15 maggio 2023
Tags : Massimo Moratti
Biografia di Massimo Moratti
Massimo Moratti, nato a Bosco Chiesanuova (Verona) il 16 maggio 1945 (78 anni). Imprenditore. Presidente (dal 3 maggio 2018) e amministratore delegato (dal 15 marzo 2023; già dal 1981 al 2018) della Società anonima raffinerie sarde (Saras). Ex dirigente sportivo. Già presidente (1995-2004; 2006-2013) e presidente onorario (2013-2014) dell’Inter (5 campionati italiani, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Champions League, 1 Coppa Uefa, 1 Coppa del mondo per club). «Quanti soldi le è costata l’Inter in tutti questi anni? “Questo, non me lo potete chiedere. Non lo so, e non ve lo direi. Il calcio non è business: è passione. E le passioni non hanno prezzo”» (Aldo Cazzullo e Daniele Dallera) • Quinto dei sei figli (l’ultimo dei quali adottivo) di Angelo Moratti (1909-1981) ed Erminia Cremonesi (1907-1989); fratello minore di Gian Marco Moratti (1936-2018). «Qual è il suo primo ricordo? “Il mattino in cui ho compiuto quattro anni. Sentivo che era una giornata importante. E mio fratello Gian Marco stava andando a scuola con una calza rossa e un’altra blu”. Distratto. “Allegro. Eravamo una famiglia allegra. Papà lavorava tutto il giorno, ma ogni sera ci ritrovavamo a sentire la radio: Franca Valeri, Alberto Sordi…”. Com’era suo padre Angelo? “Fantastico. Non ho mai ritrovato, in tutta la mia vita, un uomo al suo livello. E per tutta la mia vita ho tentato di imitarlo, pur sapendo che era inimitabile. Geniale, affascinante, spiritoso, simpatico, umanamente ricchissimo…”. Non solo umanamente. “Però veniva dalla povertà. Il nonno aveva la farmacia di piazza Fontana a Milano, ma papà andò via di casa a 14 anni: sua mamma era morta, e non voleva vivere con la matrigna, dura come quella delle favole. […] Anche nostra madre Erminia era una persona allegra. Con papà scherzavano di continuo. Si amavano”» (Cazzullo e Dallera). «Quando torna da scuola e domanda alla madre Erminia, ex operaia in una fabbrica di bretelle ed ex telefonista alla Stipel, “È vero che siamo ricchi come mi ha detto un mio compagno?”, la moglie del petroliere Angelo Moratti risponde: “Sì, di capelli”. Ricchi di miliardi, anche, fatti con olio di gomito e olio combustibile per barche: Angelo ne era rappresentante all’epoca delle balere milanesi del Carrobbio, quando si faceva chiamare Samba ed era un mago della danza» (Maurizio Crosetti). «Papà era particolarmente vulcanico. Aveva già fondato nel 1949 la raffineria di Augusta, che aveva come unico cliente la Esso, a cui poi è stata venduta. […] Mio padre Angelo aveva anche realizzato una centrale elettrica in Umbria, poi nazionalizzata. La raffineria di Sarroch [nucleo originario della Saras – ndr] è nata assieme a tante altre cose di successo, naturale prosecuzione e concretizzazione delle idee di papà» (a Francesca Basso). «Com’era la Milano degli anni ’50? “Ancora semidistrutta. Da immaginare. Ma sapevamo che il futuro sarebbe stato migliore del presente”. Cosa votavano i Moratti? “Dc. Eravamo antifascisti e anticomunisti”» (Cazzullo e Dallera). «La prima volta che vidi l’Inter era il 6 novembre 1949. Avevo quattro anni: derby Inter-Milan. Finì 6-5: ci ero andato con mio padre e mio fratello, sarebbe diventata la nostra consuetudine. Vivevamo la settimana parlando dell’appuntamento della domenica, che era diventato fisso. Di quella gara ricordo la sofferenza e la gioia finale: ero molto piccolo, non ho immagini nitide» (a Valentino Della Casa). Angelo Moratti fu proprietario e presidente della squadra dal 1955 al 1968, forgiando la «Grande Inter». «Herrera, come lo trovaste? “Ce lo segnalò un giornalista della Gazzetta dello Sport, mi pare proprio Franco Mentana, il papà di Enrico”. […] Nel 1964 l’Inter vinse la sua prima Coppa dei campioni. “Alla prima partecipazione. Battendo 3 a 1 il Real Madrid, che vinceva sempre. Ma Herrera mise Burgnich su Di Stéfano e Tagnin su Puskás… Una gioia indescrivibile”. L’anno dopo rivinceste la Coppa a San Siro, gol di Jair. “Pioveva, la palla passò sotto la pancia del portiere del Benfica. Si vince anche così”. Chi era il suo eroe? “Mariolino Corso. Mai vista un’ala con tanta classe. Ho amato Recoba perché in lui rivedevo l’imprevedibilità di Corso”. Poi però, l’Inter, la vendeste. “E mio padre comprò il Cagliari, quando seppe che stava per cedere Riva alla Juve. Il mattino dopo i dirigenti sardi informarono Agnelli che l’affare non si poteva più fare: il club aveva un nuovo proprietario. L’Avvocato non chiese neppure chi fosse. Aveva capito”. E il Cagliari vinse clamorosamente lo scudetto. “Con Domenghini, che l’Inter aveva ceduto per Boninsegna”» (Cazzullo e Dallera). «Morto Angelo, le redini dell’azienda passarono a Gian Marco. Più vecchio di nove anni, più duro e cinico del fratello, le ha sempre tenute saldamente. […] Della Saras, Max è amministratore delegato e trascorre molto del suo tempo nella sede di Galleria De Cristoforis. […] Gian Marco ha come supremo valore la riservatezza. Dalla morte del padre Angelo, fondatore di questa recente dinastia di petrolieri, il suo motto è: “A noi Moratti, non conviene metterci in vista”. Con tale convinzione, per anni ha detto di no a Massimo, che voleva ripigliare la squadra di calcio. […] Poi accadde che lo stesso Gian Marco finì indirettamente sotto i riflettori e non poté più decentemente fare la predica al fratello. Vinte le elezioni del ’94, Silvio Berlusconi volle subito mettere gente sua alla Rai. Accortamente scartò i reggicoda, offrendo invece l’incarico di presidente a Letizia Brichetto Moratti, moglie appunto di Gian Marco. […] Qualche settimana dopo la nomina, Massimo gli si piantò davanti. […] “Mi hai sempre negato l’Inter per motivi di riserbo. Ora che Letizia è sulla bocca di tutti, che male c’è, se mi compro la squadra?”, fu la domanda rispettosa, ma ricattatoria, del più giovane fratello» (Giancarlo Perna). «Quando decise di ricomprarsi l’Inter il 18 febbraio 1995 (costo, circa settanta miliardi: ne avrebbe spesi di più per Vieri), nessuno in famiglia gli disse bravo. Lui, flemmatico e allampanato, non batté ciglio e si limitò a commentare: “Dovevo farlo, i Moratti non potevano continuare a essere lontani dall’Inter. È come se il papa decidesse di non tornare in Vaticano dopo un viaggio all’estero”. Certo non è un pontefice morigerato, semmai un signore seicentesco capace di convocare a palazzo ogni genere d’artista per puro piacere personale» (Crosetti). «Il 50enne Massimo trasmette entusiasmo e voglia di fare. Tornano, con compiti dirigenziali o tecnici, i Moschettieri dei trionfi ottenuti dal formidabile squadrone guidato da Helenio Herrera: i “cari ragazzi” Mariolino Corso, Giacintone Facchetti, Sandrino Mazzola e Luisito Suárez sono di nuovo in campo. A sorpresa Moratti conferma Bianchi, l’allenatore scelto da Pellegrini, ma l’Inter perde a Napoli e allora si vira su Roy Hodgson, ct della Svizzera. La squadra nerazzurra non si rivela competitiva. Moratti fa un mercato stellare però non riesce a colmare il gap. Ci sarebbe la possibilità, comunque, di cogliere il primo trofeo nella finale Uefa a San Siro. Invece finisce male ai rigori e Zanetti (!) litiga platealmente con l’allenatore. Hodgson perde le staffe e se ne va» (Nicola Cecere). «Moratti è l’album Panini fatto carne, è il collezionista assatanato, l’esteta barocco. […] Quando Massimo Moratti decise, estenuato, consunto dalle sconfitte come un eremita dal digiuno, di comprare Ronaldo dal Barcellona alla bella cifra di cinquantuno miliardi (era il 1997), sua moglie Milly fece una faccia strana e gli disse: “Ma aiutiamo piuttosto chi soffre…”. Lui, prontissimo, rispose: “E chi soffre più degli interisti?”» (Crosetti). «Comincia l’èra Ronaldo. Un Moratti scatenato punta tutto sul fenomeno brasiliano. Con 48 miliardi di lire porta a casa il più micidiale attaccante in circolazione. In quell’epoca la sua voglia di vittoria non conosce limiti finanziari. L’Inter è finalmente competitiva, e difatti contende lo scudetto alla Juve sino allo scontro diretto di Torino, dove Ceccarini non assegna un rigore a Ronaldo. Il presidente incendia il Palazzo con l’impeto e la violenza verbale di un capo ultrà. Il popolo apprezza e poi va a Parigi a fare festa nella finale di Coppa Uefa: 3-0 alla Lazio. Massimo, portato in trionfo dai giocatori, è un re a passeggio nel Parco dei Principi. Purtroppo Ronaldo rientra dal Mondiale francese con una tendinopatia rotulea che lo porterà, in seguito, in sala operatoria. Ne viene fuori una stagione travagliata. […] Arriva Héctor Cúper, l’hombre vertical. Sembra il tecnico giusto, invece alla gestione Cúper è legata la più grande delusione patita da Moratti in questa sua lunga avventura, lo scudetto perso all’Olimpico contro la Lazio all’ultima giornata in quel disgraziato pomeriggio del 5 maggio 2002. Un epilogo allucinante di un torneo condotto al comando» (Cecere). «I giocatori credettero di aver avuto segnali dai colleghi della Lazio: non si sarebbero impegnati, per non favorire la Roma. Tutte balle. Ne ero convinto già prima del fischio d’inizio, e li avvisai: “Nessuno ci regalerà nulla”. Eppure entrarono in campo con una sicurezza eccessiva. E non sono mai riusciti a prendere in mano la partita. Mi sentivo così responsabile che mi dissi: non lascerò il calcio finché non avrò la rivincita». «A fine estate, una nuova delusione: Ronaldo, trattato come un figlio, seguìto con affetto lungo il suo calvario, sceglie il Real Madrid. Il presidente punta tutto su Bobo Vieri (che aveva pagato 90 miliardi). Zaccheroni, qualificatosi in extremis per la Champions, viene congedato tra imbarazzi diffusi e una lauta liquidazione. E così Roberto Mancini comincia il suo lavoro e centra subito la Coppa Italia. Nella seconda stagione c’è il successo in Supercoppa e arriva un’altra Coppa Italia. Il campionato si chiude con il terzo posto, però in estate la giustizia sportiva assegna a Moratti lo scudetto tolto alla Juve. […] La Juve retrocessa in B cede per 22 milioni il suo asso Ibrahimović proprio ai rivali milanesi» (Cecere). «Mazzola ha raccontato di aver lasciato l’Inter perché lei si consultava con Moggi. “Non è andata così. È vero che Moggi voleva venire all’Inter, e io non gli ho mai detto esplicitamente che non lo volevo; ma non l’avrei mai preso”. Perché? “Perché la Serie A era manipolata, e noi eravamo le vittime. Doveva vincere la Juve; e, se proprio non vinceva la Juve, toccava al Milan. Una vergogna: perché la più grande forma di disonestà è imbrogliare sui sentimenti della gente”. […] Alla Juve tolsero due scudetti, e uno lo assegnarono a lei. Lo rivendica? “Assolutamente sì. So che gli juventini si arrabbiano, e questo mi induce a rivendicarlo con maggiore convinzione. Quello scudetto era il risarcimento minimo per i furti che abbiamo subìto. Ci spetterebbe molto di più”. Poi arrivarono gli scudetti di Mancini e di Mourinho. Come scelse Mou? “Ascoltando una sua intervista tv, tra una semifinale e l’altra della Champions 2004. Il suo Porto aveva pareggiato con il Deportivo La Coruña, il ritorno si annunciava molto difficile. E lui disse: ‘Ma quale Deportivo, io penso già alla finale’. La sua spavalderia mi piacque moltissimo”. E fu il triplete: campionato, Coppa Italia, Champions. “Missione compiuta. Ero fiero che la stessa famiglia avesse rivinto la Coppa quasi mezzo secolo dopo. Per la prima volta mi sono sentito degno di mio padre; anche se lui resta inarrivabile”» (Cazzullo e Dallera). «La notte del triplete avrebbe voluto essere un tifoso qualunque: “E girare per Milano con i finestrini giù”, dice, “la testa fuori a gridare con la bandiera che sventola”. Invece è a Madrid mentre anche José se ne scappa: “Ma io lo sapevo, non è stata una sorpresa”» (Claudio De Carli). «Ha provato anche a prendere Messi (“Ma era troppo legato al Barcellona”), ha rifatto l’Inter per arrivare in cima al mondo. Poi nel 2011, dopo la Coppa Italia, “ho pensato che fosse venuto il momento di fare un passo laterale, di trovare nuove soluzioni per il club”» (Fabio Monti). Il 15 ottobre 2013 Moratti cedette il 70% dell’Inter alla società indonesiana International Sports Capital, indirettamente posseduta da Erik Thohir, rimanendone presidente onorario fino al 23 ottobre 2014 e azionista fino al 6 giugno 2016, quando la squadra fu acquisita dal cinese Suning Commerce Group. «“Gli Zhang, sia il padre sia il figlio, mi sono sempre parsi in buona fede. All’inizio mi chiedevano di parlare ai giocatori, di motivarli. Ma oggi reggere a lungo nel calcio è impossibile. Ogni anno le perdite raddoppiano o quasi: 50 milioni, 100 milioni, 150 milioni…”. Come finirà? “Forse arriverà un fondo americano. Ma attenti alla speculazione. Il calcio non è costruito per fare soldi. Gli americani vorrebbero trasformarlo in spettacolo. Show-business. Ma non so se in Italia sarà mai possibile”» (Cazzullo e Dallera). «Io sono il passato. L’Inter ha bisogno di futuro, di rinnovarsi» (a Umberto Zapelloni). «Per tutti è il presidente dell’Inter, anche se la società non è più sua e non ha più incarichi. […] Ma la Saras, di cui ora è presidente, è una “passione” altrettanto forte, “perché è espressione della famiglia”. E perché “questo mestiere è affascinante, mai scontato”. […] “Con Gian Marco ci capivamo con uno sguardo – ricorda –. Lavoravamo uno vicino all’altro, lui era il presidente e io l’amministratore delegato. Del nuovo incarico sento più il privilegio del peso. Ci manca la sua presenza. Adesso il dialogo aziendale è con i nostri figli, con quelli di Gian Marco e con i miei”. […] La Saras è tra i leader nel settore della raffinazione, è in grado di lavorare 42 tipi di greggio e di ricavare prodotti altamente raffinati, compete con i colossi internazionali. L’impianto di Sarroch, in Sardegna, è uno dei più grandi del Mediterraneo per capacità produttiva. “Siamo l’unica azienda familiare in questo settore”, riflette Moratti. […] “L’Inter rimane per la famiglia e per me un pezzo di cuore. Il lavoro dà preoccupazioni maggiori, ma non che l’Inter non ne portasse…”» (Basso) • Nell’agosto 2021 Dazn gli dedicò una serie documentaria in tre puntate, Simpatico. L’ultimo dei romantici • Cinque figli (Maria Celeste, Angelomario, Maria Carlotta, Giovanni e Maria) dal matrimonio (1971) con Emilia «Milly» Bossi, «goscista ecologista, regina del km zero» (Aldo Grasso). «Come ha conosciuto sua moglie Milly? “Alla Capannina. Era bellissima. La invitai a ballare. Era il 1966, aveva vent’anni ma ne dimostrava meno. Ci siamo sposati nel ’71, abbiamo sempre condiviso tutto. Tranne una cosa”. Quale? “Quando comprai l’Inter non le dissi nulla. Lei lo apprese dalla tv. Diedi ordine di bloccare gli ascensori: temevo salisse in sede per fermarmi. Poi andai a casa. Non trovai nessuno. Brindai con la cameriera”» (Cazzullo e Dallera) • «“Per me è difficile vedermi di sinistra: sono petroliere, proprietario di una squadra di calcio [intervista del 2006 – ndr], quello tra i presidenti che spende di più… Ma la gente mi considera di sinistra”. Le dà fastidio? “Non mi sembra negativo essere giudicato di sinistra”. E lei per chi vota? “Il voto è segreto”. Insisto. “Voto per quelli che lei pensa”. Per chi ha votato in passato? “Dc, come tutta la famiglia. Anche liberale qualche volta”» (Claudio Sabelli Fioretti) • «È vero che lei ha rifiutato di candidarsi a sindaco di Milano? “Sì, per tre volte. E forse ho sbagliato. È un po’ un rimpianto: mi sarebbe piaciuto”» (Cazzullo e Dallera) • «Come trova Milano oggi? “Sempre la miglior città al mondo per lavorare”. […] Sala come lavora? “Bene. Ma non deve sottovalutare l’insicurezza. L’inquinamento. E la speculazione edilizia”. […] E il nuovo stadio? “Non mi convince. Buttare giù San Siro sarebbe un delitto. Dice: così i club guadagnano 30 milioni l’anno. Ma cosa sono 30 milioni rispetto alla storia? Vedrete che alla fine nessuno oserà demolire il nostro tempio”» (Cazzullo e Dallera) • «Grande amico di Celentano, buon esecutore delle canzoni di Mina, eterno ragazzo degli anni Sessanta che parla sottovoce con ingenua vaghezza, Moratti ha un ufficio come una cameretta di tifoso stracolma di foto, coppe, talismani, ricordini» (Crosetti) • «È in prima fila nel volontariato milanese. […] “Sono ricchi, ma sono gente seria e onesta”, si dice a Milano dei Moratti» (Crosetti) • «Aria da professore di storia e filosofia» (Beppe Severgnini). «Look drammatico del giovanotto pazzo d’amore come andava negli anni ’60» (Perna) • «I rivali lo hanno sempre rispettato per i suoi modi da vero gentleman, […] i tifosi inneggiato per la sua generosità» (Luca Guazzoni). «Massimo, la cui filosofia è andare d’accordo con chiunque respiri, è restio a esercitare l’autorità, meno che mai ad affrontare le persone a tu per tu» (Perna). «Moratti? È come Pasquale Bruno: era un pezzo di pane fuori dal campo, poi giocava e lo chiamavano “’o Animale”» (Luciano Moggi) • «Cosa pensa di Berlusconi? “Lo considero un amico. Come imprenditore lo stimo molto”. E come politico? “Non vorrei perdere la sua amicizia”» (Cazzullo e Dallera). «Berlusconi ha vinto tutto! Come si può non stimare un uomo così?» • «Peggio il Milan o la Juve? “La Juve, senza dubbio”» (Cazzullo e Dallera) • «Qual è il massimo regalo che avete fatto a un arbitro? “Prosciutti a Natale. Furono contestati da alcuni giornali”. Oltre ai prosciutti? “Sciarpe, guanti. Ma il prosciutto è il regalo più gradito. Si mangia e non rimane come prova”» (Sabelli Fioretti) • «Scelga tre campioni da Moratti. “Ronaldo, Ibrahimović e Recoba”» (Dallera). «Io credo che Ronaldo sia stato il giocatore più forte che si è presentato in Italia nel dopoguerra» • «Dottor Moratti, quanto le manca l’Inter? “Non mi manca, perché non l’ho mai lasciata. Sono tornato quello che ero prima, cioè un tifoso. Sia allo stadio, sia davanti al televisore”. […] Ci sarà un altro Moratti presidente dell’Inter? “Fecero la stessa domanda a mio padre, e lui disse: ‘Chi lo può dire? Non posso rispondere per conto dei miei figli’. Ecco, la mia risposta è la stessa”» (Stefano Olivari).