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 2023  maggio 19 Venerdì calendario

Biografia di Walter Siti

Walter Siti, nato a Modena il 20 maggio 1947 (76 anni). Scrittore. Critico letterario. Saggista. Autore televisivo. Vincitore, nel 2013, del premio Strega con Resistere non serve a niente (Rizzoli, 2012). «Non scrivo per cambiare il mondo, ma per capirci qualcosa di più» • «Mio padre era operaio in un pastificio e commesso viaggiatore, mamma operaia» (ad Annarita Briganti). Esile il rapporto col padre, «un uomo bravissimo, onesto, serio, buono. Però non ricordo da lui un solo abbraccio, un solo gesto d’affetto: si vergognava, niente smancerie. Ma quel che mi ha fatto mancare il padre è stato il fatto che io, a partire dai sei anni, mi sentivo superiore a lui. Mi portò una volta a vedere il Modena allo stadio: lui era tifosissimo ed esultava, si alzava in piedi, gridava. Io mi ricordo solo una grande vergogna, mi ricordo che stringevo i pugni, chiudevo gli occhi e ripetevo: “Questo non è mio padre”» (Annalena Benini). «Ha avuto un’infanzia infelice. “Piuttosto infelice dopo i sei anni. Prima, ero molto sicuro di me. Abitavamo in una casa colonica alla periferia di Modena e fra tante famiglie ero l’unico bimbo: mi coccolavano tutti. Mamma mi voleva bene, forse troppo. In cortile una maestra lasciava piccoli cubi con lettere e figure e avevo imparato a leggere e scrivere da solo. Il primo giorno di scuola, mia madre si vanta con la maestra. Che, con l’aria di dire ‘vabbè’, mi mette alla lavagna e dice: scrivi ‘casa’, ‘cassa’, ‘gnomo’… Poi: ‘sciatore’, ‘soqquadro’… Ho fatto le scuole come un animaletto ammaestrato. Gli altri scrivevano ‘papà’ e ‘gnomo’ e io giocavo a scacchi con la maestra. Piano piano, mi sono convinto che il mondo mi fosse nemico e io dovessi far finta, prendere tutti dieci, tenermi per me le mie cose, il sesso anche”. Il sesso a sei anni? “L’analista ha detto che non ho avuto il ‘periodo di latenza’, in cui la libido è dormiente. A sette od otto anni, facevo gonne con gli scampoli di stoffa a un calciatore giocattolo. Un tale disse a mio padre: attento, ché diventa omosessuale. Papà rispose: figurati, no. E io pensai: povero papà, non sa che è già successo. Quando, ventenne, ho raccontato all’analista certi pensieri su mio padre, ha detto che non facevano bene a un bimbo di quell’età”» (Candida Morvillo). «Domanda cretina: omosessuali si nasce o si diventa? “È sicuro che la domanda sia cretina? Si diventa”. E lei quando lo è diventato? “A tre anni”. […] Cosa può esser successo a tre anni? “Ho accarezzato le cosce a mio cugino più grande, che, in pantaloncini corti, stava seduto sul divano. Mi è rimasto addosso il turbamento”» (Francesco Merlo). «Quando nel ’62 o ’63 ho iniziato a dire ai ragazzi “Sei molto bello, mi piaci”, mi sputavano in faccia senza troppi problemi». «Ricorda la prima busta paga? […] “Era l’estate del 1965 e lavoravo presso un magazzino dell’Enel. Gridai la cifra a mia madre dal cortile di casa per farmi sentire da tutti e poi le comprai un ventilatore”» (Gabriele Santoro). «Lei si laureò alla Normale. C’erano Sofri e D’Alema. Il primo era più grande e il secondo più giovane di lei. Anche lei affascinato da Lotta continua? “No. Io, molto controcorrente, nel 1968 mi scrissi al Pci. Non mi volevano perché ero omosessuale. Mi difese D’Alema: ‘Non è uno che nasconde l’omosessualità’. In realtà, a casa la nascondevo”. […] “Quando, molto colpito dal film Teorema, chiesi la tesi su Pasolini, Mario Fubini mi disse: ‘È più giovane di me, sarebbe come chiedere a Corneille una tesi su Racine. Ma, se vuoi, falla pure’. Scrissi a Pasolini ben due lettere, ma non mi rispose. Dopo la laurea gli scrissi una letteraccia risentita, e finalmente mi rispose. Volle vedere la tesi, della quale apprezzò l’ultimo capitolo, che era un studio metrico su Le ceneri di Gramsci. Lo incontrai diverse volte, mi fece correggere alcune cose e nel 1972 lo pubblicò su Paragone. Non lo vidi più. Gli scrissi una lettera dove gli rivelai che ero omosessuale anche io e lui mi mandò una lunga risposta, che ho perduto, parlando della propria omosessualità”» (Merlo). «Abbastanza presto, diciamo subito dopo la laurea, cominciai a sentire come un peso quel suo senso di colpa forte, intrinseco al suo modo di vedere l’omosessualità. […] Io avevo vent’anni e molta voglia di scoprire Londra e Amsterdam» (a Francesco Esposito). «“Dopo la laurea entrai in analisi anche per guarire dall’omosessualità”. E come andò? “Ne uscii con dieci chili in meno e una grande barba, che mi feci crescere in onore di Gino Paoli. Portavo anche gli occhialoni neri come lui”» (Merlo). «“La salvezza mi arrivò con Fratelli d’Italia di Arbasino: mi resi conto che c’era il modo di divertirsi andando a zonzo per l’Italia lungo l’Autostrada del Sole. Diciamo che dai 23 ai 30 anni scelsi di non pensare più a Pasolini”. Quando lo riscoprì? “Quando ho cominciato a scrivere. […] Mi sono ritrovato a fare scelte simili alle sue, ad avere un percorso che lo costeggiava, avendo sempre cercato di restarne lontano. Succede, a volte, con i veri padri”» (Esposito). Divenuto docente universitario, insegnò dapprima a Pisa, poi a L’Aquila, quindi a Cosenza. «Praticamente ignoto come scrittore all’epoca dell’uscita del primo romanzo (Scuola di nudo, Einaudi, Torino 1994), Siti era in precedenza conosciuto per la sua brillante carriera di critico letterario, dalle pagine di Nuovi Argomenti e dall’aver pubblicato due saggi per Einaudi, nel 1975 (Il realismo dell’avanguardia) e nel 1980 (Il neorealismo nella poesia italiana)» (Lorenzo Marchese). «“Per anni mi sono riempito occhi e testa di Balzac, Mann, Dostoevskij: erano di un’altezza tale che non ho neanche provato a scrivere. Pensavo che il mio lavoro fosse parlare dei libri altrui. Intorno all’80 ho iniziato a sentire che mi importava di più capire i nodi che mi si aggrovigliavano dentro. Cominciai a scrivere versi. Alfonso Berardinelli mi disse: sono troppo chiusi, si sente il bisogno di prosa. Così, fra l’82 e il ’94, lavorai a Scuola di nudo, pensando: lo scrivo, ma nessuno lo vedrà. Poi lo feci leggere ad amici intimi e mi dicevano: se lo pubblichi, la tua carriera universitaria finirà”. Di fatto, il protagonista era lei ed erano riconoscibili i suoi colleghi. “Mi ero chiesto che cosa mi interessasse davvero. La risposta era stata: gli uomini nudi. Me ne vergognavo molto. In copisteria, a ritirare i capitoli ribattuti, mandavo un amico: non volevo che la dattilografa mi vedesse in faccia”. […] “L’analista, col quale mi ero lasciato lacrime agli occhi, quando gli ho mandato Scuola di nudo, ha avuto la bontà di scrivermi: per me la nostra analisi finisce qui”» (Morvillo). «“Mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità. Le mie reazioni sono standard, la mia diversità è di massa”: c’è chi ha definito l’incipit di Troppi paradisi (Einaudi, 2006) il più bello della letteratura italiana contemporanea. […] Mentre componeva una trilogia per Einaudi (Un dolore normale, La magnifica merce e Troppi paradisi), all’inizio degli anni 2000 firmava anche una poco pregevole trasmissione pomeridiana della Rai, tra cronaca e lacrime [Al posto tuo; fu persino tra gli autori delle prime edizioni del Grande Fratello – ndr]. È lui stesso a raccontarlo in Troppi paradisi, la sua “autobiografia contraffatta”, dove mischia il demi-monde pasoliniano (offrendo un feroce ritratto di Laura Betti) e il sottobosco Rai. Fino a far esplodere il romanzo in una riflessione sul destino dell’Occidente e nella sua ossessione per il corpo dei bodybuilder (meglio se di borgata). […] Siti si è infatti divertito a spendere pagine su pagine dei suoi libri per Marcello, un culturista che si esprime solo in dialetto romano ed esprime il punto di vista meno etico della società in cui viviamo. Lo incontriamo anche in Il contagio, romanzo del 2008 sulle borgate romane dominate dall’economia della cocaina e del sesso promiscuo, che Siti adotta a pretesto per spiegare come il maestro Pasolini avesse in fondo torto: non sono state le borgate a imborghesirsi, ma le città a “imborgatarsi”. Nel romanzo successivo, Autopsia dell’ossessione, Siti invece si interroga sul desiderio sessuale, che negli anni di YouPorn tende a coincidere sempre di più con la ricerca di un’immagine prima che di un corpo, generando così l’ossessione» (Eugenio Spagnuolo). Nel 2013 la consacrazione del premio Strega, con Resistere non serve a niente (Rizzoli, 2012), «il primo romanzo italiano sulla crisi. Walter Siti […] racconta il lato oscuro della globalizzazione. […] Banchieri complici di trader pazzi, che si arricchiscono con derivati tossici, facendo fallire gli Stati o provocando guerre. Mafiosi di seconda generazione, laureati nelle università private, mimetizzati dagli abiti scuri degli stilisti. Si ritrovano tra Milano, capitale della finanza, e le terrazze romane occupate da pacchiani personaggi televisivi, che Siti cita con nomi e cognomi. […] “È un libro sul fascino dei soldi”. […] Per la prima volta abbandona i temi pasoliniani, autobiografici, dei precedenti romanzi, ma i professionisti milanesi e romani, ritratti senza pietà, ne escono schiavi del sesso. “Più del piacere, conta l’apparenza. Il corpo è merce di scambio e status symbol”» (Briganti). «Quando ha scritto Bruciare tutto, dove ci sono invece un prete pedofilo e un bambino che si suicida perché quel prete lo respinge, ha spiegato che un bambino voleva ucciderlo fin dal primo romanzo. […] Siti, chi è il bambino che voleva uccidere dal primo romanzo? “Forse io. Intendendo dire: riportarlo a una patria più confacente, toglierlo via di qua”. […] È vero che per le polemiche su Bruciare tutto ha pianto? “Ho pianto perché il mio compagno leggeva su Facebook insulti assurdi in cui mi davano del pedofilo e ci restava malissimo”» (Morvillo). L’ultimo suo romanzo è La natura è innocente. Due vite quasi vere (Rizzoli, 2020), «il primo tentativo che faccio di quello che una volta si chiamava “romanzo verità” o “non-fiction novel”. Racconta due vite vere, con nomi e cognomi, di due persone che adesso hanno poco più di quarant’anni. Uno ha ucciso la madre a Catania vent’anni fa e sta finendo di pagare il suo conto con la giustizia; l’altro è un ex attore porno che ora insegna Matematica a La Sapienza. Poi ci sono una decina di pagine finali che di nuovo sono uno sprofondamento nella mia autobiografia, […] nel punto in cui dà più fastidio. Mi sono inventato una definizione un po’ buffa, che è quella di “autobiografia appaltata”, come quando si appaltano i lavori. Ho appaltato ai due protagonisti, che hanno quarant’anni, di andare a cercare dove io, a settantatré, non ho più voglia» (a Matilde Quarti). «Nel romanzo, in coda, confessa il suo istinto matricida represso e la connessa natura femminile delle sue passioni omoerotiche. “I culturisti erano lei, travestita, con le parti pericolose eliminate. A 30 anni mi chiesi: perché i culturisti e non un bel ragazzo atletico? La risposta è stata: mi interessano i seni e il culo. Un culturista è pettorali, culo e cosce. Una mamma 2.0”. […] “Se in Bruciare tutto ho aggredito dentro di me il meccanismo dell’infanzia, come se nichilisticamente avessi condannato il mio me stesso bambino, qui addirittura condanno la maternità, cioè l’essere al mondo. […] Non ci sono personaggi positivi, è il mio libro più disperato”» (Luca Mastrantonio). Nel 2021 ha dato alle stampe Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura (Rizzoli). «Ogni capitolo affronta scrittori di moda, con la voglia di reagire all’idea per cui la letteratura serva a fare del bene, a sviluppare solidarietà, libertà, giustizia. Oggi devi parlare bene dei migranti, delle donne e censurare il resto, ma così non si sfrutta la letteratura, che, se va a fondo ed è seria, dice cose che l’autore non sapeva di voler dire. E può tirare fuori cose spiacevoli che possono anche fare del male». Da ultimo ha pubblicato due raccolte di testi già editi, una di saggi, Quindici riprese. Cinquant’anni di studi su Pasolini (Rizzoli, 2022), l’altra di racconti, Tutti i nomi di Ercole. La magnifica merce e altri racconti (Rizzoli, 2023). «Siti ha appena terminato, mi ha confidato senza segreto di Stato, un nuovo romanzo molto diverso dai precedenti. Dove, al posto delle sue ombre e ossessioni, si guarda allo specchio e invece di mandarlo in frantumi capisce che è una finestra sul mondo: quel mondo che per troppo tempo, per bontà e ingenuità, si è caricato sulle spalle» (Gian Paolo Serino, nell’aprile 2023). Dall’insegnamento si è ritirato nel 2007. «Che docente è stato? “I quattro quinti mi ritenevano un cialtrone, gli altri uno al quale raccontare le proprie cose private. Sa? A volte, leggendo dei brani in aula, mi veniva da piangere, e non si fa”» (Morvillo) • Curatore dei Meridiani Mondadori dedicati a Pier Paolo Pasolini • Dal 2016 è unito civilmente a un uomo. «Nel 1967 c’era un’occupazione alla Sapienza, avevo 20 anni, rimasi a dormire lì; un ragazzo che mi piaceva molto inizia ad amoreggiare con una ragazza, si spogliano e lo fanno, allora un’altra mi si avvicina e si dà da fare. Io ho scopato lei guardando lui. Era rimasta incinta. Avrei anche potuto diventare padre: è un piccolo rimpianto». «Marcello, il culturista della sua trilogia, esiste davvero? “Un personaggio così, non avrei potuto inventarlo. Io dai 27 anni ho sempre avuto convivenze e rapporti lunghi, ma ho vissuto su un doppio binario, con una vita catacombale, sepolta, di saune, incontri di una notte. Marcello è stato l’unico ponte fra le due vite: l’ho conosciuto come escort ed è diventato la persona più importante della mia vita per alcuni anni”» (Morvillo). «Se potessi, mi sceglierei bisessuale, per capire le donne che non so raccontare» • «Io non do alcuna importanza al pene in un corpo maschile. […] Nella scala ideale del mio desiderio prima ci stanno i bodybuilder, poi alcune donne, poi tutti gli altri uomini e tutte le altre donne. Cioè, se io dovessi scegliere tra un tizio magretto e Monica Bellucci, sceglierei la seconda senza un attimo di esitazione» (a Guia Soncini) • «Ho divorziato dalla Chiesa cattolica per eccesso di religiosità. Ricordo che, ragazzino, andavo a confessarmi dal prete e gli dicevo: ho visto passare quel canoista e mi è piaciuto. Quello mi diceva: ti do l’assoluzione però devi promettermi di non far più questo peccato. Ma io sapevo che i peccati si possono fare in pensieri, opere e omissioni. Quanto alle opere avrei potuto astenermi, ma quanto al desiderio era impossibile. Così il prete non mi diede l’assoluzione, e senza assoluzione niente eucarestia: mi sentivo tagliato fuori. […] Anche alcune ossessioni sessuali hanno a che fare con il misticismo. L’ossessione per il tipo Ercole, per il tipo Apollo, per il tipo Angelo sono forme degradate, secolarizzate di un bisogno di metafisica che non è più reperibile ad altri livelli». «Il vero problema per me, che sono tanto interessato alla religione, dell’aderire a Dio Padre, non è tanto Dio: è il padre» • «Sento ancora molto forte l’odio di classe. Ho dovuto ottenere pezzettino per pezzettino quel minimo benessere che ho, la sicurezza in me stesso» • «Più la sinistra dà l’impressione di volere rivoluzionare delle cose che stanno molto alla base, come il patriarcato e l’idea stessa di Occidente, […] e trattando con sospetto tutti i temi che sono della tradizione, più finisce per regalare alla destra uno spazio che si potrebbe anche rivendicare alla sinistra» (a Francesca Matta) • «Non sono capace di risparmiare: quando mi è capitato di avere qualche soldo in più, l’ho buttato all’inseguimento di passioni non sempre lecite e sensate» (a Raffaella De Santis) • «Sono sempre stato affascinato dai romanzi – o dai cicli di romanzi – che si occupano di classi sociali. Mentre una volta avrei detto Proust e Dostoevskij, che ho letto di più da ragazzo, oggi il mio autore di riferimento è Balzac, che da un certo punto di vista rappresenta l’idea che la letteratura sia anche una specie di scandaglio, che si muove in su e in giù, e vede tutti i mondi e tutte le classi. È un’idea che mi piace molto. Tra l’altro, ho scoperto che siamo nati lo stesso giorno, io e Balzac, il 20 di maggio: mi è sembrata quasi una forma di adozione» • «Pasolini […] è stato la mia pietra di inciampo. Neppure come scrittore gli somiglio, anche se ho cominciato a scrivere raccontando le borgate romane. […] Il mio vero maestro è stato Francesco Orlando, il grande francesista» • «Uno dei più celebrati autori italiani viventi. Tendenzialmente estraneo ai grandi numeri, la sua è una scrittura apprezzata più dai critici che dal grande pubblico» (Quarti). «I suoi libri raccontano in modo perfetto la nostra modernità. Ecco, lui è un vero romanziere, modernissimo, contemporaneo» (Valeria Parrella). «Mah, ho letto un po’ dei suoi libri, ma non fino in fondo, perché a me non interessa il ricamare intorno a un’ossessione. Tantomeno sessuale» (Aldo Busi) • Proclama di voler restare fedele allo stile, «come uno degli ultimi testimoni, oggi che le regole sono quelle del pensiero breve: velocità ed efficacia. […] Oggi gli editori obbligherebbero Dante a ascrivere una Commedia sincopata, pronta per l’intrattenimento: un po’ di musica, forti immagini, e intanto lo manderebbero in giro a fare i selfie…» • «Scrivo sempre a casa mia, sdraiato sul letto a pancia sotto, […] su un quaderno. […] Verso le cinque del pomeriggio mi siedo al computer e ricopio il lavoro della giornata, correggendolo un poco» (a Vanni Santoni). «Per fare un romanzo mi servono tre o quattro anni» • «Pensare che la letteratura sia alla portata di tutti è una svalutazione inutile. Non ci credo, e non credo neppure ai poeti ingenui. Rimbaud era giovane ma dava lezione al suo professore. La letteratura è fatta da uomini colti» (ad Alessandro Gnocchi) • «Cosa la preoccupa? “Solo una cosa: la vecchiaia”» (Miriam Massone) • «Oggi perché scrive? “C’è un passo di Hugo che paragona i mestieri di scrittore e minatore. Dice: ‘Succedono incidenti laggiù’. Quegli incidenti sono la cosa che mi interessa”» (Morvillo).