9 maggio 2023
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Biografia di Adriano Giannini
Adriano Giannini, nato a Roma il 10 maggio 1971 (52 anni). Attore. Doppiatore. Figlio di Giancarlo e della regista e doppiatrice Livia Giampalmo. Fratello minore di Lorenzo.
Titoli di testa Timido. «Sono sempre alle prese con la domanda “che devo dire?”»
Vita A due anni e poco più ha spiegato al padre, alla madre e al cinema quali fossero i suoi confini. «Ero sul set di Film d’amore e d’anarchia, papà protagonista, e avevano bisogno di girare un flashback con lui bambino. Io ero perfetto. Così all’improvviso, forse con l’inganno, mi ritrovai in piedi su un tavolone di legno, con alcuni che mi spogliavano e subito rivestivano con abiti in lana pesante, di quelli che pizzicano, e diecimila lire in mano per sedurmi. Io ancora dubbioso. Fino a quando mi chiesero di sedermi su un vasetto, ma in quella fase della vita ogni tanto cedevo alla pipì nel letto, per questo mi vergognai; allora presi coscienza della situazione e, con un atteggiamento non legato all’età, mandai tutti a quel paese, scesi dal tavolone, e me ne andai accompagnato dalla frase “io il pagliaccio non lo faccio”» [ad Alessandro Ferrucci, Fatto] • I genitori divorziarono quando lui aveva solo quattro anni, ma si erano separati da tempo • Come andava a scuola? «Nella Roma degli anni Ottanta, la sfangavo; ero uno che non studiava tanto, mi arrangiavo, preferivo coprire le lacune con escamotage da furbetto» [Ferrucci, cit.] • «Ero un adolescente, e di quegli anni romani ricordo le Vespe 50 special, le Clarks ai piedi, la cinta del Charro, le camicie del Portone e i Duran Duran. Crescendo, non avevo alcuna idea di cosa fare nella vita. Non volevo fare l’attore, non mi interessava il mondo del cinema per una strana contrapposizione al fatto che mio padre, Giancarlo Giannini, non lo vedevo mai perché era sempre in giro a fare film. Pensavo di darmi allo sport, la ginnastica o il tennis, ero dotato ma non competitivo, cosa che mi è rimasta addosso» [a Valerio Cappelli, CdS] • Cosa sognava? «Di diventare uno sportivo: in quasi tutte le discipline raggiungevo facilmente la fase agonistica, per poi perdermi in quella successiva, quella del semi-professionismo: lì scattava la noia, si tramutava in obbligo e perdevo la sensazione del gioco». Come mai? «A me piace il gesto, il colpo di genio, non mi interessa la competizione, quella cattiva: sono così anche sul lavoro» [Ferrucci, cit.] • A 18 anni, dopo la morte di suo fratello Lorenzo, stroncato a 20 anni da un aneurisma, inizia a lavorare come operatore: «Era il mio mestiere e non desideravo altro. Ho iniziato perché volevo essere indipendente, avevo una sorta di fretta: frequentavo gente più grande e vedevo che perdevano tempo. Io volevo lavorare, ne avevo bisogno, non ho mai vissuto nel lusso» [a Ilaria Solari, Gioia] • «Ho lavorato con Olmi, Tornatore. Poi ho pensato alla regia e per avere spalle culturali più solide, sapevo poco di Shakespeare e Cechov, ho frequentato una scuola di recitazione» [Cappelli, cit.] • «Ho fatto tutto, dai documentari ai film porno, grazie al cielo solo con donne. Soprattutto nei primi anni ero bravo, ero un mulo. Ho cominciato a fare set importanti. Quella dell’operatore è una posizione strategica: vedi il lavoro di tutti; se stai attento, lì impari moltissimo» [Solari, cit.] • Le è capitato di incrociare suo padre sui set? «Come attore mai, come operatore due volte. Facevamo finta di non conoscerci. Da ragazzo mi tormentavano con la storia che ci assomigliamo, e reagivo male» [Cappelli, cit.] • «Mio padre è mio padre e io sono io» • Il complimento più bello che le ha fatto suo padre? «Complimenti non se ne fanno tanti in famiglia. Va bene così. Sono quei padri di quegli anni lì. E la stima la vedi nello scambio che hai sul lavoro, capisci che c’è dialogo, rispetto» [ad Arianna Finos, Rep] • Poi la svolta: nel 2001, il regista Maurizio Sciarra lo vuole come protagonista del film Alla rivoluzione sulla due cavalli. Il momento più imbarazzante che ha vissuto su un set? «Durante le riprese di Alla rivoluzione sulla due cavalli. Nella prima scena dovevo entrare nudo in una vasca da bagno. Già ero abbastanza in soggezione. Ma a peggiorare il tutto faceva anche un freddo allucinante. E il freddo, in certe situazioni, non aiuta un uomo nudo. Mi avevano detto che non si sarebbe visto niente. E da ex operatore sapevo bene che era una bugia» [Carozzi, Gentleman] • L’anno dopo, Madonna e Guy Ritchie lo prendono per Swept away, il remake di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, nella stessa parte che rese indimenticabile il padre, nel 1974, per la regia di Lina Wertmüller • Se passano in televisione il film che lei ha girato con Madonna «Magari lo rivedo: in tv è forse meno peggio che al cinema». Nel 2002 ha conquistato i Razzie Awards come peggior pellicola dell’anno… «Non è venuto bene, ma non è così drammatico; per il lancio del film ero negli Stati Uniti, e da semi-sconosciuto, mi sono ritrovato a Hollywood con Madonna, Guy Ritchie, le più alte liturgie del caso e una serie infinita di riflettori addosso. E dovevo stare attento a tutto quello che dicevo, temevo di sbagliare qualcosa; invece fui l’unico a salvarmi dalle critiche; (cambia tono) comunque già durante le riprese avevo capito come sarebbe andata a finire, ero cosciente che mancava qualcosa e provai a dirlo». Lei in mezzo al vero star system. «Lì era surreale, sembrava uno scherzo grottesco del destino e per fortuna ho vissuto il quotidiano con un perenne sorriso. Oggi non sarei in grado, avrei le ansie; (ci pensa) allora quella parte l’ho preparata in un solo mese e in inglese; alla fine sapevo le battute di tutti, poteva accadere qualunque cosa che non mi sarei mai fermato». Suo padre? «Mi disse: “E quando ti ricapita di prendere a schiaffi Madonna?”» [Ferrucci, cit.] • Nel 2004 è sul set di Stai con me, diretto da sua madre Livia Giampalmo: «È stata una situazione abbastanza strana, con una responsabilità maggiore l’uno per l’altra, entrambi rispettosi dei nostri ruoli, solo fuori dal set tornavamo madre e figlio». Nessun imbarazzo. «Solo nelle scene di eros: in quei momenti le chiedevo di allontanarsi, di piazzarsi in disparte con il monitor» [Ferrucci, Fatto] • Poi è in Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino: «un regista che infonde ai suoi attori calma e serenità» [Carozzi, Gentleman] • «Mi ha scritturato dopo avermi visto su un set. Io e Toni Servillo siamo arrivati sul suo senza avere mai provato. Ci siamo lanciati, pur non conoscendoci, in alcune scene. Il rapporto con lui è stato speciale» [Giorgia Cantarini, L’Officiel] • Nel 2004 ha recitato in Ocean’s Twelve. Chi l’ha colpita di più? «Mi ricordo il giorno del provino fatto qui a Roma, in cui decisi di uscire da casa vestito come il personaggio che andavo a interpretare. Mi ero comprato degli occhialetti a un mercatino, quella volta volevo proprio “fare” l’attore, pur sapendo che sarei stato preso in giro. Ore di coaching per l’inglese, due take ed era fatta: provino passato, sarei andato a Los Angeles da Steven Soderbergh. Passa qualche giorno e ricevo il copione nuovo. Il mio ruolo non c’era più, niente film. Ricevo poi una chiamata sul cellulare da Steven in persona, mi chiede perché non voglio fare il suo film. Pensavo fosse lo scherzo di un amico. Mentre discutiamo gli dico “Posso venire a fare gli spaghetti, se proprio vuoi che venga, perché la mia parte non c’è più. Oppure vengo a fare l’operatore e cucino gli spaghetti”. Lo feci ridere, mi disse che i suoi copioni cambiavano continuamente, che anche Clint (Eastwood) veniva solo per un cameo, quindi di partire. Alla fine sono andato, il copione era stato riscritto, il personaggio c’era; ho girato ma alla fine hanno tagliato la mia parte. È stata comunque una grande esperienza, ho rivisto Matt Damon con cui avevo lavorato come operatore sul set de Il talento di Mr. Ripley e George Clooney che mi ha detto di essere un mio fan. Gli dissi di non prendermi in giro» [Carozzi, cit.] • «Sul set sono super professionale. Ma per stemperare la tensione faccio molti dispetti, questo è vero» [ibid.] • C’è un suo mito del cinema che poi è riuscito a conoscere? «Al Pacino, l’ho incontrato più volte; poi durante una Mostra di Venezia lo vedo uscire da una discoteca, ovviamente iper circondato da fan e fotografi; la moglie mi vede, mi indica a lui, mi fanno cenno di avvicinarmi, obbedisco, a quel punto lui prova a dirmi qualcosa, o almeno credo, comunque non sento, sposto la testa verso di lui, e gli rifilo una capocciata sul naso; (ride) entrambi avevamo bevuto» [Ferrucci, cit.] • Nel 2007 Dolina con la regia di Zoltán Kamondi. «Un film che ho girato in Transilvania per cinque mesi. Un dramma fatto di mondi immaginari ambientati sui monti Carpazi, con costumi originali degli anni post-dittatura comunista. Con il regista ho avuto uno scambio unico di idee e ho potuto suggerire la mia; restavamo fino a tarda notte a lavorare alle scene per il giorno dopo. C’era un’atmosfera magica, simile a quella del cinema neorealista del dopoguerra in Italia. Con gli orsi che mangiavano (letteralmente) la scenografia ogni notte. Questa è forse l’esperienza più totale e divertente che ho avuto nel cinema. Indimenticabile» [Cantarini, cit.] • Che cosa ne pensa delle polemiche su Cinecittà? «Teatri di posa con quella storia, all’interno della città di Roma, con potenzialità infinite. L’abbiamo abbandonata. Non so chi abbia sbagliato. Mi piange il cuore. Ci sono entrato come assistente operatore. Le notti le passavo nei laboratori di sviluppo e stampa. Le giornate, a veder girare Francis Ford Coppola, Ettore Scola, Mario Monicelli. Con mio papà, da ragazzetto, ero andato sul set di La città delle donne, c’era Federico Fellini in mezzo a Lunapark, elefanti, nani e ballerine. Adesso in quegli studi girano Il grande fratello e al massimo qualche fiction». Che cosa le ha detto Fellini? «“Carino il bambino, ma adesso fuori dal set...”. Poi mi ha dato una scoppola sulla testa. A mia madre faceva doppiare qualsiasi cosa, anche il rumore del semaforo di notte. “No, fammelo tu il semaforo...”. Oppure il cagnolino che doveva abbaiare nel sottofondo. E mia madre: “Bau bau bau”. Ma era Fellini, come si faceva a dire no?» [Carozzi, cit.]. Altri miti con cui ha lavorato? «Emir Kusturica, uno degli ultimi personaggi mitologici del cinema contemporaneo. Valeria Golino, magico esemplare di essere umano e attrice incredibile. Andrea Camilleri, che mi ha permesso di trarre la sceneggiatura da un suo racconto per il cortometraggio Il gioco, con il quale poi ho vinto il Nastro d’argento, il Giffoni Film Festival e altri importanti premi a New York» [Carozzi, Gentleman] • Tra i molti attori a cui presta la voce in italiano, Matthew McConaughey Hugh Jackman, Jude Law, Eric Bana. Nastro d’Argento 2007 per il doppiaggio di Raz Degan in Centochiodi e Nastro d’Argento 2009 per il doppiaggio di Heath Ledger nei panni di Joker per Il Cavaliere Oscuro: «Joker è stata dura. Quando ho potuto vedere il film in anteprima, mi sono detto che sarebbe stato difficilissimo rendere la voce e le sfumature di un malato interpretato genialmente da Joaquin: non basta la tecnica, occorre entrare nell’anima dell’attore originale. Ero talmente preso che mi sembrava stessi andando malissimo, invece gli americani della produzione mi dicevano che no, andava tutto bene. Insomma, stavo per diventare matto anch’io» [Weiss, cit.] • Suo padre, 19 anni prima, doppiò Jack Nicholson nello stesso ruolo del film Batman, di Tim Burton (1989) • «Doppiando, hai la possibilità di studiare l’attore e la sua recitazione come nessun altro: cosa ha fatto, cosa mostra, lo devi capire e copiare» • Ha mai provato il discorso come vincitore di un Oscar? «Per scherzo tante volte. Però ho pensato seriamente alla sensazione che devono provare quelli che si sono trovati là sopra» [Carozzi, Gentleman] • Nel 2014 «sono stato in viaggio con papà e i miei fratellastri più giovani: uno vive a Berlino, sembra un asceta e mangia semi. L’altro è un ex pugile, fa il dj a Londra. Tre giorni in macchina, come da piccoli, con una destinazione finale, la domenica a Pisa, per i 100 anni della nonna. Le abbiamo regalato un gorilla di peluche, vuol vedere la foto?» [Solari?] • Si dice che Adriano Giannini sul set sia un po’ teppista. Conferma? «Mentre stavo girando una scena particolarmente drammatica della serie In treatment (2013-2016), Barbora Bobulova, che sul set è mia moglie, doveva mettere una mano proprio lì, sopra ai pantaloni... Allora io, d’accordo con il regista Saverio Costanzo e tutti gli altri, prima di girare mi sono infilato un’enorme banana. Ma lei non se n’è accorta e ha continuato a recitare» [Carozzi, cit.] • In Gauguin a Tahiti - Il Paradiso perduto (2019) è la voce narrante, una sorta di guida che accompagna lo spettatore. Come descriverebbe l’esperienza? «Mi sono sentito una specie di Alberto Angela, oltre a raccontare, interpreto anche delle sequenze introduttive, così, per la prima volta, mi sono ritrovato scoperto, a tu per tu con la macchina da presa, senza lo scudo del personaggio che, in genere, protegge gli attori. Ho provato un senso di vulnerabilità. E un grande fascino verso la figura di Gauguin, il suo talento, e la passione con cui l’ha nutrito» [Caprara, Sta] • E Nanni Moretti? Hai recitato nel suo Tre piani, con cui saresti dovuto andare al Festival di Cannes… «In realtà per Cannes si parlava anche di un altro film in cui ho recitato, Lacci, di Daniele Luchetti. Di Nanni non voglio parlare. Dico solo che gli voglio bene e nel nostro mondo l’affetto e l’amicizia tra registi e attori non sono così frequenti. Il film non l’ho ancora visto, io facevo la parte di quello che non c’era mai… Il libro è molto bello, l’ho ripreso in mano perché forse devo farne una lettura».• Vive a Milano dal 2020: «Un mese prima del lockdown ho appeso l’ultimo quadro. Milano non l’ho ancora vista, anche perché quando sono ricominciati i set ho girato a Roma, per otto mesi, la serie Amazon Bang bang baby, sono un boss della ’ndrangheta negli anni Ottanta a Milano, una dark comedy» [ad Arianna Finos, Rep] • «Durante la pandemia ho comprato dall’Austria un mulino elettrico e grani diversi. Infornavo di notte e regalavo pane d’ogni tipo al condominio. Ho un librone con tutte le foto e gli ingredienti» [ad Arianna Finos, Rep] • «Ho inciso audiolibri e imparato a montare filmati [Weiss, cit.] • Ha scritto anche favole: «Una è Bella ciao ed è la storia di una farfalla; l’altra Piro il girasole, costretto come tutti a vedere sempre la nuca degli altri fiori, rivolti verso il sole. S’innamora di una girasole e si punta verso Est, dove sorge il sole, sfidando le leggi di natura, per poterla vederla ancora» [ad Arianna Finos, Rep] • «Sono pronto e mi sono anche proposto. Negli Stati Uniti i produttori che mi scelsero come attore nella serie Missing videro un mio corto e mi fecero dirigere alcuni episodi. Ho avuto la fortuna di lavorare per anni come operatore, conosco la tecnica» [ibid] • Da ultimo Bang Bang Baby di Michele Ailique, «la prima serie tutta prodotta da Amazon America in Italia. Recito in calabrese. È una dark comedy, la storia vera di una ragazzina che scala la ’ndrangheta per farsi amare dal padre, che sono io» • Ti capita di avere paura? Temi la malattia o la morte? «Be’, quella della morte è la madre di tutte le paure: ne nascono pensieri enormi, riesco solo a immaginare un cielo notturno pieno di stelle, bello… Ma a un certo punto c’è qualcosa che non so capire, un vuoto e un infinito, e mi viene paura. Mi piacerebbe, un giorno, poter dire di non avere più timore della morte» [Weiss, cit.].
Curiosità Una passione per il tennis e per Adriano Panatta. «Quando lo incontro a Roma, mi sento ancora un bambino adorante, e penso che lui si renda conto che lo guardo come un dodicenne; ma per fortuna ammicca. Ci ho anche giocato una volta, ovviamente mi ha massacrato, con quel polso… Ancora quello di una volta» [Michele Weis, Sole] • Nuota in piscina con il suo amato cane • Fuma e dice sempre di voler smettere • Chi è lei? «(Il silenzio diventa infinito) In quante parole?». Qualcosa di pubblicabile. «Ci devo pensare (e prosegue nel mutismo)». Restiamo con la riflessione aperta? «Un lungo silenzio con un punto interrogativo finale» [Ferrucci, cit.] • «Ho avuto un’influenza bestiale e mi ha curato la maga del piano di sotto, che è anche erborista: mi ha detto di far bollire per mezz’ora chiodi di garofano, aghi di pino, di tutto e di più, e di metterci pure il brandy. L’ho bevuto e ho iniziato a sudare come mai nella vita» [Sara Faillaci, Vanity] • Le capitano spesso set improbabili? «Il più improbabile fu uno di kung fu. Arriva un copione in cinese e mi dicono che doveva farlo Arnold Schwarzenegger, poi sgradito in quanto repubblicano, per cui hanno pensato a me. Pagavano bene e vado a Shanghai. Trovo due attrici ex campionesse mondiali di qualcosa, grosse tipo ninja. Mi assicurano: tranquillo, faranno finta. Al primo ciak, mi prendo un calcio terribile nel muscolo femorale».
Amori Noto sciupafemmine «Negli ultimi tempi è successo di meno, e comunque no, per carità, non mi ci ritrovo affatto, non sono mai stato così e, se mi ci hanno visto, è per via della fisicità, ma io, tendenzialmente, sarei un timido» [Caprara, Sta] • Per dieci anni ha avuto una compagna altrettanto discreta, una restauratrice genovese di nome Maria con cui viveva a Roma, e della coppia non esistono quasi immagini. Da due anni si sono lasciati (e anche sulle cause della separazione lui sarà molto misterioso) • «Sono single per i fatti della vita, fosse per me avrei già una nidiata di bambini» • Una passione per Cate Blanchett. «La prima volta che la vidi avanzava verso di me in una calle stretta di Venezia, non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. È la più bella, me ne innamorai all’istante. Tanto che alle mie compagne ho sempre detto: per lei mollerei tutto, sappilo» [Faillaci, cit.] • Poi conosce Gaia Trussardi e nel 2019 la sposa: «Con Gaia, è avvenuto un incontro, un riconoscimento d’appartenenza, abbiamo sentito quella sensazione per cui reciprocamente ci si affida all’altro, un legame antico, una cosa di un fascino misterioso» [a Candida Morvillo, cit.]
Titoli di coda «Mi interessano gli animi gentili. Vuol dire che hanno capito».