’era già. Così ha creato Milano 2, a sua immagine e somiglianza. Poi ci ha aggiunto Milano 3. E con un pezzo di città si è intestato un primato, è diventato ricco, ha costruito un mito. Milano, Milan, Mediolanum: si parte da qui e si arriva a Silvio Berlusconi. Partito dal basso ha toccato il cielo: azzurro, naturalmente. Ma prima di essere quello che è diventato, prima della tv e dell’editoria, prima di Forza Italia e di Palazzo Chigi, prima di Arcore e del predellino di San Babila, è stato il ragazzo che sognava con il sole in tasca nel West ambrosiano di un quartiere dove – ha detto una volta il compagno di una vita Fedele Confalonieri – il fine primario era sopravvivere tra i randa e i balordi di ogni specie.
L’Isola è l’iniziazione, il prequel del berlusconismo. Zona di milanesità popolare ed esibita. Cà de ringhera, ballatoi affacciati ai cortili, botteghe artigiane, meccanici, fabbri, tappezzieri rigattieri e strasceè. Reputazione sinistra per furti e borseggi. Ma anche tanta umana solidarietà. Imperversa la famigerata banda Barbieri, con la legge della strada e del coltello. Regola numero uno: vivi e lascia vivere. La casa in via Volturno sembra un segno del destino: di fronte, nel Dopoguerra, arriverà la sede dell’odiato Pci.
Data di nascita su un fiocco azzurro appeso al portone: 29 settembre 1936. Qui nasce Silvio Berlusconi. Padre impiegato alla Banca Rasini, madre segretaria alla Pirelli. Nell’Italia che canta «Faccetta nera» si respira una povertà diffusa, c’è poco tempo per essere bambini. Guerra e coprifuoco, le bombe su Milano, la paura, la fuga, l’8 settembre, le vendette, le rappresaglie. La famiglia Berlusconi si ritrova tra gli sfollati nel Comasco. Nel ’46, quando torna all’Isola, Milano non c’è più: è sventrata dai bombardamenti. «È morta, è morta, la città è morta», scrive Quasimodo. Invece riparte, tra la nebbia, le valigie di cartone e il fumo delle ciminiere. Il lavoro è uno dei mantra berlusconiani, insieme all’educazione cattolica dei salesiani impartita alle medie e al liceo nel collegio di via Copernico.
Gli piace essere un front man, in classe e nel gruppo musicale dell’amico Confalonieri: repertorio romantico, preferenze Trenet e Sinatra, musica di Gershwin. La laurea in legge alla Statale è cucita su misura: analisi dei contratti di pubblicità. Centodieci e lode. A 25 anni è pronto al decollo. Vuole rischiare in proprio, gli piace il ruolo di venditore. Comincia con quattro palazzine in via Alciati la scalata tra gli immobiliaristi. Nasce la Edilnord: indossa il primo doppiopetto Caraceni. Dove trova i soldi sarà per sempre materia di sospetti e di inchieste giudiziarie, ma sull’abilità dell’uomo nessuno ha dei dubbi. Nel ’63 immagina una città satellite alle porte di Milano, una new town da quattromila appartamenti. La scelta del luogo è un azzardo: Brugherio. Non si vende neanche uno spillo, gli dicono.
Negli anni ’70 è «il Dottore», poi
«il Cavaliere». Il nuovo status esige
il centro: via Rovani, quindi la reggia
di Arcore, tra grandeur e misteri
Quando l’impresa è vicina a un clamoroso crac, lui si supera nell’arte di incantatore: chiede al cda pieni poteri e quattro mesi di proroga per evitare il fallimento. La leggenda dice che riesce dove sembrava impossibile riuscire: quattromila appartamenti venduti in blocco al Fondo previdenza dei dirigenti commerciali. Ha fatto «bingo».
Negli anni Settanta diventa «il Dottore». E subito dopo «il Cavaliere». Non vive più all’Isola, dove svettano le odiate bandiere del Pci e quelli come lui li chiamano bauscia. Il nuovo status esige il centro: via Rovani, a pochi passi dalla vigna di Leonardo e dal Cenacolo. È chiacchierato, ma ha incassato un mucchio di soldi, messo su famiglia ed è pronto a buttarsi nella scommessa della vita. Milano 2, tre miliardi di investimento, un milione di metri quadrati, un progetto completo e visionario, la città giardino del Berlusconi style. Ma c’è Linate a pochi metri: ogni novanta secondi decolla un aereo e il rumore è assordante. Cambiare le rotte non è facile. In aiuto arriverà un uomo della Provvidenza, che si dimostra milanesissima e affine a Berlusconi: è un prete che pensa in grande e vuole costruire l’ospedale del futuro. Si chiama don Verzé: i due si incontrano, si trovano, si piacciono. Uno non vuole gli aerei sui tetti di Milano 2. L’altro non li vuole sul San Raffaele. Nasce una santa alleanza. Vinceranno entrambi.
Con Milano 2, Berlusconi diventa l’homo novus ambrosiano, il prototipo del miliardario che rivendica la scalata sociale senza nascondere le origini, come nel mito americano. È ricco, affermato e va come un treno. Amico di Craxi. Buoni rapporti con socialisti e democristiani, liberali e repubblicani. Acquista il teatro Manzoni. Entra come azionista nel Giornale di Montanelli. «Un editore esemplare», commenterà il grande Indro, prima della rottura politica. E malignando aggiunge: «Racconta cose inventate e il bello è che ci crede». Vive in una reggia adesso: Arcore, la villa dei marchesi Casati, odore di grandeur e di misteri, passaggi di proprietà e sospetti maneggi. Berlusconi si cuce addosso il biscione visconteo e lo fa diventare lo stemma della Fininvest. Poi apre il capitolo di una nuova vita: intuisce il business delle tv commerciali. La sua Telemilano 58, acquistata insieme ad altre frequenze tv, da Milano 2 diventa una nave pirata: con qualche spregiudicata tetta di «Drive In», quiz a premi e Mike Bongiorno, nasce Canale 5 e inizia la battaglia al monopolio degli spot e dell’informazione in tv. È una marcia trionfale. Nel 1986 arriva il Milan. E vince tutto: coppe, record, palloni d’oro. Nel 1994 sbarca in politica: inventa Forza Italia e diventa presidente del Consiglio. Ma resta fedele al primo amore: Milan e poeu pu. Decide i sindaci della città per quindici anni. Quando torna nel vecchio quartiere si commuove. È il 2016. «Lì dormivo in sala», racconta ai curiosi. Cerone sul viso, capelli finti, una vena di malinconia. È già l’autunno del patriarca, in un’ Isola che non c’è più.