27 aprile 2023
Tags : Diego Pablo Simeone
Biografia di Diego Pablo Simeone
Diego Pablo Simeone, nato a Buenos Aires (Argentina), il 28 aprile 1970 (53 anni). Ex calciatore. Centrocampista. Allenatore. Cresciuto nel Vélez Sarsfield, arrivato giovanissimo in Italia per giocare nel Pisa, dopo una parentesi in Spagna (dove nel 1995/96 vinse con l’Atletico Madrid campionato e coppa) fu acquistato dall’Inter, squadra con la quale vinse la Coppa Uefa 1997/1998. Passato alla Lazio, vinse nel 1999/2000 scudetto, coppa Italia e Supercoppa italiana. Con la nazionale argentina ha collezionato 106 presenze (11 gol) e vinto due volte la Coppa America (1991, 1993). Ha iniziato ad allenare nel 2006, in Argentina: prima al Racing Club, poi all’Estudiantes, al River Plate e al San Lorenzo. Nel gennaio 2011 è tornato in Serie A, sulla panchina del Catania, che ha portato alla salvezza. Dal dicembre 2011 guida l’Atletico Madrid, club con il quale ha conquistato due campionati spagnoli, una coppa e una supercoppa di Spagna, due Europa League e una Supercoppa Europea ed è arrivato due volte in finale di Champions (entrambe le volte sconfitto dal Real Madrid). Soprannominato “El Cholo” (il meticcio). «Con il mio calcio trasmetto ciò di cui la gente ha bisogno nella vita quotidiana: l’energia, la sensazione che tutti hanno sempre una possibilità, e la forza per inseguirla».
Vita «La parola cholismo stavolta non c’è. Perché non esisteva ancora, né la parola né la mistica, quando Diego Simeone arrivò giovane giovane a Pisa, 1990, un ragazzo ingenuo, nelle foto d’epoca avvolto dentro un cappotto pesante, in piena estate italiana. “Lo soffiammo al Verona all’ultimo istante” racconta Adolfo Anconetani, il figlio di Romeo, presidente d’allora. Il giallista pisano Marco Malvaldi racconta in Scacco alla torre che il ragazzo giunse per vie, diciamo così, tortuose. “Dall’Argentina arrivò un fax con un elenco di giocatori non ancora ventenni. Informazioni a dir poco laconiche: foto, ruolo, altezza, peso”. Anconetani puntò il dito su quei tratti da falso azteco e disse: voglio questo qua, mi garba, ha la faccia decisa. Adolfo smentisce che sia andata proprio così. “La verità è una: ce lo segnalò il procuratore Settembrini. In casa sua venivano a stare i parenti, tre mesi lo zio, tre mesi la mamma. Poi si ambientò, e lo fece così bene che divenne un birbantello. Un giorno era infortunato, scoprimmo che era andato a curarsi in discoteca. Lo cedemmo al Siviglia. Il Pisa non è la Juve, ma la disciplina è la stessa”. Simeone torna spesso. Raggiunge a Tirrenia i suoi amici più stretti, con alcuni di loro giocava a calcio all’epoca sotto anonimato, in squadre improbabili, tornei di provincia. A settembre Pisa vuole dargli il premio “Romeo Anconetani”. Lo aspettano. “Ha imparato da noi a giocare come Rocco. Per la serie A sarebbe perfetto. Ma non posso guardare dentro il portafogli di Thohir e Lotito, per sapere se Inter e Lazio possono permetterselo”, dice Anconetani. Simeone prima del cholismo era un ventisettenne che a Milano si dava anima e corpo al calcio. Lo ha ricordato Pagliuca, suo compagno all’Inter, al giornale spagnolo El Paìs: “Era il capitano senza fascia. Parlava di calcio ventiquattr’ore al giorno. Certe volte bisognava dirgli: Diego, ti va se parliamo un poco di ragazze?”. Strano che un tipo così non si sia preso con Lippi. Meno eccentrico è che le cose siano finite maluccio con Ronaldo, più propenso alle distrazioni» (Angelo Carotenuto) • «Il Cholo, il guerriero che seppe sconfiggere gli iniziali fischi di San Siro per poi diventare l’idolo incontrastato dello stadio, come e forse più di Ronaldo, “il vero capitano” come dichiarò una sera Ivan Zamorano. Dal 1997 al 1999, 84 partite ufficiali con l’Inter: 57 in campionato, 9 in coppa Italia, 9 in Champions League e 9 in coppa Uefa (trofeo che vinse nel 1998); 14 le reti segnate: 11 in campionato (6 nel 1997-98 e 5 la stagione successiva), quindi una in Uefa e due in Champions. Ma soprattutto un autentico castiga-Milan: 3 i gol segnati nel derby di Milano, uno il 22-11-1997 in Inter-Milan 2-2, quindi una doppietta, il 22-3-1998, in Milan- Inter 0-3. Nell’estate del ’99 passò alla Lazio nell’affare Vieri e a Roma vinse anche uno scudetto. [...] “La Lazio mi ha regalato uno scudetto e a Roma mi sono trovato meravigliosamente, però l’Inter è la cosa più bella che mi sia capitata da calciatore, la squadra dei miei sogni. Che orgoglio aver vestito la maglia di uno dei club più prestigiosi del mondo! Nel 1999 era già stato preso Lippi ed ero convinto che avremmo vinto lo scudetto, poi però qualcosa cambiò. Me ne accorsi anche perché lo stesso Lippi smise di chiamarmi al contrario di quanto faceva subito dopo l’ufficializzazione del suo passaggio all’Inter. Non mi va di rivangare il passato. Non porto rancore a nessuno. Ma credo che non fu colpa di Ronaldo in persona come fu fatto credere un po’ a tutti. [...] In un certo senso, Lippi mi risarcì un anno dopo, quando a Roma si giocò la Supercoppa italiana proprio tra Lazio e Inter. A fine partita, mi prese da parte e mi disse: ’Ho davvero sbagliato a lasciarti andar via, ma non fu solo un mio errore’. Un bel momento dal punto di vista personale”» (Mirko Graziano)
• «L’esordio da allenatore di Simeone arrivò una settimana dopo la sua ultima partita da centrocampista per il Racing Club de Avellaneda. Prima partita in panchina: sconfitta nel derby contro l’Independiente. Era il febbraio 2006, Simeone aveva 35 anni, il Racing era ultimo in classifica e aveva bisogno di un cambio alla guida tecnica. L’uomo che oggi tutti esaltano ha avuto un inizio complicato: cinque squadre diverse in Argentina in meno di sei anni, con la parentesi di mezza stagione al Catania, condotto alla salvezza. Qualche successo (un Torneo Apertura con l’Estudiantes, un Clausura con il River Plate), ma anche molte polemiche e sconfitte. A dicembre 2011, per qualcuno Simeone era un allenatore già considerato di seconda fascia, per altri ancora poco pronto: persino Lo Monaco, all’epoca dirigente del Catania, tra mille complimenti lo definisce un capitano non giocatore» (Beppe Di Corrado) • «Il 23 dicembre del 2011 l’Atletico Madrid annunciò il suo ingaggio al posto di Gregorio Manzano, la cui squadra languiva in Liga al decimo posto. Simeone chiuse il campionato quinto, ma vinse l’Europa League battendo in finale l’Athletic di Bielsa. Da lì in poi ha aggiunto al palmarès una Liga, un’altra Europa League, due Supercoppe europee e una spagnola, una copa del Rey e due finali di Champions perse sempre dal Real, una volta ai supplementari (e al 93’ era ancora avanti 1-0...) e l’altra ai rigori. In nove stagioni non è mai sceso dal podio della Liga, male che andasse finiva terzo, e questo in una squadra che non vinceva nulla dal 1996, quando in campo a guidarla c’era peraltro lui. Non perdete tempo a cercare un altro uomo che abbia cambiato in questo modo il destino di un club: non esiste. È anche grazie alla quantità di denari incassati vendendo i giocatori da lui valorizzati se l’Atletico ha potuto abbandonare il vecchio e fatiscente (e affascinante) stadio “Vicente Calderon” – che il Cholo amava per il modo in cui la luce del sole, al tramonto, illuminava i seggiolini biancorossi – per il modernissimo e asettico Wanda Metropolitano. Ah, in base all’ultimo contratto, il lavoro di Simeone viene ripagato da un compenso netto, 24 milioni di euro annui, che ne fa il tecnico più pagato del mondo» (Paolo Condò) • «Il simeonismo o cholismo è una metacultura pallonara: è il prendere tutto sul serio, senza concedersi tregue e senza concederne ad altri. Non c’è ironia. Simeone piace perché non ha sovrastrutture mediatiche, o quanto meno questo è ciò che lascia capire di sé. Qualche tempo fa sulla Gazzetta, Paolo Condò mise insieme molte frasi di Diego: “Nell’Inter ho giocato con Ronaldo. Ricordo che nel tunnel degli spogliatoi, luogo in cui tutti i nervosismi si incontrano, lui faceva battute. La cosa non mi entusiasmava. O meglio: invidiavo ma non condividevo il fatto che lui andasse in campo per divertirsi. Nel tunnel, come nella vita, Ronaldo era un tipo rilassato, tranquillo, scherzava di continuo. Io mi concentravo pensando solo alla partita, e sono così ancora adesso”. Adesso lo vedi in campo: corre, si agita, soffre, incita il pubblico. E’ il calcio della garra, d’accordo. Che è sempre stata una parte di Simeone, quella più visibile, più facile da capire, più immediata: la grinta, quell’idea di non mollare di un centimetro. Per questo Diego è sempre stato uno di quei personaggi che da avversario detesti e che però vorresti sempre nella tua squadra. Perché se ce l’hai contro è odioso, esagerato, pittoresco al punto da irritarti, però se è un tuo giocatore o allenatore ti fa godere per lo stesso motivo. Oggi, vedendolo a bordo campo, è come se non avesse mai smesso di giocare e questo lo rende diverso non da Guardiola ma da allenatori alla Mourinho che invece in campo di fatto non ci sono mai stati. Ma è tutto contorno, questo. Fa personaggio più che allenatore. Una parte fondamentale, ma non esaustiva di Simeone» (Beppe Di Corrado) • «Se ti chiami Atletico e sei di Madrid che altro dovresti fare nella vita? Correre, soffrire, mostrare a quelli di là, del Chamartin, i signori del Real, che si può vincere senza esibire le medaglie sul petto e i conti correnti in banca e poi togliere la maschera ai riccastri di Catalogna, quelli del Barcellona che si trastullano con il loro tiki taka per poi spedirli a rimirar le stelle. Diego Simeone è puro football, è il calcio come dovrebbe esser, come la vita stessa dovrebbe scorrere ogni giorno: ‘Qualcuno dice che bisogna saper perdere. No, io dico che bisogna saper vincere’. Non è un salto, è un cambio di direzione, di filosofia, di testa e di cuore. Il calcio è davvero una questione di vita e di morte per il meticcio, el cholo (così lo chiamò don Victorio Spinetto, il migliore selezionatore di giovani argentini). Ma lui non è affatto di razza mista, è puro di calcio, ha un solo colore e un solo calore. Dopo aver eliminato i campioni d’Europa non ha parlato di tattica, non ha accennato all’arbitro, non ha esaltato il pubblico ma ha ricordato che i suoi, tutti, dal magazziniere all’autista del bus, dal portiere all’ultima delle riserve, si portano appresso quei valori che la società sta smarrendo, ogni giorno, sempre di più» (Tony Damascelli) • «Con Javier Zanetti mi sento al telefono e non ho paura di dirlo: un giorno tornerò all’Inter perché ho lasciato un bel ricordo come giocatore e ho l’obiettivo di tornare come allenatore».
Famiglia Dal dalla prima moglie, l’ex modella argentina Carolina Baldini, ha avuto tre figli, tutti e tre diventati calciatori, tutti e tre attaccanti: Giovanni (1995, ora al Napoli) Gianluca (1998, Xerex Deportivo) e Giuliano (2002, al Real Zaragoza). Dalla seconda e attuale moglie, la modella Carla Pereyra, ha avuto due figlie: Francesca (2016) e Valentina (2019) • «Con Carla Pereyra, eletta nel 2019 wags più amata di Spagna e di 16 anni più giovane, la storia è intensa. I due vivono in un lussuoso nido d’amore a La Finca di Pozuelo de Alarcon, a 8 chilometri da Madrid, prezzi per uno chalet a partire da 10 milioni di euro. Con la ex moglie i rapporti sono invece a dir poco burrascosi» (Alberto Brandi) • Nel maggio 2022 Carolina Baldini ha raccontato in tv, alla trasmissione argentina Los Angeles de la Mañana, i motivi del divorzio, avvenuto nel 2008: «Sono stata io a prendere la decisione di separarci. Quando lui ha trovato una partner e ho capito che intendeva mettere su famiglia, ovviamente, gli ho detto di divorziare. Come potevo non firmare il divorzio se tutto era già finito? Oggi è già tutto risolto». Replica di Simeone: «Sono stanco che venga qui a parlare dopo 15 anni. A maggior ragione sapendo che non ho mai parlato di tutto quello che è successo e dei danni che ha causato. Continua a parlare come se nessuno avesse memoria. Mi sono stancato di cercare di prendermi cura dei miei figli e di proteggerli dall’ambiente. Non si può tornare indietro. Ha infranto codici familiari forti e io non ho più pazienza». Il riferimento è al tradimento di Carolina con un bagnino aregtino, nel 2008, al tempo in cui era ancora sposata con Simeone. I due erano stati fotografati insieme e poi erano andati anche in vacanza insieme, in Messico.