17 aprile 2023
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Biografia di Claudio Sabelli Fioretti
Claudio Sabelli Fioretti, nato a Vetralla (Viterbo) il 18 aprile 1944 (79 anni). Giornalista. Autore e conduttore radiofonico. «Uno dei più grandi giornalisti. “Dica pure il più grande giornalista”» (Goffredo Pistelli) • «Sabelli era il nonno farmacista, Fioretti la nonna casalinga. A quei tempi si potevano fare ’ste puttanate con i doppi cognomi. Mio nonno nacque Sabelli e morì Sabelli Fioretti» (a Stefano Lorenzetto). «Ero un mammone. E, avendo una sorella più grande di tre anni, quando combinavamo dei guai lei prendeva le botte per tutti e due. Non mi sono mai ribellato a questa ingiustizia» (a Giovanni Audiffredi). «Sono un ex chierichetto. Mio padre fu podestà di Vetralla. Fino al 1963 ero di destra. Alle elezioni universitarie mi presentai col Pli. Ma sono l’unico italiano che non ha mai votato Dc e Psi». Il padre, Giuseppe Sabelli Fioretti (1907-1988), «era un giornalista sportivo. Fu il primo radiocronista di calcio. Fu direttore del Corriere dello Sport. Amava il ciclismo e l’atletica. Si fece una quintalata di Olimpiadi e di Giri d’Italia e di Francia. A volte portava anche me. Era ingenuo, buono, generoso. Anche troppo. Non sono sicuro che sia stato un ottimo padre. Ma sono sicuro che io sono stato un pessimo figlio. E mi dispiace. Quando ero un giovane contestatore rompicoglioni ricordo che dal terrazzo della casa a Bracciano, che aveva costruito veramente con fatica e con sudore, guardando olivi, noccioli e frutteti gli dissi: “Vedi, papà, un giorno tutto questo sarà di Lotta continua”». «Claudio Sabelli Fioretti ha mosso i suoi primi passi nella testata di sport minori Selesport, “100 lire a tabellina e 300 lire per i goal”, poi Nevesport, a conferma di chi lo vuole ottimo sciatore, quindi sei anni a Panorama con Lamberto Sechi. […] È il periodo di “Stanze rosse” e di “Cotta continua”, secondo una definizione dello stesso Rossella. “Vero, ma si dimentica sempre di dire che in quelle stanze dell’estrema sinistra c’era anche lui”, interrompe Sabelli Fioretti» (Antonella Bersani). «Simpatizzavi per Lotta continua. Nel 1974 versasti al movimento di Adriano Sofri il 10% della liquidazione avuta da Panorama. “Erano 700.000 lire. Non me ne pento. Spero che non ne abbiano fatto un uso criminale”» (Lorenzetto). «Dopo sei anni mi ero montato la testa ed ero andato a dirigere Abc. In pochissimo tempo avevo trasformato il settimanale del divorzio e delle tette in un organo di estrema sinistra. Un disastro. Assunsi Lidia Ravera, Saverio Tutino, Giulio Mastroianni, Guido Passalacqua… Non ci volle molto: l’attacco ai carabinieri, l’articolo di Renato Curcio latitante e il tracollo delle copie. Il passo inevitabile fu la chiusura. Ma io ero uno dei pupilli di Lamberto Sechi, il mitico direttore di Panorama. Panorama era di Mondadori, e Mondadori era il 50 per cento di Repubblica. Ricordo ancora come fosse ieri Eugenio Scalfari che venne a Milano ad assumermi e mi fece vedere il progetto, per convincermi. Io mi sarei fatto convincere anche se mi avesse mostrato 64 pagine vuote. E accettai ancora prima che me lo chiedesse. Capo servizio dello sport. Era il novembre del 1975. […] A me piaceva il progetto di Repubblica. […] Dopo qualche giorno mi dissero che lo sport non c’era. La redazione era molto radical chic e lo sport, allora, non era né radical né chic. “E io?”, chiesi. Per farmi stare buono Scalfari mi disse che mi promuoveva vicecapo della redazione milanese. […] Quando Eugenio mi comunicò la resurrezione dello sport, io dissi: “Bene, e chi lo fa?”. Risposta: “Tu”. E io dissi: “Io no, io sono stato promosso vicecapo della redazione milanese, non puoi retrocedermi a capo dello sport”. Ero un ragazzino sprovveduto e rompicoglioni. Cominciai a sbuffare. E quando, dopo tre mesi dal primo numero, un gruppo di dissidenti dell’Espresso, capitanato da Lino Jannuzzi e Carlo Gregoretti, abbandonò i vecchi amici per andare a rifondare Tempo Illustrato, io andai con loro. Una decisione imbecille. […] Mi bastarono pochissimi giorni per capire la sciocchezza che avevo fatto. Telefonai a Gigi Melega, il redattore capo, mio grandissimo amico, e gli dissi: “Gigi, vengo a Roma a piedi con il capo cosparso di cenere e i ceci sotto le ginocchia. Devi dire a Eugenio che gli chiedo scusa e voglio tornare”. Gigi era simpatico, generoso e anche molto ottimista. Mi disse: “Claudio, non preoccuparti, vado a dirglielo subito, aspetta al telefono, non attaccare e prepara la valigia”. Rimasi al telefono e sentii i suoi passi, tip tip tip, raggiungere l’ufficio accanto. Dieci secondi. Gli stessi passi, tip tip tip, lo riportarono indietro. Pensai: “È fatta”. Gigi prese la cornetta in mano. Io, ansioso: “Che cosa ha detto?”. E Gigi: “Ha detto: neanche morto”. Eugenio era fatto così. Era rancoroso, permaloso, malmostoso. Se l’era legata al dito». «Tre mesi dopo Tempo Illustrato, “il tempo di capire che avevo fatto un’altra cazzata”, è con Melega all’Europeo e poi di nuovo a Panorama con Carlo Rognoni. Seguirà la direzione di Panorama Mese, ma anche questa avventura finisce male. Fu chiuso dopo averlo trasformato in un geografico. […] Seguiranno gli anni come inviato del Secolo XIX, chiamato sempre da Carlo Rognoni “per raccontare quelle storie che nessun altro riusciva a trovare”. E qui Sabelli Fioretti incontra una donna che lo ha folgorato. […] È Gigliola Guerinoni, la mantide di Cairo Montenotte. Ne scrisse, ne riscrisse. Passava a prenderla a casa per accompagnarla ai processi. “In redazione, dicevano che mi ero fidanzato. Ho scritto anche un libro su di lei, una donna strana: 125 copie in tutto. Credo che lei sia come Sofri”. Come Sofri? “Innocente, ma che sa tutto”. […] Forse un libro su Sofri avrebbe avuto più fortuna di quello sulla Guerinoni, o di quello sull’ex presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, 300 copie vendute: “Scrivere un libro su Spadolini è puro masochismo”, ride. “Credo che, quelle 300 copie, le abbia acquistate tutte lui, perché le regalava in campagna elettorale. Però ho firmato un altro libro di successo: Dimmi dammi fammi, uno scritto ironico sulla partita dei sessi. Risultato: 10 mila copie, ma tutto il ricavato andava a Emergency”» (Bersani). «“Ho cambiato 20 giornali, sono stato pluri-licenziato io. È sempre un grande momento: non si licenziano le seconde linee, ma quelli con cui si hanno dei problemi. Vuol dire che si è vivi. Pensi che mi ha licenziato perfino Gente Viaggi: no, dico, Gente Viaggi”. E che problemi aveva dato alla storica testata Rusconi? “Avevo messo una ricca regina nera in copertina. D’altra parte, era un’inchiesta sulla Nigeria: mettere una regina bianca sarebbe stato fuori luogo”» (Pistelli). «“Ho diretto Abc, Panorama Mese, Sette, Cuore, Gente Viaggi”. […] Quale dei giornali che hai diretto ti dava più potere? “Cuore. Però m’è costato in cause per diffamazione l’intero ammontare degli stipendi ricevuti”. Pagherete caro, pagherete tutto. “Il direttore di Cuore era temutissimo. Molti vip volevano conoscermi”. Per esempio? “Armando Spataro, il sostituto procuratore. […] M’invitò a cena”. Perché Cuore ha chiuso? “Perché vendeva poco. Il popolo di sinistra è distratto. Ancor oggi qualcuno si spinge fin quassù per salutarmi: ‘Mi dispiace tanto. Sai, io lo leggevo tutti i mesi’. Coglione, tutte le settimane dovevi leggerlo. Non mi pento del titolo che diedi all’editoriale di commiato”. Non me lo ricordo. “‘Quegli stronzi dei lettori’”» (Lorenzetto). Nel 1999 strinse una nuova collaborazione con Sette, settimanale del Corriere della Sera allora diretto da Maria Luisa Agnese, subentrando a Lidia Ravera, la quale, dopo aver realizzato alcune interviste sull’arrivo al potere della generazione dei sessantottini, aveva abbandonato il giornale: «Io ero stato appena licenziato da Gente Viaggi ed ero a spasso. Maria Luisa Agnese, che aveva fiutato il filone, mi chiese di continuarlo. Cominciai intervistando proprio Lidia Ravera». Iniziò così una lunga serie di oltre trecento interviste a personaggi pubblici d’ogni sorta, la cui formula, dapprima incentrata sulla figura del voltagabbana, fu poi più volte aggiornata nel corso degli anni, mantenendo però una sapiente combinazione di domande sull’attualità e sulle vicende personali. «Aneddoti e biografia sono un buon sistema per smuovere l’intervistato e la sua eventuale timidezza. Ma anche i nomi sono importanti. Tutti tendono a tenersi sulle generali. E allora bisogna stanarli e obbligarli a fare i nomi». Altra felice avventura fu la conduzione di Un giorno da pecora su Rai Radio 2, che Sabelli Fioretti iniziò nel 2008 insieme a Federica Gentile, poi sostituita da Giorgio Lauro. «L’accoppiata, piaccia o no, è di quelle vincenti. Settant’anni l’Anziano – si fa chiamare così Claudio Sabelli Fioretti –, quarantasei il Simpatico, Giorgio Lauro [nel 2013 – ndr]. […] Entrambi sono il segreto del successo di Un giorno da pecora. Nella loro trasmissione non ci sono tappeti rossi o spruzzate di incenso, gli ospiti lo sanno e qualche “no, grazie” nasce proprio dalla paura di indossare le cuffie davanti alla “terribile” coppia» (Gino Consorti). «Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro sono due vecchie lenze radiofoniche che alla loro trasmissione, non prendendo sul serio nessuno, erano […] riusciti a far fare agli ospiti cose impensabili. Spingere Lamberto Dini a cantare Bandiera rossa. Trascinare Carlo Taormina (accompagnato dalla strofetta “Mi sono innamorato di Taormina/ una ragazza giovane e carina”) a confessare che le leggi cui aveva contribuito erano “ad unicam personam”. Obbligare Gabriele Albertini a fare l’imitazione di Diego Abatantuono» (Gian Antonio Stella). Sabelli affiancò Lauro fino al 2015, quando decise di ritirarsi («Non ne potevo più, della politica»), venendo sostituito da Geppi Cucciari. Numerose e varie, negli ultimi anni, le sue collaborazioni con la carta stampata, la radio e la televisione: unica costante la cura del suo storico sito, SabelliFioretti.it. «Il blog è la democratizzazione dello spazio su internet, dove io ricavato il mio angolo di libertà di stampa. E ogni giorno mi meraviglio che molti colleghi non l’abbiano ancora adottato. Anche se ho il sospetto che i giornalisti parlino tanto di libertà di stampa, ma purché sia pagata» • «Ho scritto una ventina di libri, nessuno dei quali ha rivoluzionato il panorama culturale italiano». Da ultimo ha pubblicato Giorgia on my mind. Le parole della leader della destra italiana (Aliberti, 2022), in cui ha raccolto due sue precedenti interviste alla Meloni (una del 2006 e una del 2019), corredandole di un commento e di una scheda biografica. «A me è simpatica. Non condivido una sola parola, un solo pensiero che abbia Giorgia Meloni. Però devo dire che mi è simpatica. È una persona intelligente» • Tre matrimoni, un figlio. «“Diciamo che ho una vita sentimentale sfaccettata e non monotona”. […] Paghi gli alimenti alle tue ex? “No. Ho sempre sposato donne corrette e oneste”. Mi hai detto che tuo figlio Giovanni ha 26 anni. Poi mi hai detto 36. Invece è del 1976 [articolo del 2009 – ndr]. Una volta sei andato a prenderlo a scuola e hai sbagliato scuola. Che padre sei stato? “Mi sono separato da lui quando aveva 8 anni. Ha pagato le bizze dei genitori al costo di week-end orrendi in treno tra Milano e Genova. Ho perso la parte migliore della paternità”» (Audiffredi) • Soggiorna spesso a Masetti (Lavarone, Trento), «quattro masi in tutto. Un posto da dove te ne puoi solo andare: la strada finisce davanti a casa sua e alla chiesetta dalle porte sbarrate. Cime innevate per fondale. Da restare senza fiato» (Lorenzetto). Lì «coltiva il vitigno Solaris, resistente, inattaccabile dalle malattie, da cui ricava bottiglie di […] bianchi calmi» (Pistelli). «Sono un giornalista in spegnimento e mi dedico alla vigna. Come certi politici, del resto: più si spengono più vinificano. […] Però quelli, i politici, hanno tenute, contadini, esperti agronomi e dicono di fare il vino. Io zappo, tolgo i sassi, poto, sfoglio, vendemmio, pigio, diraspo. Non pigio il vino coi piedi nei tini perché, glielo confesso, mi fa un po’ schifo» • «Sono un ateo convinto» • «Io ho sempre votato a sinistra: dal Manifesto a Lc, io credo di averli votati tutti». «Walter Veltroni […] non è mai stato la mia passione. Da direttore dell’Unità, con le sue stramaledette videocassette, è stato il primo a trasformare le edicole in bazar». Considera invece Ignazio Marino «uno dei migliori sindaci che l’Urbe abbia mai avuto». «“Un tempo si contestava la politica fatta da Bruno Vespa. Eppure quella, se vuole, era una forma democratica. […] Oggi si fa politica su Twitter, come un tempo si ragionava al bar o dal barbiere. Oggi la gente si sposa e divorzia su Facebook. Ma che senso ha?”. […] Che giudizio ha di Berlusconi? “Che nella vita ha fatto un grande errore. A un certo punto, doveva mollare tutto e mettersi a fare il grande filantropo, in giro per il mondo. […] Doveva diventare Madre Teresa di Calcutta. Un grande benefattore che costruiva ospedali, asili, scuole. Sarebbe passato alla storia. Invece passerà alla storia per le olgettine e per il servizio sociale alla casa di riposo di Cesano Boscone”» (Pistelli) • Laziale • «Sei un taccagno. “Non sei il primo che lo dice, ma non è vero”. Sei venale? “No. Resto stupito quando mi danno molto per fare poco. Sono stato autore a Sanremo nel 2005: mi hanno strapagato. Poi certe trasmissioni radio, dove metto l’anima, rendono una miseria”» (Audiffredi) • «Lucia Annunziata o Milena Gabanelli? “La Gabanelli è una specie protetta. Butto Annunziata. E dirò di più: Berlusconi aveva ragione quando si è alzato e l’ha piantata nello studio di In ½ h. Un giornalista non fa scappare l’intervistato”. Valeria Marini o Alba Parietti? “Valeria Marini è un totem. Marilyn Monroe è la Valeria Marini americana”. […] Serena Grandi o Edwige Fenech? “Viva la sesta della Grandi”» (Audiffredi) • «Le interviste della Fallaci erano dei combattimenti in cui lei si metteva in prima fila. A me non piacevano» (a Massimo Costa) • «Il mio doppio, il mio specchio, il mio termine di paragone, il mio faro. […] La prova vivente di come si possa infliggere tutte le settimane ai lettori una lenzuolata d’intervista senza che le loro gonadi abbiano a risentirne. […] Lui ha sempre detto – nelle interviste, a Prima pagina, nel suo blog – che “il più bravo intervistatore d’Italia è Stefano Lorenzetto”; io ho sempre pensato – e oggi che ne ho l’occasione lo dico – che il più bravo è Claudio Sabelli Fioretti» (Lorenzetto) • «Giampiero Mughini ti ha dato dell’imbecille. “Chi mi dà dell’imbecille mi diventa simpatico. Prendi Filippo Facci. Avrà scritto una decina di corsivi contro di me sul Giornale. Ora siamo amici. O Vittorio Sgarbi. Litigio drammatico. Pubblicai su Cuore il numero di telefono di casa sua. Per ritorsione, lui mandò in sovrimpressione su Italia 1 quello di casa mia. Mi fece saltare la linea”» (Lorenzetto) • «Stavo allestendo Un giorno da pecora e con Giorgio Lauro avevamo deciso di aver bisogno di un giovane spiritoso e di belle speranze che collaborasse con noi. Mi imbattei in Checco Zalone. Prima ancora che lui se ne accorgesse, esaminai la sua produzione e lo scartai: “Questo”, dissi a Giorgio Lauro, “non va da nessuna parte”» • «“Una buona intervista ha bisogno di molta preparazione. Diciamo almeno un giorno di lavoro, telefonando agli amici e ai nemici, leggendo tutti i ritagli sul personaggio, che spesso sono moltissimi, e se c’è qualche libro da leggere tocca farlo. La preparazione è ciò che fa la differenza tra una buona e una cattiva intervista”. Mi interessa sapere come mai lei è così convinto che si debba far rileggere l’intervista dopo che la si è scritta. Per molti invece non si dovrebbe mai far rileggere. “Sono giuste tutte e due le posizioni. Io preferisco far leggere l’intervista perché le mie interviste durano anche quattro ore. È giusto quindi che l’intervistato veda come è stato effettuato il lavoro di sintesi”. Accetta sempre le correzioni? “Questa è la fase ‘polemica’. L’intervistato chiede e propone delle correzioni. Io insisto, ma solo se ne vale la pena. L’ultima parola comunque non è la mia. Io riconosco all’intervistato il diritto di cambiare fino alla fine”» (Costa). «C’è anche chi, letta l’intervista, ti telefona e ti dice: “Stupenda. Non credevo che potessi riassumere così bene tre ore di conversazione”. Ombretta Colli non ha voluto cambiare una virgola. Il caro amico Filippo Ceccarelli mi ha telefonato: “Come potrei cambiare qualcosa? È pura poesia”. Ma Teodoro Buontempo li supera tutti. Mi dirà: “Io non voglio leggere l’intervista prima”. Ma è un piacere che le chiedo. “È un piacere che non le faccio. Leggerò l’intervista come tutti, comprando Sette dal giornalaio”» • «Una intervista ha mille scopi. Ma uno dei principali è riuscire a far dire all’intervistato cose coerenti, reali, divertenti. Bisogna spesso aiutarlo. Io arrivo anche a indirizzarlo, a suggerire risposte. È una forma di maieutica. Gli italiani non sanno esprimersi, non studiano oratoria a scuola, hanno difficoltà a esprimersi e a dire quello che pensano, si esprimono in maniera contorta e oscura. Alla fine qualcuno mi dice anche: “Non credevo che potessi essere anche così chiaro”. Tremendi sono certi politici e molti professionisti. […] Fare un’intervista divertente è il primo obbiettivo che bisogna porsi» • «Sono da sempre fedele alla vecchia scuola di Lamberto Sechi, quella della notizia. Per me si devono scrivere solo cose vere, e il giornale non deve avere nessun altro interesse se non il raccontare i fatti» • «Un tempo forse ero più battagliero. A ogni disaccordo erano dimissioni. Oggi, invece, me ne frego. Il giornale sarà un po’ più brutto? E chissenefrega, ce ne sono tanti brutti in giro. Però c’è una verità da dire: come direttore sono inaffidabile. Per questo non so se io sia mai stato davvero bravo a guidare un giornale. Diciamoci la verità: ce lo vedi, qualcuno proporre Claudio Sabelli Fioretti per la direzione de La Stampa?».