21 aprile 2023
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Biografia di Fiorenza Cossotto
Fiorenza Cossotto, nata a Crescentino (Vercelli) il 22 aprile 1935 (88 anni). Mezzosoprano. «Per il popolo del melodramma è soprattutto legata a Verdi, Bellini, Donizetti. “Azucena e Amneris, le ho interpretate tante volte che ho costume, parrucca e scarpe personali. La mia ‘missione’ è stata di far sentire e vedere bene anche a chi stava in loggione”» (Alfredo Gasponi) • Nata e cresciuta in un piccolo paese della provincia vercellese ricca di risaie, figlia di una famiglia umile ma «con amore per la musica: il padre suonava da autodidatta violino e chitarra, il fratello […] la fisarmonica, la madre cantava in chiesa» (Emilio Spedicato). «Ho sempre amato il canto e la musica, fin da bambina. Quando andavo dalle suore all’oratorio, partecipavo sempre alle rappresentazioni che organizzavano in occasione delle feste importanti. Insomma, nelle varie occasioni cantavo e recitavo, fin da piccola. […] La musica è sempre stata parte della mia vita, del mio essere» (a Gloria Bellini). «Aveva studiato alle commerciali, dove c’era anche un corso di canto e, alla fine dell’anno scolastico, gli alunni davano un saggio corale. La voce più bella e più abbondante era la sua» (Emilio Radius). «Poiché riuscivo molto bene nella pittura e nel disegno, i miei genitori volevano farmi fare il liceo artistico. Ma il mio insegnante di canto corale (che all’epoca era tra le materie scolastiche) mi faceva sempre cantare le parti solistiche. Un giorno mandò a chiamare mio padre e gli consigliò di farmi continuare nello studio del canto perché diceva che avevo una voce assolutamente da curare… e quindi ho cominciato, a 15 anni» (ad Antonella Neri). «Esortata a partecipare a un concorso del Conservatorio di Torino, non portò un pezzo d’opera come gli altri, ma una specie di romanza sacra trovata in un archivio parrocchiale; perché non sapeva nulla del melodramma né del Lieder, non era mai stata a teatro, non era mai uscita dal suo piccolo paese della provincia di Vercelli ed era figlia di brava gente povera. Per fortuna la commissione del concorso era costituita da docenti comprensivi e presieduta da Lodovico Rocca, direttore del Conservatorio stesso, maestro non solo dell’arte ma anche di umanità. Egli vide in quella piccola e un po’ sparuta Fiorenza Cossotto la stoffa della cantante, una ragazzina che aveva appunto bisogno della sua generosità. La rassicurò, la incoraggiò, la indusse a iscriversi al Conservatorio promettendole che l’avrebbe aiutata. […] Per frequentare il Conservatorio, faceva cento chilometri al giorno. Studiava solfeggio in treno. Cinque anni di quella vita. Ma poi prese brillantemente il diploma, si distinse anche nel corso di perfezionamento di Vercelli e partecipò a una serie di piccoli concerti in Emilia: cantava per l’associazione dei donatori di sangue. Rimborso delle spese, compenso minimo e la gioia di cantare. Ebbe occasione di sentirla il maestro Campogalliani. Poi un altro uomo d’ingegno, il maestro Giulio Confalonieri. Ambedue capirono quel che aveva capito il Rocca: che la stoffa c’era. Con una bella e grande voce da coltivare. All’ancora così timida Fiorenza si aprì la porta della scuola di canto della Scala, una porta di favola per la buona figliuola di provincia che era giunta a Torino con un rotolino di carta ingiallita. Confalonieri le fece studiare tra l’altro una parte del Matrimonio segreto di Cimarosa, quella di Fidalma. E, quando la compagnia dei cadetti della Scala fece un giro artistico nell’Africa del Sud, sulle locandine stava scritto anche “Fiorenza Cossotto”. Come “doppio”, però: un doppio che non ebbe occasione di cantare: sempre pronta, sempre in attesa, sapete. Esordì modestamente; ma esordì alla Scala» (Radius). Debuttò il 26 gennaio 1957 al Teatro alla Scala di Milano «nella parte di Suor Matilde nei Dialoghi delle carmelitane di Poulenc: la Cossotto si presentò con le caratteristiche vocali di mezzosoprano acuto e un’impostazione vocale perfetta, forgiata alla scuola di Ettore Campogalliani» (Enrico Stinchelli). «“Era una prima mondiale, con una compagnia di grandi cantanti, […] e io ero alle prime armi. […] Trovarmi accanto a dei nomi come Gigliola Frazzoni, Virginia Zeani e specialmente Gianna Pederzini, per me che cominciavo… Le guardavo con grandi occhi cercando di imparare, carpire, ‘rubare’ qualcosa dalla loro arte. […] Io facevo una piccola parte, il mio ruolo consisteva in una sola frase. […] Dicevo: ‘Hanno suonato alla porta della lavanderia’. […] C’era anche Poulenc alla prima! A noi sembrava un fatto normale, ma a ripensarci oggi…! Mi chiamava ‘la mia piccola Suor Matilde’”. […] Quando ha capito che avrebbe potuto intraprendere una carriera importante? “Quando mi hanno presa subito alla Gande Scala affidandomi il musico della Manon Lescaut. Il direttore era Gavazzeni e nel cast c’erano Clara Petrella e Giuseppe Di Stefano, si immagini ero un po’… Mi sentivo come un pesce fuor d’acqua però ero contenta di cantare quella piccola parte, che a me sembrava una grande cosa: amavo la musica qualunque cosa facessi”» (Neri). Altra tappa importante «nel 1960 all’Arena di Verona. La giovane interprete fu chiamata a sostituire Giulietta Simionato: ci riuscì talmente bene che alla Scala, in una recita successiva, si pensò subito a lei quando la Simionato fu di nuovo costretta a dare forfait. Fiorenza Cossotto interpretò La favorita e conquistò il pubblico, che, pure, aveva rumoreggiato alla notizia della “staffetta”» (Enrico De Maria). «Dopo aver sostituito nella Favorita un’artista come la Simionato, e averla sostituita con grande successo, Fiorenza cantò a Verona, a Londra, a Edimburgo, qua e là per la Germania e la Svizzera. Norma, Trovatore, Carmen, Nozze di Figaro. Nella Norma, a Parigi, fu a fianco della Callas» (Radius). «Nel 1962, eseguendo la difficile parte del paggio Urbano negli Ugonotti scaligeri, dimostrò anche notevoli qualità virtuosistiche e una singolare estensione, doti che le consentirono, più in là nella carriera, di cantare Rossini e Händel, Bellini e Donizetti» (Stinchelli). «Mosse da ruoli di coloritura per specializzarsi poi in quelli post-romantici e veristi, aggiudicandosi il Disco d’oro per l’interpretazione di Lady Macbeth» (Stella Cervasio). «Appassionata eroina verdiana, la cantante vercellese […] ha conquistato gloria in tutto il mondo. […] Contesa dai maggiori direttori, da Abbado a Muti, da Karajan a Gavazzeni e Giulini, la cantante può essere considerata il mezzosoprano per definizione: i suoi personaggi preferiti sono Amneris, […] la Principessa Eboli, Santuzza, Azucena, Preziosilla. Ma si pensi ad altri ruoli chiave del repertorio italiano: la Principessa di Bouillon (Adriana Lecouvreur) con Renata Tebaldi, oppure Norma. Ogni sua interpretazione ha fatto storia» (Armando Caruso). «Lei ha interpretato un’infinità di ruoli operistici, vestendo i panni dei più svariati protagonisti. Dire da Cherubino alla Principessa di Bouillon sarebbe ancora troppo riduttivo… “Mi sono spinta ancora più indietro nel Settecento, ho cantato molta musica barocca, e ancora più avanti nel Novecento, ad esempio Malipiero e altra musica moderna”. […] In questa molteplicità di personaggi, ce n’è uno che le è rimasto nel cuore in modo particolare? “Sarei oltremodo ingrata se ne scegliessi uno. Per esempio, ritengo l’Azucena del Trovatore un personaggio ‘michelangiolesco’, di una bellezza incredibile, soprattutto per l’incisività dei recitativi. Ma non posso certo dimenticare l’Amneris del quarto atto di Aida, né la Leonora della Favorita, né la Santuzza di Cavalleria rusticana… Sono tutti ruoli che mi hanno dato tanto”» (Filippo Tadolini). Ritiratasi definitivamente dalle scene solo intorno alla metà degli anni Dieci, la Cossotto si dedica ancora all’insegnamento. «Quando lavoro in una masterclass, il tempo è come non esistesse» • Un figlio, Roberto, dal matrimonio col basso Ivo Vinco (1927-2014), conclusosi con un divorzio. «Quando ho cominciato a cantare mio marito era già affermato, e allora ero io a seguirlo. Poi è stato lui, quando ha visto che la mia voce aveva successo, a rinunciare magari a una parte più importante per starmi vicino» (a Roberta Martini). Il figlio, a suo dire, ha «un orecchio da direttore d’orchestra, una voce da tenore drammatico. Ma non ha mai voluto fare un vocalizzo perché non ama ciò che c’è dietro le quinte della lirica» • Cattolica. «Ho molta, molta fede. Poi penso sempre ai miei cari genitori, purtroppo scomparsi troppo presto. Mi sembra di stare ancora vicina a loro nel vederli accanto, sia pur in fotografia» (a Walter Baldasso). «Ringrazio Dio per il dono della voce, che ho saputo far fruttare grazie allo studio» • «Avevo l’hobby dell’antiquariato: quando potevamo, io e mio marito andavamo nei piccoli centri del Piemonte a cercare mobili e quadri. Ho sempre vissuto semplicemente. Nel mio paese, Crescentino, non sono mai stata una celebrità: non mi conosceva nessuno, tutt’al più dicevano “Ha fatto qualche concerto”». «Disquisisce di Morlotti e Fattori, ma […] ama parlare nel “suo” dialetto con le amiche del cuore. Antipersonaggio per eccellenza» (De Maria) • «Si può essere diva o fare la diva. Fare la diva significa posare, supplire con l’autopromozione e la prosopopea a certe mancanze, anche tecniche e vocali. Ma questo vuol dire imbrogliare il pubblico. E prima o dopo i trucchi si svelano. Chi è diva davvero, invece, lo è soltanto in palcoscenico, nel momento in cui si alza il sipario. E lo è perché lo decidono gli spettatori» (ad Alessandra Comazzi) • «Mezzosoprano verdiano per eccellenza» (Mauro Anselmo). «Voce istintivamente gladiatoria» (Angelo Foletto). «Uno dei maggiori mezzosoprani del ’900» (Landa Ketoff). «Una voce inconfondibile, un mezzosoprano che non si dimentica, un esempio di primadonna che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della lirica per la sua potente energia» (Cervasio). «Una delle ultime dive del bel canto italiano. […] Artista che ha superato tutte le prove del sacro fuoco lirico, cantante di estrema veemenza interpretativa, trascinante e sublime nel repertorio drammatico italiano quanto nelle finezze settecentesche, da Haydn a Händel a Mozart. […] Spiccata personalità scenica, dotata di un’estensione notevole sia nel registro acuto che in quello grave, Fiorenza Cossotto ha sempre imposto in ogni circostanza la sua teatralità» (Caruso). «Voce-strumento di prezioso smalto timbrico, vibrante e incisiva nel registro acuto, delicata nella mezzavoce, appassionata nel fraseggio e nella recitazione» (Stinchelli) • «Io ascolto soprattutto il discorso della musica. Per mesi, magari per anni. Alla fine ho la sensazione strana che il testo, le parole vengano fuori non dal libretto, ma dalla partitura. È l’autore che mi comanda» (a Mirella Appiotti). «Io amo la mia voce perché mi ha dato tante soddisfazioni. Se dovessi usare un aggettivo, la definirei flessibile e duttile. Andavo sugli acuti come sulle note gravi, cantavo le parti dolci come l’Adalgisa nella Norma e poi potevo dilettarmi anche in parti verdiane di grande drammaticità. Riuscivo a realizzare tutte le sfumature della voce, grazie anche allo studio, che è stato il mio modo di rispettare e di ringraziare Dio per il dono di natura che ho ricevuto. […] Potevo cantare anche da soprano, e l’ho anche fatto. Ma, avendo cominciato come mezzosoprano, mi sono affezionata ai miei ruoli, e poi non ho avuto più nessuna velleità di cantare quelli da soprano» • «Io sono una voce verdiana, anche perché Puccini per la mia vocalità ha scritto poco!» • «Nel mio repertorio c’è molta musica sacra, perché sono credente e religiosa e perché mi piace» • «Ha cantato con i più grandi direttori. Chi le è rimasto nel cuore? “Soprattutto quelli che mi hanno preso da giovane e mi hanno insegnato molto, da Antonino Votto a Tullio Serafin, da Gavazzeni a Giulini”. E Karajan? “Con lui sono andata a cantare quando ero già in auge: ha inciso di meno sulla mia formazione”. E con i colleghi? La Callas, per esempio? “Anche se hanno scritto su libri e giornali che tra noi ci sono stati degli screzi, il nostro rapporto era buono: tanto è vero che, l’ultima volta che abbiamo fatto Norma a Parigi, mi disse ‘Vieni anche tu a salutare il pubblico alla fine’. Sono le ultime parole che mi ha detto e dimostrano che non eravamo nemiche. Invece lo scrivono ancora, e io non posso lottare coi mulini a vento: ma è comunque un’amarezza”» (Gasponi). «E con i registi? “Ho avuto un buonissimo rapporto anche con loro, soprattutto con i più grandi: Visconti, De Lullo, Strehler. Pensi che io ero giovanissima (la più giovane del cast) e Visconti, dopo una recita di Trovatore, durante la cena del ‘dopo Scala’, mi è venuto vicino e mi ha detto ‘Fiorenza, non cambiare niente di quello che hai fatto questa sera’. Questa frase mi è rimasta impressa, anche perché la regia non era la sua, ma era di De Lullo, che mi aveva insegnato passo per passo quello che dovevo fare. […] Ho lavorato con Strehler. Ho avuto delle soddisfazioni immense con lui, nonostante fosse molto severo, perché in occasione di una Cavalleria rusticana alla Scala mi aveva fatto ripetere per 10-15 volte uno stesso passaggio, perché lui voleva che lo facessi ‘più sentito’. Alla fine, dalla platea ha gridato: ‘Ma che temperamento ha questa donna! Quando tu non canterai più nel teatro d’opera, ti voglio nel mio Piccolo Teatro insieme alla mia compagnia’. Per sfortuna non si è potuto realizzare, perché lui è morto prima”» (Bellini) • «Lei si riascolta, riguarda qualche suo video del passato? “No, non ci riesco, perché sono perfezionista e non amo ascoltarmi perché penso sempre che potevo fare diversamente… però non ascolto nemmeno i colleghi!”» (Bellini) • «Il momento più bello della sua carriera? “La favorita di Donizetti alla Scala. Mi chiamarono all’ultimo momento mentre facevo Händel alla Piccola Scala. Dovevo salvare la situazione: la protagonista aveva dato forfait. Dopo l’aria ho avuto uno dei più grandi applausi della mia vita. Ma anche il debutto al Colón di Buenos Aires nel Don Carlo: all’inizio il pubblico era freddo, ma dopo la Canzone del velo applausi a non finire. Le sfide mi piacciono”» (Gasponi) • «Un rimpianto? Magari un ruolo che avrebbe voluto cantare e che non ha mai interpretato? “Ah! Sapesse qual è il mio più grande rimpianto! (sorride e sembra molto divertita) È una cosa ridicola, lo ammetto, eppure per anni ho sognato di cantare Madama Butterfly. Ero talmente stanca di interpretare personaggi truci, disperati, arrabbiati, che imprecavano contro i sacerdoti o facevano cose del genere… desideravo immedesimarmi in un ruolo più femminile, e Cio-Cio-San era il massimo della delicatezza. A volte mi consolavo dicendomi: ‘Non riuscirei assolutamente a farlo: ogni volta che l’ascolto, a un certo punto mi metto a piangere, è sempre successo. Come potrei cantare e piangere contemporaneamente?’. A ogni modo, non posso negarlo: Butterfly è il mio più grande rimpianto, e forse per lo stesso motivo anche Mimì”» (Tadolini).