4 aprile 2023
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Biografia di Natalino Irti
Natalino Irti, nato ad Avezzano (L’Aquila) il 5 aprile 1936 (87 anni). Avvocato. Giurista italiano. Accademico dei Lincei, è professore emerito di Diritto privato presso l’università di Roma La Sapienza e presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli • «Irti appartiene a quella schiatta del Novecento per la quale la professione e la cultura si sono sovrapposte e fuse, nell’idea che il diritto e la filosofia risultino più che confinanti, nella convinzione che il potere non esista senza responsabilità e nel comune sentire che le vicende della politica e dell’economia alla fine non siano nulla senza una complessiva e unitaria concezione del mondo e del rapporto fra gli uomini» [Paolo Bricco, Sole]
Titoli di testa «Spetta alla legge, e non al giudice, di definire l’azione vietata»
Vita Suo padre Aurelio, classe 1900, era avvocato penalista con formazione dannunziana, volontario a 17 anni nella Prima guerra mondiale, nazionalista e fascista; sua madre Maria, del 1908, era una ragazza della buona borghesia, che leggeva romanzi e suonava il piano [Paolo Bricco, Sole] • «Il ricordo più vivo risale al periodo che va da luglio 1943 al giugno 1944. Lasciammo Avezzano per rifugiarci in un piccolo paese. Era l’anno dell’occupazione tedesca e della avanzata degli Alleati verso nord. A volte mi indicavano bagliori in lontananza. Non si udiva il cupo rumore della battaglia, ma si scorgevano luci terribili nel cielo sopra Cassino. Sono i ricordi più vivi, indiscutibilmente» [Melchionda, perfideinterviste.it] • «Quel tempo è legato anche al maestro da cui andavo a lezione. Un’umile casa del paese fatta di una sola stanza con una cucina economica, un lavello e un tavolo al centro e dove un paravento con una coperta stesa divideva lo spazio della camera da letto. In mezzo a questa stremata povertà, un maestro bravissimo» [Francesca Romana De Angelis, Osservatore Romano] • E della scuola che ricordo hai? «Di devozione e gratitudine per gli insegnanti che ho avuto. Esigenti, severi ma quasi tutti presenze importanti nella mia vita. Ricordo l’esercizio di mandare a memoria centinaia di versi, l’impegno costante nello studio, la trepidazione davanti ai quadri esposti nell’atrio del ginnasio-liceo Torlonia di Avezzano» [De Angelis, cit.] • «Al liceo ero compagno del futuro matematico Giorgio Letta, papà di Enrico. Di un anno più grande era suo fratello Gianni. Ci scambiavamo visite per fare merenda. Poco tempo fa ho trovato un libro di scienze naturali. Sulla copertina c’era scritto Gianni Letta. Probabilmente me lo aveva prestato per l’esame di terza liceo. Allora gliel’ho restituito con il biglietto: “Caro Gianni, i prestiti fra amici non vanno in prescrizione”» [Bricco, cit.] • «Nella mia famiglia, come in moltissime altre del Sud, c’è una figura, che ha segnato una svolta, cioè il passaggio da una ad altra condizione sociale. Un mio zio si laureò in legge, nel lontano 1911, e così avvenne la transizione sociale. Dai piccoli commerci alla borghesia delle professioni. Tutto si doveva alla scuola pubblica, dove la tenacia negli studi riusciva a superare le diseguaglianze dei “punti di partenza”. E così fece lo zio Nicola: un nome, che ritorna nelle generazioni, ed è inciso nella memoria e nel cuore» [Melchionda, cit.] • «Il tono interno della mia famiglia era arioso e vivace. La tavola era un incontro di libertà. Rispetto e amore profondi per i genitori, ma anche desiderio di essere sé stessi. A volte, con urti, tensioni, impazienze. Già nella giovinezza inclinavo verso un liberalismo di sinistra. Molto ammiravo Marco Pannella, abruzzese come me, che agitava temi nuovi, di eguaglianza sociale, parità dei sessi, libera scelta di convivenze» [Melchionda, cit.] • Irti a 18 anni è a Roma. Studia giurisprudenza alla Sapienza: «Frequentavo i convegni del Mondo. Era un ambiente severo e distaccato. Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi davano scarna confidenza. Mario Ferrara era il più amichevole. Quella cifra mi ha segnato per tutta la vita: nel liberal-socialismo come terza via politica e culturale e nell’impegno pubblico, quando avrei dato il mio contributo negli organi di governo dell’Iri. Tutto, però, è nato negli anni dell’università. Ricordo ancora l’emozione di quando pubblicai, sul Mondo, delle brevi recensioni di libri di cultura tedesca. Oltre a dare gli esami e a preparare la tesi con Emilio Betti, andavo a seguire i corsi di Storia della filosofia antica di Guido Calogero e le lezioni di Filosofia teoretica di Ugo Spirito, entrambi allievi di Giovanni Gentile. Quasi una sintesi tra diritto e filosofia, che poi si sarebbe espressa negli intensi rapporti con Emanuele Severino e ora con Massimo Cacciari» [Bricco, cit.] • A Roma, «noi studenti abruzzesi, giunti da cittadine di provincia o da piccoli paesi, formavano una colonia, che gravitava intorno a piazza Bologna e piazzale delle Province. Camere ammobiliate; modeste pensioni; ospitalità di parenti. Si andava a “vedere” via Veneto, come ad uno spettacolo recitato da altri, anzi da un’altra specie di umanità» [Melchionda, cit.] • Allievo di Betti: «L’Università, per me, fu soprattutto l’incontro con un grande giurista, Emilio Betti. Mi laureai con lui, discutendo una tesi tra diritto e filosofia. In Betti, mi affascinava l’orizzonte del suo pensiero, il singolare congiungersi tra rigore tecnico e respiro filosofico» [Melchionda, cit.] • Ottiene la libera docenza in Diritto civile a 28 anni e vince il concorso per la cattedra nel 1968 • Insegna a Sassari dove ha come compagni di docenza, tra gli altri, Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky e Francesco Cossiga: «Era già sottosegretario alla Difesa, è stato un uomo di acuta intelligenza e di sottili tormenti. Siamo stati così amici che ho curato taluni giudizi di carattere personale» [Bricco, cit.] • Poi Parma e Torino: «Vi ho trascorso tre anni. Era un ambiente culturale di estrema autorevolezza. C’erano Giovanni Conso e Norberto Bobbio. La città era dura: gli immigrati arrivavano dal Sud alla stazione di Porta Nuova con le valigie legate con i fili di spago. Il primo periodo mi sistemai alla pensione Europa, dove si veniva accolti con lettere di presentazione e dove vivevano, trattati con grande deferenza, due membri laterali della famiglia Savoia» [ibid.]. Dal 1975 all’università di Roma La Sapienza • Come avvocato, dal 1975 Irti allaccia rapporti con i grandi studi di Milano (per esempio, Cesare Grassetti , Piero Schlesinger, Mario Casella) e di Torino (in particolare Franzo Grande Stevens, «l’ho difeso nel processo Exor-Fiat, abbiamo vinto alla Corte di Strasburgo») sviluppando un metodo di studio dei casi teso a razionalizzare i problemi e a trovare una logica semplice della soluzione [Bricco, cit.] • «Non ho mai creduto nell’intransigenza delle tesi difensive – spiega – piuttosto nell’equilibrio della mediazione. Ho sempre avuto una natura, prima che uno stile professionale, incline alla composizione degli interessi, forse a un certo scetticismo della distanza» [ibid] • Qual è stata la causa più importante che ha seguito? «Ora che mi ci fa pensare, debbo dire che qualche ora d’insonnia ha accompagnato il patrocinio di talune cause. Eni-San Paolo, nata perché la domanda di dollari aveva determinato un rapporto di cambio con la lira assolutamente alto e ne nacque una causa di estrema importanza; poi tornano alla memoria la vicenda Imi-Sir e taluni arbitrati» [Melchionda, cit.] • Nel volume L’età della decodificazione (1979) – punto di riferimento di un ampio dibattito – analizzava la fenomenologia della progressiva erosione del codice civile, sempre più emarginato per l’insorgere di veri «statuti di gruppo», risultato di un «policentrismo legislativo» che ha reso possibile il proliferare di leggi speciali dettate dagli interessi dei soggetti diversi (parti sociali, centri di potere economico e politico) che strutturano la società civile [Treccani] • Il mio liberalismo – che credo di rivelare nei comportamenti e nelle pagine scritte – si fonda essenzialmente su due premesse: la fiducia nella libertà creativa dell’individuo, che si fa il proprio mondo; e la diversità infinita delle prospettive. Nel mio animo non c’è mai condanna senza appello; non c’è mai giudizio senza il tormento del dubbio [Melchionda, cit.] • «Appartengo a un mondo – dice senza malinconia – in cui lo specialismo era inserito nella visione generale. È così per me. Era così per Guido Rossi. Oggi nel diritto i giovani operano in grandi studi, spesso internazionali, che puntano sulla più analitica specializzazione. Nella medicina sta scomparendo il clinico generale. Ho sempre creduto al parallelismo fra medicina e giurisprudenza: fra diagnosi giuridica e diagnosi clinica, fra intuito giuridico e intuito clinico. L’avvocato di rango intuisce il problema nella sua complessità e nella sua soluzione» [Bricco, cit.] • Su indicazione del Partito Liberale, ha ricoperto vari incarichi in imprese di Stato ed è stato presidente del Credito Italiano, vicepresidente dell’Enel, membro del Cda Iri e del Comitato Privatizzazioni. Dal 1985 al 1987 è stato anche consigliere comunale di Roma, eletto nelle liste del Pli [Wikipedia] • Vogliamo parlare dei tuoi libri? «In un primo periodo e fino agli anni Novanta ho scritto libri di carattere tecnico-giuridico in linea con la mia formazione e con la vita universitaria. Successivamente inizia una fase nuova, con una riflessione dove si attenua il profilo esegetico del diritto e si dischiudono gli interrogativi di fondo. Una riflessione che si è arricchita di un dialogo personale con filosofi di alto rango come Tullio Gregory, Emanuele Severino, Massimo Cacciari. Con gli ultimi due ho scritto libri in quella concordia discors che è misura di onesto pensiero. Poi ci sono libri che definisco “laterali”, perché li sento alla periferia della mia riflessione e della mia vita». Fra le sue opere: La cultura del diritto civile (1990), Testo e contesto (1996), Studi sul formalismo negoziale (1997), L’età della decodificazione (1994), Dialogo su diritto e tecnica (con Emanuele Severino, 2001), L’ordine giuridico del mercato (2003), Nichilismo giuridico (2005), Codice civile e società politica (2007), Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto (2006), Il salvagente della forma (2007), La tenaglia. In difesa dell’ideologia politica (2008), Diritto senza verità (2011), L’uso giuridico della natura (2013), Del salire in politica. Il problema tecnocrazia (2014), I “cancelli delle parole”. Intorno a regole, princìpi, norme (2015), Un diritto incalcolabile (2016), Elogio del diritto (con Massimo Cacciari, 2019) • «Guai a definirlo Maestro, mi ha avvertito: “sono uno scolaro leggermente più anziano degli altri”. Un bagno di umiltà. Nel suo ultimo libro – Viaggio tra gli Obbedienti edito da La Nave di Teseo (2021) – il professor Irti, pur tessendo le lodi dell’Obbedienza, in realtà si è mostrato un vero trasgressore dei luoghi comuni. Per usare un’espressione cara ad Alessandro Galante Garrone, questo gigante della Filosofia del Diritto è sembrato “un mite giacobino”. Un uomo saggio con moti di ribellione interiore. Per amore dell’obbedienza prima ancora della Legge» [Melchionda, cit.] • Da ultimo ha pubblicato Lo Spettatore (Milano, 2022) e Inizio e obbedienza (Pisa, 2022) • C’è un libro che ami di più tra i tanti che hai scritto? «Quello che ancora devo scrivere. Forse» [De Angelis, cit.] • Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei dal 1996: «L’Accademia dei Lincei è un’isola, e, come tutte le isole, può essere una terra o di emigranti o di uomini in attesa, che custodiscono il passato e guardano al futuro» [De Angelis, cit.] • Presiede dal 2022 l’Istituto italiano per gli Studi Storici. A oggi qual è la lettura più convincente su Benedetto Croce? «Sull’opera e la figura di Croce sono fondamentali le pagine di Gennaro Sasso. Alle quali aggiungerei scritti di Giuseppe Galasso e Fulvio Tessitore. Oltre quindici anni or sono, fui chiamato alla presidenza dello Istituto dalla simpatia di Maurizio Mattioli e dalla fiducia di Alda e Lidia Croce, le superstiti figlie del ‘senatore’. Ebbi la felice ventura di trovare direttore scientifico dell’Istituto un filosofo eminente, Gennaro Sasso, che è anche uomo di acuta e riservata sensibilità: intenso e proficuo fu il dialogo che dura ancor oggi. All’Istituto ho dato, forte della severità finanziaria di Roberto Giordano e della dedizione organizzativa di Marta Herling, un qualche contributo di idee e programmi. Da ultimo, nella conferenza lincea del maggio 2018 (poi edita per i tipi del Mulino), ho provato a tracciare un più sciolto indirizzo di studi, aperto alla tecno-economia e alle diverse forme dell’arte. È un cammino tutto da meditare e costruire» [Davide D’Alessandro, Foglio] • Quanto è importante l’amicizia nella tua vita? «Molto. Le amicizie nate sui banchi di scuola vivono di consuetudine e di confidenza, i legami che si stabiliscono nel meriggio e nel tramonto esprimono una pura consonanza di animo e di pensiero e spesso crescono nella discrezione. Nell’insieme immagino la vita come una trama di incontri. L’esempio più recente è il nostro. Leggendo Il verso giusto, un’antologia della poesia italiana dalle origini ai giorni nostri di quel grande studioso e amico che è Luca Serianni, una poesia, Terza Liceo, mi toccò il cuore. Ricordo che mi affrettai a inviare il testo a mia sorella e mio fratello, e ai miei antichi compagni di scuola e il commento più bello venne da Giampiero Nicoli, il più sognante e poetico del gruppo. “Tenerezza struggente” mi scrisse, perché tutti abbiamo dentro una terza liceo. Subito dopo volli conoscerti, perché eri tu che avevi scritto quei versi» [De Angelis, cit.] • È più doloroso staccarsi dall’Aula del Tribunale o da quella universitaria? «Non mi sono distaccato né dalle aule universitarie né dalle udienze giudiziarie. Ma vedo le une e le altre con distanza: che non è la distanza dell’età, ma appartenenza a una diversa generazione e fatica nel capire il nuovo. Fedeltà a sé stessi e impegno del capire lo svolgersi dei tempi: ecco l’arduo equilibrio, che rifiuta così abbandoni della memoria come grotteschi giovanilismi» [D’Alessandro, cit.].
Amori Lui e la moglie Elena hanno perso il figlio Nicola, il 12 marzo del 2017, all’età di 47 anni: «Conosco l’arte del depistaggio. L’ho appresa anche nell’amicizia con il filosofo Tullio Gregory. La paura dei ricordi e dei sentimenti che viene allontanata con il fare e con il parlare d’altro. Per sciogliere il dolore nella memoria, io e mia moglie abbiamo creato una fondazione a lui intitolata, che finanzia progetti a favore della salute, in questo tempo di pandemia, e dei diritti dei carcerati, finalità care alla consapevole generosità di Nicola» • «La Fondazione Nicola Irti per le opere di carità e cultura, istituita da me e da mia moglie Elena alla memoria di nostro figlio Nicola, ha già svolto iniziative di grande rilievo: dal restauro del prezioso organo nella chiesa romana di Santa Maria in Portico in Campitelli all’erogazione di liberalità per strutture sanitarie o per sostegno culturale ai detenuti negli istituti penitenziari. E altre di carattere medico e scientifico sono in programma. Nel consiglio di amministrazione siedono, accanto ad amici di provato affetto, il presidente dell’Accademia dei Lincei, il fisico Giorgio Parisi, e il rettore della Pontificia Università Gregoriana, il gesuita Nuno da Silva Gonçalves, che ha delegato un confratello di profondo sentire come il padre Sandro Barlone» [Deangelis, cit.].
Titoli di coda «Mi sono sempre considerato un insegnante: che reca il segno dei maestri, e lascia il segno negli allievi».