18 aprile 2023
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Biografia di Vivian Comba Provera Pellegrinelli Lamarque
Vivian Comba Provera Pellegrinelli Lamarque, nata a Tesero (Trento) il 19 aprile 1946 (77 anni). Poetessa.
Titoli di testa • «La neve è la mamma che vorrei».
Vita Figlia illegittima di una vedova di origini valdesi. Il nonno era il pastore Ernesto Comba, autore nel 1935 di un’importante Storia dei Valdesi, pubblicata e più volte ristampata dalla casa editrice Claudiana: «Il mio nonno materno, un moderatore valdese di Firenze che non poteva permettersi una nipote illegittima, mi fece allontanare» • A nove mesi viene adottata da una famiglia cattolica milanese: «Ero una brava bambina. Ho anche scritto una poesia su questo: Mangiavo dormivo / facevo la brava-bambina / per conquistarti “mammina”. / Corteggiamento vano / a nove mesi mi hai preso per mano / mi hai lasciata a Milano. Essere brave per sempre, però, non si può» [a Nina Verdelli, Vanity Fair] • A quattro anni perde il padre adottivo, Dante Provera, in un incidente. Aveva 34 anni. Resta con la madre Maria Rosa Pellegrinelli: «La mia mamma lavorava fino a mezzanotte». A dieci anni scopre di avere due madri: «C’erano troppi segnali. Fisicamente non assomigliavo alla mia mamma adottiva: lei era alta, bella, mora e snella. Io piccola e rotondetta. Poi, un giorno, ero in colonia estiva, e anziché Provera, il cognome del mio papà adottivo, mi chiamano Comba. Io non sapevo chi fosse Comba». E poi: «Un giorno mi sono messa a frugare tra la biancheria e ho trovato un attestato in cui la signora Tal dei Tali, mia madre naturale, rinunciava a me». Immagino lo shock. «Da un lato, certo. Dall’altro mi sentivo un’eroina dei libri: in quel periodo stavo leggendo Senza famiglia di Malot. Fingere di vivere nelle fiabe mi ha aiutato, per un po’» [Verdelli, cit.] • «Tutte le parole che nei giorni nei mesi negli anni non dico, si mettono in fila nel mio pennino, aspettano pazientemente di diventare scrittura. Anche le mie prime poesie - avevo dieci anni - sono nate così, e da un trauma. Un trauma non detto, trattenuto, mi ha messo in mano per la prima volta la penna. Da lì quel dolore che tu hai percepito. Le mie poesie fanno piangere e ridere. Come dice Ceronetti, “l’eccesso di pena sorride”» [Vera Lúcia de Oliveira] • Poi? «Poi è diventata una psicosi. Distorcevo la realtà. A 17 anni mi ero fissata che una professoressa fosse una mia parente. Aveva caschetto, frangetta e occhiali come me: questo mi bastava per fantasticare. Sul diario scrivevo: “Oggi mi ha dato 4 (per non fare differenze con gli altri)”. E il giorno dopo: “Oggi mi ha dato 7 (la voce del sangue è stata più forte)”. Si rende conto? Ero pazza. Passavo tutto il tempo a cercare quelli che mi avevano abbandonata» • «Sono una “cercatrice” nata e lo sarò fino alla fine. Ho iniziato cercando madri, padri, fratelli. sorelle consanguinei di ogni genere, ne ho inseguito senza pace le tracce, ho sacrificato anni centrali della mia vita in questa ossessiva ricerca. Li ho rintracciati quasi tutti, uno a uno. Sì, ho trovato i singoli, ma non l’insieme. È il mio arto mancante. Nonostante ora mi avvicini ai 70 e sia madre e nonna, continuo a sentire il mondo diviso per due, col resto di uno, io» [ad Alessandro Bottelli, Avv] • A 19 anni incontra la madre biologica: «Ero curiosissima e agitata. Mi ero fatta carina con una camicetta azzurra e capelli freschi di parrucchiere. Lei era grossa e avvolta da una pelliccia ancora più grossa. Ma la faccia era spiccicata alla mia. Avevo disseminato il divano di mie foto da bambina: pensavo che le interessasse sapere com’ero cresciuta. Sbagliavo. Mi disse: “Grazie cara, un’altra volta”. Usava quell’aggettivo, cara, che non sopportavo […] Quando ha compiuto 80 anni le ho telefonato chiedendole se, per la prima volta, potevo partecipare al suo compleanno: “Sì, certo cara, ti farò sapere”. Mi chiamò il giorno dopo i festeggiamenti per ringraziarmi di un regalino che le avevo lasciato in portineria: “Scusa per ieri, cara, non abbiamo fatto niente di speciale: eravamo solo tra noi”. Persino quando, più avanti, l’ho accompagnata in ospedale, alla domanda dell’infermiera: “Quanti parti ha avuto?”, ha risposto: “Tre, più uno”. Io ero il più uno. Neanche in grembo ero uguale agli altri […]. Non era fredda, era disturbata. Tanto che, quando li ho ritrovati, i miei fratellastri mi dicevano: “Beata te che sei stata adottata”. Mia madre era un fuoco d’artificio schiacciato dal rigore borghese e valdese. Non ce l’ho con lei, anzi sono contenta di averla frequentata. Altrimenti sarebbe rimasta un affascinante fantasma che avrebbe sottratto amore alla mia mamma adottiva» [Verdelli, cit.] • Il padre biologico era preside di una scuola in Trentino con cui la madre, già vedova, aveva avuto una breve relazione. «Un giorno mi sono presentata da lui e gli ho detto queste nove parole: “scusi-mi-hanno-detto-che-lei-è-mio-padre”». Che cosa ha risposto? «“Chi gliel’ha detto?”. Io ho riferito il nome di mia madre. Lui l’ha denigrata con una frase offensiva» • Inizia a scrivere le prime poesie da ragazza. Nel 1972, grazie a Giovanni Raboni, le pubblica. Raboni: «La Lamarque ha questa grazia, questa ingenuità di scrivere poesie come se si trattasse di compiere un gesto che non ha nulla a che fare con la letteratura». Tutte le sue poesie sono poesie d’amore, anche se non si tratta affatto di un canzoniere organico, perché tutto in lei è offerta (teatrale) d’amore: l’amore bizzoso dei bambini, l’amore adulto (ma pur sempre bambino) per il marito, l’amore-transfert per lo psicanalista junghiano con cui fa l’analisi negli anni Ottanta e che anima diverse raccolte: Il signore d’oro, Il signore degli spaventati e Poesie dando del Lei, l’amore per la figlia Myriam» (Paolo Mauri). Altre raccolte: Teresino (premio Viareggio opera prima nel 1980), Una quieta polvere. Nel 2002 uscì un Oscar Mondadori Poesie, nel 2007 Poesie per un gatto. Tra i libri per bambini: La luna con le orecchie, Il flauto magico e da ultimo Storielle al contrario (Einaudi ragazzi 2013) • «Il titolo del suo esordio rinvia anche a Tesero, il paese dei presepi, dove non può che nascere un’appassionata come lei dell’atmosfera natalizia e della neve, tanto che se i fiocchi non arrivano se li fa in casa con una bomboletta spray» [Roberto Cicala, Rep] • Ha insegnato italiano agli stranieri e letteratura in licei privati. Ha tradotto La Fontaine, Valéry, Prévert, Baudelaire • A 38 anni va in analisi: «Il mio analista ha fatto proprio un gran lavoro con me. Mi ha aiutata a sviluppare maggiori difese, maggiore autoironia. E, soprattutto, a non sentirmi più un’orfana». Che in realtà non è mai stata, avendo avuto due madri e, anche se per poco, un papà. «Già, ma tutti, in fondo al cuore, ci sentiamo orfani. Chi, in famiglia, non ha patito il dolore di non essere abbastanza visto, riconosciuto o amato dai propri genitori? Di questo parlano i miei versi: Catturata dalla poesia / dove Frank O’Hara bambino / scontroso da dietro un albero / grida forte agli altri bambini / che stanno giocando beati / I am an orphan! I am an orphan! / Ma, sorpresa, orfano lui non era affatto. / Come io non lo sono / come voi non lo siete / come tutti – / lo siamo» [Verdelli, cit.] • Scrive dal 1992 sul Corriere della Sera e su Sette. Nel 2013 l’editore Meravigli ha raccolto una selezione dei suoi articoli scritti per la rubrica che tiene da anni sulle pagine milanesi del quotidiano (Gentilmente) nel libro Gentilmente Milano «Mi piace tanto, quasi come a un gatto, stare alla finestra (specie a quelle su strada) e anche ai finestrini del tram, molti dei miei pezzi sul Corriere sono nati così. I miei milanesi prediletti hanno ali piume zampette code radici foglie, seguono poi tutti gli altri, di tutte le età e di tutti i colori, anche quelli venuti da lontano “con i loro negozietti in una mano”» [dalla prefazione dell’autrice]. • «Facilissimo essere poeti a Milano. Perché è il “male di vivere” a metterti in mano la penna, non l’armonia, non l’equità» [ad Alberto Pezzotta]. «È forse quando Milano ti ferisce l’anima, che bussa la poesia. Quando Milano è gentile, la percorro in bicicletta, non scrivo. Dentro la mia poesia abita Musocco, la grande casa dei morti. Là c’è il più caro di tutti, il padre che persi a quattro anni, lui ne aveva solo 34» • Nel 2008, all’interno della serie Gente di Milano Silvio Soldini le dedicò il video Quattro giorni con Vivian: «Non siamo più capaci di svenire come le nostre bisnonne, altrimenti quando il poeta e ideatore Giovanni Bonoldi mi annunciò che Soldini avrebbe girato un documentario sulla mia poesia, sarei volentieri svenuta. Mi inchioderò alla scrivania, pensai per farmi coraggio, e da lui protetta leggerò versi su versi» • «Mi piace “fare” poesia, “leggere” poesia, non molto “parlare” di poesia. Veramente non mi piace parlare di quasi nulla, insomma non mi piace parlare» [a Vera Lúcia de Oliveira nel 1992] • Dei poeti dice «Forse siamo tutti quanti insopportabili. Ma non è un problema, frequentateci poco e leggeteci tanto! Per fortuna i miei prediletti sono quasi tutti morti e corro dunque meno rischi» [Bottelli, cit.] • «La consapevolezza di essere “una poetina media / normale / da due righe e mezzo / sulla garzantina universale” (dieci su quella della Letteratura) non le ha però impedito di circondarsi, negli anni, di un pubblico crescente e motivato, formato da lettori senza età. In particolare, Vivian Lamarque ha saputo tradurre, con efficacia pari alla sorprendente naturalezza del suo stile, il doloroso impatto con la realtà in quella morbidezza incantata che muove le favole, dove accanto all’aitante principe azzurro è facile incontrare anche qualche orco dagli appetiti mai sopiti o il solito lupo impenitente, sempre a caccia di spensierate, succulente prelibatezze» [Bottelli, cit.] • «È quasi facile fare una poesia / basta prendere un pezzetto / di carta e una matita, è come / per la terra fare un filo d’erba / una margherita» • Le poesie «Come foglie possono cadere. Non tutte sono sempreverdi, alcune che credevi eterne sbiadiscono, rinsecchiscono, si fanno presto dimenticabili, oppure come frutti si fanno divorare dal tempo e poi quando le cerchi non ci sono più» [a Bottelli, cit.] • «Madre d’inverno (Mondadori, 2016) è una raccolta di poesie che non parlano di grandi avventure, sentimenti di gloria, eventi travolgenti... ma tratteggiano semplicemente la vita, fotografata nei suoi gesti quotidiani, nei suoi dolori e con tutte le difficoltà che solo il reale può farci "immaginare"» [Irma Loredana Galgano, sulromanzo.it] • Da ultimo L’amore da vecchia: «Mi sono innamorata che avevo 70 anni. Ma non gliel’ho detto. L’ho tenuto per me: ho pure festeggiato gli anniversari da sola. In quel periodo, ho cominciato a scrivere un fiume di poesie. Mi svegliavo di notte e le appuntavo sul cellulare. Pensavo di dedicare l’intero libro a questa storia. Poi, invece, mi sono resa conto che l’amore da vecchia è un amore più diffuso che riguarda anche le piante, gli animali, il cinematografo, i nipoti, i treni...» [Verdelli, cit.] • Vorrebbe fosse obbligatorio «mettere fiori su tutti i balconi, edifici pubblici compresi», perché «anche i fiori, come la poesia, parlano a pochi. La maggioranza degli uomini non ne conosce la lingua, né è interessata a impararla, tantomeno si lascia coinvolgere dai loro argomenti» [a Bottelli, cit.] • Che cosa teme, la morte? «Più che temerla, la morte mi sorprende. Lo dico in una poesia: Nessuno si meraviglia / se uno alla sua età / muore. / Nessuno. / Ma lei sì!». Allora di che cosa ha paura? «Uno dei miei fratellastri, invecchiando, aveva dimenticato in quali giorni della settimana insegnava, così si presentava in aule vuote. Aveva perso i numeri. Io ho paura di perdere l’alfabeto. E di vedere soffrire i miei cari» • In un capitolo di L’amore da vecchia denuncia: «Io sono autobiografica!». «Eh sì: volevo parlare solo di questi miei innamoramenti maturi, ma non ci sono riuscita». Raccontava che si è trattato di passioni unilaterali. «Certo, chi vorrebbe mai essere amato da un’ottantenne? Nessuno: i miei amori sono fantasmi». Come gli amori dei bambini, che si fidanzano all’insaputa dell’altro. «Precisamente. Sono tantissime le corrispondenze tra infanzia e vecchiaia. Ho fatto un elenco: loro non hanno i denti, a noi cadono. Perdiamo i capelli e la memoria e torniamo spelacchiati e smemorini. Camminiamo con il girello...». Si dice che si rimbambisce. «Preferisco “rimbambinisce”: tutti dovremmo conservare con cura il nostro io bambino» [Verdelli, cit.] • «La parola “vecchia” mi piace molto. Ha un suono secco come le foglie secche e forse come le ossa che scricchiolano. Dico a tutti di avere ottant’anni così mi fanno festa e mi dicono: “Come li porta bene!”. Se dico 76, nessuno batte ciglio» [a Roselina Salemi, IoDonna].
Amori Vivian al cognome della mamma biologica Comba ha aggiunto quello dl padre adottivo Provera, quello dalla mamma adottiva Pellegrinelli e da ultimo quello di suo marito Paolo Lamarque, pittore o, come dice un verso, «il più pittore di tutti». Con lui Vivian ha realizzato un’idea tanto rincorsa di famiglia, anche dopo la loro separazione. Una figlia: «La adoravo, ma brancolavo nel buio. Avevo tutto, ma mi interessava solo cercare quegli altri. Se solo fossi diventata madre dieci anni dopo, e 300 di analisi dopo! Per la nonnitudine, invece, ero matura» [Verdelli, cit]. Due nipoti: «Anche nell’aldilà me lo porterò / il mare con le sedie del Lido con su seduti voi» • «Per tanti anni ho fatto la nonna a tempo pieno. Anni faticosi, e felici» [Verdelli, cit.] • Tanti amori «Mi bastavano due sorrisi e io mi innamoravo. Sempre di uomini impossibili» […]. Sposati? «O completamente disinteressati. Ogni volta credevo di morire. Invece, recentemente non è più così: l’amore da vecchia fa meno male» […] • C’è una gerarchia nei suoi affetti? Figlia, nipoti, fidanzamenti unilaterali, fiori… «L’ordine è quasi esatto ma incompleto: fidanzamenti, fiori e animali a pari merito, poi aggiungo i film, la neve, gli alberi di Natale, i treni… “Se sul treno ti siedi / al contrario, con la testa / girata di là, vedi meno / la vita che viene, vedi meglio/ la vita che va”» [Salemi, cit.].
Titoli di coda «Fin da scuola ho il vizio di andare fuori tema».