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 2023  maggio 25 Giovedì calendario

Biografia di Bruno Gambarotta

Bruno Gambarotta, nato ad Asti il 26 maggio 1937 (86 anni). Scrittore. Giornalista. Conduttore tv. «Un travet di Serie A» (Raffaella Silipo).
Vita «Per un refuso tipografico fu definito “scrittore artigiano” invece che astigiano. Ma Bruno Gambarotta ama questa definizione. Lettore appassionato, personalità eclettica, battuta pronta e simpatia irresistibile, penna elegante e ironica, Gambarotta è nato e cresciuto ad Asti, in via Ottolenghi 5, “nella casa che una volta era chiamata la casa dell’anciuè (l’acciugaio), della famiglia Delpui, e conservo un bel ricordo di quegli anni. Piazza Roma era il campo da gioco mio e dei miei compagni: ho avuto la fortuna di essere della generazione di quelli che giocavano per strada. Le mamme ci chiamavano quando era pronta la cena, noi non davamo retta, salivamo a casa solo quando arrivava la minaccia: ‘mando tuo padre’. Amavo andare in bicicletta: pedalavo sempre, facevamo le gare a chi arrivava prima in cima a corso Dante. Mi ricordo La Lucciola, i giardini, un tavolo da biliardo. Da giovane ho giocato tanto a biliardo, ho ereditato una passione di famiglia: nonno paterno era un campione, gestiva una sala con tanti tavoli. Anche papà Mansueto si era messo a giocare e quando mio nonno l’ha scoperto l’ha sfidato: se vinci continui a giocare, altrimenti smetti. Vinse nonno e papà posò la stecca”. Tra le elementari in via Carducci e le medie in via Roero, racconta delle tragedie di Alfieri viste da scolaro (“la scuola ci portava a teatro in fila per due”), di continue tappe in Biblioteca e dei tanti libri presi in prestito perché la lettura è il suo segreto di scrittore: “Leggevo tantissimo, di tutto”» (Valentina Fassio) • Figlio di un tipografo «amante dei fornelli» (e da cui dice di aver imparato a cucinare) • «Mio padre era un grande cacciatore. Però vegetariano. Andava nei boschi e sparava ai funghi» • «Mamma Nerina faceva la pettinatrice: il negozio era in via Aliberti, “Da Neri”. Io ero sempre parcheggiato in negozio, ascoltavo i discorsi delle clienti che si facevano le confidenze da sotto i caschi convinte di parlare a bassa voce, invece si sentiva tutto. Le mie prime letture sono stati i settimanali femminili, Confidenze, Grand Hotel. Quando dopo l’alluvione papà perse il lavoro (l’acqua aveva invaso la tipografia e lo stabilimento era fallito), la famiglia campava con il lavoro di mamma e papà faceva i lavori di casa. Ho imparato da lui, anche se mia moglie non vuole: ce l’ha con me perché scelgo detersivi cari, in una “boutique” dove i prodotti hanno prezzi proibitivi: li compro, li nascondo nel mio studio e li uso quando lei non c’è. Mamma voleva facessi il parrucchiere, papà mi pensava tipografo: l’odore del negozio da pettinatrice non mi piaceva, quello dell’inchiostro da stampa mi faceva impazzire di felicità: ho scelto il lato paterno, del resto nonno era stato litografo e il fratello di papà, Ettore, anche lui tipografo. Sognavo di fare l’editore, poi ho percorso un’altra strada» (a La Stampa) • Ha lavorato per oltre trent’anni alla Rai (entrò col concorso del 1962) come programmista e delegato alla produzione, con saltuarie presenze in video e ai microfoni della radio. «Ero entrato alla Rai come cameraman, ma a un certo punto fu bandito un concorso riservato ai laureati. Io non ero laureato, ma dato che gli avevo messo in ordine i volumi della biblioteca, e Franco Antonicelli mi aveva chiesto come potesse sdebitarsi, mi lanciai. Ci sarebbe questo concorso... Scrisse una lettera al suo amico Marcello Bernardi, vicedirettore della Rai» • Le sue doti di intrattenitore e comico vennero alla luce grazie a Celentano e al suo Fantastico dell’87. Cominciò così la carriera di conduttore televisivo e radiofonico (Lascia o raddoppia, Tempo reale ecc.) • «Con Nanni Loy tra Specchio segreto e Viaggio in seconda classe deste vita a un esperimento antropologico. “Non diversamente da Pietro Germi, Nanni disprezzava i convenevoli. Me lo ricordo il vecchio Pietro, mentre preparavamo I giovedì della signora Giulia a Varese, torvo, chiuso in se stesso, all’ombra dei grandi tazebao sui quali, con l’attenzione maniacale degli artigiani di un tempo, segnava ogni singolo passaggio della lavorazione. Io arrivavo sul set e dicevo buongiorno, lui si limitava a un cenno del capo. Al quarto giorno mi prese da parte: ‘Non c’è alcuna necessità che mi saluti ogni mattina, facciamo che la prima volta vale per tutte le altre a venire’. Si circondava sempre degli stessi eterni collaboratori. Gente che era con lui dagli albori. Un gerontocomio” […] C’erano figure come Antonello Falqui. “Altro perfezionista maniacale. Che programmi meravigliosi che ideava. Che nettezza di visione. Che artista. Da ragazzo, come Gino Bramieri, Falqui era stato grassissimo. Suo padre, grande critico letterario, nella grande casa con vista sul parco trascorreva le giornate con gli intellettuali a discutere di letteratura. Ogni tanto si affacciava il giovane Antonello. Fu proprio Gadda a chiedergli se avesse sogni e aspirazioni per il futuro e il Falqui adolescente, forse con delle caramelle in mano, fu lapidario: ‘A me per adesso me piace da magnà’”. Schegge di Rai e dintorni. “Senza ferirmi, ne ho messe insieme tante. Nel ’65, in sei mesi, passai dalla periferia dell’impero alle stanze in cui si prendevano decisioni strategiche. Non avevo nessun potere. Non l’ho mai avuto» (a Malcom Pagani) • «Gli anni romani di Bruno Gambarotta furono, in certi momenti, addirittura esaltanti. Era, quello, il periodo in cui i grandi registi di cinema iniziavano a lavorare alla Rai, e Bruno fu incaricato di tenere i contatti con questi cineasti. All’epoca divideva un ufficio con altri colleghi, ma spesso finiva per lavorare a casa degli stessi registi. Iniziò con Luigi Comencini, Nanny Loi, Pietro Germi, e poi con Sergio Leone, Franco Rossi, i fratelli Corbucci e molti altri. “La mia prima apparizione sul grande schermo avvenne proprio grazie a Comencini. All’epoca stava girando un documentario intitolato L’amore in Italia ed era contemporaneamente al lavoro sulla sceneggiatura di un film, Il gatto, una storia di due fratelli che devono gestire un’eredità. Con Luigi Comencini era nato un rapporto molto stretto, passavamo molto tempo insieme a parlare del film e mi tratteneva spesso a cena a casa sua. Una sera iniziò a fissarmi, e dopo un po’ mi chiese: ‘Ma tu la faresti una parte nel film?’, ossia il ruolo del notaio che doveva aiutare i due fratelli a gestire l’eredità. Non ci pensai un attimo e accettai. Era il sogno della mia vita!” […] Mentre toccava l’apice della carriera, sua moglie era a casa ad accudire tre bambini. Era laureata in lettere, voleva insegnare, ma come faceva? Fu allora che Bruno capì che le cose non potevano continuare. “Non c’erano mai stati litigi tra noi, ma mi sentivo calamitato dal mondo romano, che finiva per creare un’eccessiva disparità tra me e mia moglie. A Torino si era intanto liberato un posto e così decisi di tornare. Mi misi a fare il delegato di produzione, e il primo programma che seguii fu Non Stop, tutto girato a Torino: un impegno notevole ma anche una bella esperienza. Più avanti ritornai diverse volte a Roma, però ormai la mia sede era Torino”» (Andrea Raimondi) • «Con Adriano Celentano avete collaborato a lungo. Anche in video. “Per puro caso. In azienda mi dissero che avevano bisogno di una figura di raccordo, qualcuno che ne monitorasse le bizzarrie e gli spiegasse le esigenze della produzione. Il primo Fantastico di Celentano nacque per un’urgenza interna. Berlusconi aveva depredato la Rai e portato a Cologno Monzese il meglio delle risorse di Viale Mazzini. Si doveva rispondere. Per condurlo si pensò sia ad Arbore che a Celentano, poi prevalse Adriano nella convinzione che avrebbe gestito meglio una messa cantata legata anche agli sponsor e alla Lotteria”. Lei e gli altri autori, ai tempi di Svalutation, passavate intere giornate nella Villa di Galbiate. “L’aveva disegnata e costruita lui in assoluto segreto. Una sorta di Trullo tagliato in orizzontale e disossato in cerchi. Ci viveva isolato con Claudia, leggendo giornali e osservando tg. Adriano sarebbe uno straordinario narratore, ma certe storie purtroppo non le racconta: ‘Devono rimanere tra noi, in famiglia’”. Lei fa parte della famiglia? “Adriano è un animale territoriale. Si lega al dito le cose. La sua biografia è piena di persone che hanno goduto della sua amicizia e a un dato punto si sono ritrovate negli scomodi panni del traditore. O sei con lui o sei contro di lui e se non se con lui, sei un cretino. Anche per questo tendeva a fare del casa-ufficio la sua filosofia. In una redazione neutra si sarebbe trovato a disagio. A Galbiate invece, quando c’era una divergenza, Adriano si alzava e se ne andava. Spesso a dormire. Lo faceva anche nelle pause dei programmi: ‘Io e Bruno andiamo a ripassare il copione’. Si chiudeva con me in roulotte, faceva scattare la luce rossa e si sdraiava per un’ora. Fuori, gli autori, erano disperati. Ma Adriano improvvisava, non aveva l’ansia del perfezionista, di chi deve sapere ogni cosa a menadito dell’interlocutore come Fazio, Baudo o Costanzo» (a Malcom Pagani) • Ha tenuto per anni una rubrica settimanale sulla Stampa in cui recensiva i programmi radiofonici • Ha recitato il ruolo di un poliziotto centralinista nella fiction Il commissario Manara (Raiuno, 2009).
Libri «Al suo primo romanzo, intitolato La nipote scomoda, scritto a quattro mani con Massimo Felisatti, Gambarotta arrivò tramite il cinema. In origine, infatti, la storia fu concepita per il grande schermo. “Felisatti era uno degli autori della serie televisiva Qui squadra mobile, della quale io ero produttore. Nacque subito una grande amicizia tra me e gli autori. In quel periodo, uno dei romanzi di maggior successo era La donna della domenica di Fruttero & Lucentini. Tutti pensavano di poterne fare un film, che poi effettivamente fu realizzato, proprio da Comencini, ma allora gli autori chiesero una cifra spropositata per i diritti. A quel punto, Felisatti mi domandò: “Tu che sei di Torino, non avresti in mente una storia simile a quella della Donna della domenica?” Per me fu un invito a nozze”. Bruno si ispirò a un libro-inchiesta di Diego Novelli, allora non ancora sindaco di Torino, pubblicato pochi anni prima e intitolato Spionaggio Fiat – una storia di informatori e di spionaggio alla Fiat. Anche la storia ideata da Gambarotta era ambientata alla Fiat, benché nel testo sia chiamata Grande Fabbrica, e si risolve in una concatenazione di misteri malinterpretati dal protagonista. Una volta ultimato il soggetto, Felisatti lo condivise, apportò qualche modifica, e infine trovò un produttore intenzionato a farne una pellicola. Poco dopo, però, il produttore si tirò indietro. Felisatti pensò allora di farne un romanzo: fu proposto alla Mondadori, che accettò. Alla fine, La nipote scomoda vide la luce nel 1977 (ristampato nel 2006 dalla casa editrice L’Ambaradan) ed ebbe un buon successo. Gli autori riuscirono anche a vendere i diritti per realizzare finalmente un film. “I diritti furono acquistati da una società di produzione appositamente costituita per l’occasione. I diritti furono ceduti per sempre e ce li strapagarono, tra l’altro, sborsando circa 40 milioni, ma, dopo pochi giorni, la società si sciolse. Fu l’effetto Fiat? È indimostrabile, ma rimane più di un sospetto”» (Andrea Raimondi) • Finalista al Bancarella 2007 con Il codice Gianduiotto (Morganti), parodia del Codice da Vinci di Dan Brown. Ultimo libro: La confraternita dell’asino (Manni 2020) • «Quali sono i suoi riferimenti letterari? “Leggo di tutto. Ho una venerazione per Fenoglio, ma quelli della mia età hanno avuto una passione sfrenata per Cesare Pavese. Quando uscì Il mestiere di vivere mi ero precipitato a leggerlo. Ricordo quando ne parlai con Paolo Conte: mi disse che suo padre lo stava leggendo e che Pavese non ci sapeva fare con le donne. Io mi ero messo degli occhiali di vetro per assomigliare proprio a Pavese: li tolsi subito […] gli autori che hanno iniziato con il Piemontese hanno un vantaggio, sono continuamente costretti a correggere, riflettono su quello che scrivono, hanno il vocabolario sempre a portata di mano. E ho sempre continuato a coltivare il Piemontese, ho sempre con me il famoso Sant’Albino, dizionario del 1859. Adesso c’è anche il Repertorio etimologico piemontese, uno straordinario tuffo nel passato» (a Valentina Fassio).
Calcio Gran tifoso del Torino.