26 maggio 2023
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Biografia di Salvatore «Salvo» Ficarra
Salvatore «Salvo» Ficarra, nato a Palermo il 27 maggio 1971 (52 anni). Attore. Comico. Sceneggiatore. Regista. Conduttore televisivo. Membro del duo comico «Ficarra e Picone», costituito nel 1998 con Valentino Picone (Palermo, 23 marzo 1971), col quale aveva già fondato nel 1993 il gruppo «Chiamata Urbana Urgente» (insieme a Salvatore Borrello e a Mauro Busalacchi, poi distaccatisi). «Ficarra Salvatore, palermitano, detto Salvo come il nonno, è quello con gli occhi da pazzo che però nascondono un cuore. Picone Valentino, come il nonno, palermitano anche lui, è quello con l’occhio buono che però può celare maligne idiozie. Insieme sono Ficarra e Picone, una coppia di fatto della comicità» (Simonetta Robiony). «Alla religione dell’autoironia siamo devoti. Non c’è nulla di eccezionale in quel che facciamo. Noi intratteniamo» (a Malcom Pagani) • «I miei genitori avevano un piccolo negozio di abbigliamento. Non sono figlio d’arte, ma ho avuto una famiglia divertente. Mio zio sapeva raccontare di quando era stato in crociera, e in famiglia glielo chiedevamo come sketch» (a Roberta Scorranese). A scuola «non sono mai stato un alunno modello»: «Ero latitante, svicolavo, ma me la cavavo» (ad Arianna Finos). «Al cinema, quando accadeva il miracolo di avere una tessera o qualche biglietto gratis, da ragazzo andavo anche due volte al giorno. A Palermo c’era la terza visione. E nella sala parrocchiale, con il prete che chiudeva volentieri un occhio, passava di tutto. Tomas Milian, Totò, Bruce Lee, Chaplin, Franco e Ciccio. Formazione eterogenea […] orientata al cazzeggio». Nel 1993, in un villaggio turistico di Giardini Naxos (Messina), l’incontro fatale. «A unirli, […] l’uno Ficarra, studente universitario senza laurea, l’altro Picone, dottore in Legge, il villaggio-vacanze di Naxos dove Ficarra si esibiva e Picone applaudiva, finché Picone non salì sul palco come dilettante e Ficarra lo scoprì come artista» (Robiony). «“Mi ero infilato abusivamente a prezzo ribassato in un gruppo vacanze”, dice Picone, “perché il padre di un mio amico lavorava nei cantieri navali e aveva facilitazioni e sconti. Davanti agli animatori, per non seminare dubbi e senza mai vergognarmi, lo chiamai papà per un’intera settimana”. […] Picone dice che Ficarra “è quello pragmatico”, lo stesso che lo vide recitare “e mi propose immediatamente una collaborazione. Una settimana più tardi, al telefono, disse sicuro: ‘Iniziamo mercoledì. Sei d’accordo, no?’”. Ficarra ricorda invece la teoria di “bar, pub, matrimoni, trasferte improbabili” in cui al termine della notte, in tasca, rimaneva il giusto per pagarsi la benzina: “Ma neanche, forse: che cosa ti davano nei locali degli inizi? Niente ti davano, proprio niente”» (Pagani). «All’inizio eravate in tre. P.: “In quattro”. F.: “Ne rimarrà solo uno: Ficarra e Ficarra”» (Vittorio Zincone). «I primi spettacoli? P. “In locali palermitani: la Masnada, il Carpe Diem… Facevamo tutte cose in dialetto. Saccheggiavamo, riadattandolo, il repertorio della Smorfia…”. F. “… e di Totò e Peppino. Totò è l’enciclopedia della comicità. Ma poi facevamo anche pezzi di Gaspare e Zuzzurro”. Generazione Drive In. P. “A un certo punto, per smettere di saccheggiare chiamammo proprio Gaspare e Zuzzurro al Ciak, per sapere se volevano scriverci qualcosa”. F. “Con loro abbiamo cominciato a esibirci in italiano”. In tournée. P. “Noi due, in macchina. In ogni città beccavamo quelli che poi avremmo incontrato a Zelig: Cirilli, Ale e Franz…”. F. “Dormivamo nella stessa camera d’albergo”. P. “Ci è capitato di tutto: spettacoli a cui venivano sei persone. Spettacoli accolti con un silenzio di tomba dal primo all’ultimo minuto. E gli spettatori della nostra prima trasmissione, Zero a zero, erano talmente pochi che li conoscevamo per nome”» (Zincone). «Dopo qualche anno sotto mentite spoglie, iniziaste a usare i vostri cognomi reali anche in scena. […] F.: “Ai tempi di Chiamata Urbana Urgente non eravamo solo in due e volevamo che il nome del gruppo fosse trascrivibile con una cifra, il 197, ma era una cretinata e infatti non durò. Quando il gruppo passò da quattro elementi a due, ci interrogammo su come cambiare denominazione. Una sera a cena da Aldo Baglio, l’Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo, parlammo di ipotesi, e all’improvviso Aldo si entusiasmò per la musicalità dei cognomi. Gridava alla moglie, eccitato: ‘Silvana, ma ti rendi conto, questi due saranno Ficarra e Picone!’. Così andò”» (Pagani). «Qual è lo spettacolo che ha fatto svoltare la vostra carriera? P.: “Vuoti a perdere. Lo portavamo nei pub e nei ristoranti, appunto. Un dirigente dell’emittente satellitare Tele+ che ci aveva visti chiese se poteva filmarlo e mandarlo in onda”. F.: “Pensavamo che non lo vedesse nessuno. E invece… Potere delle schede taroccate!”. Ci fu un boom? F.: “Una sera, il proprietario di un locale ci domandò: ‘Ma voi chi siete? Io di solito metto 400 sedie, ma stavolta ho ricevuto 800 prenotazioni’”. P.: “Siamo saliti sul palchetto convinti che il pubblico non stesse aspettando noi”. F.: “Invece, grazie a Tele+ molti conoscevano le battute a memoria”» (Zincone). La popolarità nazionale giunse nel 2001, grazie alla televisione. «F. “Tutti quelli che finiscono a Zelig vengono da centinaia di serate in giro per l’Italia”. Tutti quelli che finiscono a Zelig provano a sfondare con un tormentone. Lo avete fatto anche voi. Ficarra entrava in scena lamentandosi. Picone gli domandava: “Stanco?”. E lui rispondeva: “No, oggi no”. […] All’Ottavo nano, la trasmissione di Serena Dandini e Corrado Guzzanti, facevate i “compagni di base”, due militanti dei Ds, abbandonati dal partito. Avete mai fatto politica? P. “No. Per costruire quei personaggi ci procurammo due parrucche assurde: ricciolute, ma compatte, con la riga da una parte”. F. “Dopo qualche settimana un militante vero ci spedì una foto vera di D’Alema negli anni Settanta: aveva gli stessi capelli”» (Zincone). Nel 2002 l’esordio cinematografico da protagonisti, in Nati stanchi di Dominick Tambasco. «Che stanchezza era? F.: “Quella che appesantisce con gli stereotipi, non solo siciliani ma italiani. Per esempio, di quelli che sbraitano perché vogliono la legalità ma basta che non tocchi gli affari loro”. P.: “Io, per dire, per trovarmi un lavoro nel film volevo stampare soldi di contrabbando”» (Scorranese). Dei successivi film furono anche registi, dapprima insieme a Giambattista Avellino, poi autonomamente. «Il passaggio dal cabaret al cinema comporta difficoltà che la coppia Ficarra e Picone non patisce. Il 7 e l’8 sfruttava una delle trame più popolari di sempre, lo scambio dei neonati in culla (dispetto di un infermiere che ha perso la lotteria di Capodanno per un solo numero, quindi piazza il pupo della culla 7 nella culla 8). […] Gli sketch del repertorio erano ben distribuiti nella trama, con un occhio alla Grande Scommessa fatta dai miliardari in Una poltrona per due: conta più la natura o l’educazione? Fu un successo a sorpresa: puro passaparola. Non c’è come divertirsi, per aver voglia di raccontarlo in giro. Ben costruito, al netto di qualche inutile flashback sull’infanzia, era anche La matassa (uscì due anni dopo, nel 2009). La storia di due cugini che da vent’anni non si parlano, per via di una bega tra i genitori – questione di roba, come nel racconto di Luigi Pirandello intitolato La giara –, e si ritrovano al funerale di un litigante. Il tocco di contemporaneità era l’agenzia matrimoniale che procurava vecchietti italiani alle immigrate bisognose di cittadinanza, con i mafiosi che si scambiavano pizzini come in un quiz televisivo (“Vuole la uno, la due, o la tre?”)» (Mariarosa Mancuso). «Già nei primi film, nell’esordio di Nati stanchi (2002) diretto da Dominick Tambasco, l’unico loro titolo finora non Medusa, e poi in Il 7 e l’8 (2007), in La matassa (2009), co-diretti da Giambattista Avellino, in Anche se è amore non si vede (2011), il primo che dirigono da soli, c’era un’attenzione sia alla comicità tradizionale siciliana, con la presenza di grandi volti come Pino Caruso, Tuccio Musumeci, Tony Sperandeo, Gigi Burruano, Leo Gullotta, Nino Frassica, sia alla scrittura comica più originale, sia alla ricerca di soggetti non banali tratti dalla realtà italiana. […] Una lunga e sofisticata ricerca che cresce di film in film. […] Tutti ci siamo accorti, all’uscita di Andiamo a quel paese nel 2014, film scritto, diretto e interpretato da loro in cui si muovono da Palermo verso la Sicilia orientale (per un palermitano un passo davvero azzardato), che c’era una maturazione di grande livello e una scrittura comica del tutto originale. Se ne accorse il pubblico e se ne accorsero anche i critici. […] Da lì hanno costruito anche i loro film successivi, L’ora legale (2017), dove il tema è la legalità e come arrivarci nell’Italia così frastornata e arruffona di oggi (“Vota Patanè senza chiederti il perché”; “Questa è una giornata bellissima per la nostra martoriata Sicilia! Yes, weekend!”), e Il primo Natale (2019), dove dietro il viaggio verso il senso più profondo del Natale è nascosta una parabola sull’accoglienza e sull’immigrazione, con la consueta attenzione e voglia di raccontare storie importanti attraverso un tipo di cinema comico e popolare. […] Ma Ficarra e Picone hanno osato di più. Hanno sostenuto con la loro presenza il Belluscone, piccolo capolavoro comico-realistico di Franco Maresco, con cui hanno un rapporto di sincera stima e amicizia. Hanno interpretato in ruoli separati Baarìa di Giuseppe Tornatore, kolossal Medusa-Mediaset, forse non il successo sperato, ma l’affresco di una Sicilia “cinematografica”. E quello è forse il film dove Ficarra e Picone, benché separati, sono davvero usati come icone alla Franco e Ciccio» (Marco Giusti). Nel frattempo i due hanno continuato a dedicarsi anche agli altri mezzi di comunicazione: anzitutto la televisione, a lungo in veste di conduttori di Striscia la notizia (Canale 5, 2005-2020), con «il loro linguaggio disincantato di puri artisti, […] contravveleno alle scivolate di qualunquismo del telegiornale satirico di Canale 5. Loro, mi sia consentita la metafora, sono come un quadro di René Magritte nel magazzino di una televendita. Un contrappasso del sublime» (Pietrangelo Buttafuoco). Numerose inoltre le loro esperienze teatrali, quali autori (Apriti cielo, Pallonate) oltre che interpreti. «Anche Le rane di Aristofane fu un successo. “Riuscimmo a trasformare in materia viva un autore che, affrontato in modo dogmatico, poteva essere polveroso. Aristofane era alto, politico, ma ancora attuale, e soprattutto nascondeva tutto tra le pieghe delle risate. Era vivo”» (Finos). Da ultimo hanno realizzato la miniserie televisiva di Netflix Incastrati (2 stagioni, 2022-2023), di cui oltre che interpreti sono stati ideatori, registi e co-sceneggiatori, e hanno preso parte al film La stranezza di Roberto Andò (2022), nei panni di due impresari funebri e attori dilettanti che s’imbattono inconsapevolmente in Luigi Pirandello (interpretato da Toni Servillo), e al documentario Laggiù qualcuno mi ama di Mario Martone (2023), dedicato a Massimo Troisi e presentato al Festival internazionale del cinema di Berlino • «Anche Ficarra e Picone sono stati omaggiati da Topolino: sono apparsi sul numero 2678 nei panni dei due comici di Paperopoli Caraffa e Cappone» (Arianna Ascione) • Sposato, due figli • «Partite spesso, ma sempre a Palermo tornate. P.: “Da lì veniamo. E lì torniamo per ritrovarci. In due è più facile. Ci guardiamo negli occhi e ripartiamo”. […] F.: “Siamo girovaghi, ma la base è inamovibile. A Palermo sto bene. Ritrovo cose essenziali, che però non le dirò. Cose che è bello tenersi per sé”» (Pagani) • Cofondatore, con Picone, dell’associazione benefica Maredolce • «Per chi votate? F.: “Ma chi vuoi votare, con questa classe politica così adolescente? Comunque, non lo dico”» (Mario Di Caro). In passato hanno entrambi manifestato una discreta sintonia con le posizioni politiche di Beppe Grillo, e una netta idiosincrasia per quelle di Matteo Salvini • «Siete nati nel 1971 in Sicilia, dunque avete vissuto una delle stagioni più terribili della storia repubblicana. Che cosa ricordate con maggior nitore di quegli anni di mafia? F.: “Il ‘botto’, come lo chiamiamo qui a Palermo. Il botto, la bomba che mise fine alla vita di Giovanni Falcone e di tutte le persone che erano con lui. Quello stesso ‘botto’ che noi citiamo nella nostra serie Incastrati. Poi quando uccisero Borsellino capimmo che quella era una guerra. Ma per la prima volta si capì da che parte stare. Falcone e Borsellino smisero di essere dei magistrati e divennero ‘due di noi’, anche perché venivano da quartieri popolari. La gente cominciò a fare il tifo per la legalità. E noi piano piano capimmo che attraverso il registro comico si possono mandare messaggi importanti. Che arrivano a tutti”. P.: “Il nostro doppio monologo sui motivi per cui vergognarsi o essere fieri di essere siciliani attinge anche a quella fase della storia in cui aprimmo gli occhi. E di certo, grazie al sacrificio di quegli eroi (non temo la retorica nel chiamarli così), molti dei motivi per cui nello sketch ci vergognavamo di essere siciliani oggi sono superati. La Sicilia ha fatto passi avanti giganteschi, forse maggiori di altre regioni, grazie a quelle persone”» (Scorranese). Nel 2007, partecipando in qualità di ospiti al Festival di Sanremo, dedicarono uno dei loro due interventi a don Pino Puglisi (1937-1993), che peraltro Picone ebbe quale insegnante di religione al liceo • «Il libro più importante… […] F. “Pirandello, Ammaniti…”. […] La canzone? F. “Vasco, tutto”. […] Il film? F. “C’era una volta in America. Secco”» (Zincone) • «Ficarra e Picone rappresentano l’anima siciliana. Con grazia e capacità filosofica» (Roberto Andò). «I migliori e i meno banali delle varie coppie cabaret che tentano con il cinema senza mai peccare di volgarità, il che è un vero miracolo» (Maurizio Porro). «Di solito i comici, anche i grandi comici, dopo una serie di successi tendono a sedersi, a ripetersi, a non ricercare più niente. La parabola di Ficarra e Picone, invece, sembra l’opposto. Non hanno mai smesso di sperimentare, di trovare nuove strade, di crescere, di cambiare percorsi, di costruire storie e situazioni in maniera sempre più indipendente, di cercare collaborazioni sempre più alte, magari nel cinema d’autore, che in Italia è sempre stato così lontano dal cinema comico. A costo, anche, di sbagliare, di non arrivare esattamente dove volevano arrivare. […] Più diventano indipendenti nella produzione (con la loro società Tramp), più potere contrattuale hanno, più riescono a fare scelte che portano a una qualità cinematografica e narrativa maggiore, senza per questo perdere nulla in comicità e popolarità. Anche perché sanno che la loro forza è appunto nel giusto equilibrio tra la grande popolarità che si sono guadagnati da conduttori-comici di un programma come Striscia la notizia e la sperimentazione delle storie prese dalla realtà e assolutamente non banali e mai ripetitive che sviluppano nei loro film. E ognuno di questi ha una costruzione artistica e autoriale precisa e molto forte» (Giusti). «La coppia comica rispetta le regole: uno le dà e l’altro subisce, uno è prepotente e l’altro mite, uno architetta piani e l’altro si fa trascinare, uno rimane serio e l’altro fa le smorfie. […] Salvo (Ficarra) appartiene alla Sicilia “sperta”: è furbo, o almeno convinto di esserlo, sempre prodigo di brillanti iniziative. Valentino (Picone) appartiene alla Sicilia “babba”: di suo sarebbe più riflessivo, se non rassegnato, cosa che agli occhi dell’altro lo qualifica senz’altro come tonto, o almeno sospetto di esserlo» (Mancuso). «Beniamini si sarebbe detto una volta. Amati dal pubblico e sciamani del buonumore sono i due. […] Sono figli di Achille Campanile e di Luigi Pirandello (ma anche di Eugène Ionesco e di Gorgia), altro che Signor Veneranda dal ditino querulo alzato, e dell’arte comica non fanno militanza ideologica, né rutto di tette e natiche, ma poesia e favola: “La nostra fatica”, spiegano con rigoroso candore, “è tutta nel raccontare una storia e far ridere”» (Buttafuoco) • «Voi non avete studiato recitazione in Accademia. F.: “La nostra accademia sono state le serate di fronte a gente che mangiava e che beveva. Lì, l’attenzione, la devi conquistare”» (Zincone) • «I vostri personaggi devono molto all’osservazione. F.: “Come diceva Dino Risi, ‘Non so come spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando’. Per noi è lo stesso. Riproponiamo sempre ciò che osserviamo, quello che abbiamo vissuto o che ci hanno raccontato”» (Pagani) • «È giusto che la satira si concentri su chi è al potere». «Il comico è il buffone che prende in giro la corte. Il comico non deve raddrizzare il mondo ma giocare sul capovolgimento, esagerare, deformare per far vedere quello che non si vede» (ad Anna Bandettini) • «Nella satira avete avuto sempre libertà? F.: “Certo. Le racconto soltanto quello che facemmo a Striscia quando Berlusconi vinse le elezioni: ci mettemmo a strappare ogni sorta di bollettino, come la vecchia Ici. Ironizzavamo sulla promessa di abolire ogni sorta di tassa”. P.: “E quando invece perse le elezioni ci mettemmo a festeggiare come se fosse stato Capodanno, con lo smoking!”» (Scorranese) • «La scelta che vi ha cambiato la vita? F. “A Picone, gli ha cambiato la vita la mia telefonata”. P. “Zelig. Quello è stato il nostro treno. Ricordo che, quando la trasmissione crebbe, la trasferirono da Italia 1 a Canale 5…”. F. “Trovalo, un altro comico che usa la parola ‘crebbe’!”» (Zincone) • «“Il nostro segreto?”, scherzano sul profilo Twitter, “La reciproca disistima”. Vero? F.: “Valentino, lo guardo da anni e non so ancora se ci fa o ci è”. […] Valentino ha detto che sarebbe dovuto diventare avvocato. E lei, Salvo? F.: “Io a quel punto avrei fatto il malvivente, così mi difendeva lui e la coppia ci sarebbe stata lo stesso”» (Bandettini).