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 2023  giugno 13 Martedì calendario

In morte di Berlusconi. I commenti

Lorenzo De Cicco intervista Occhetto per Rep
ROMA – «Mi sono emozionato – dice l’ultimo leader dei comunisti italiani – in queste ore rivedo il film di tanti anni di politica. Il suo avvento ha segnato anche la mia vita personale, in modo indelebile».
Chi era Berlusconi per Achille Occhetto?
«Per me Berlusconi è stato un avversario politico, che ho sempre trattato con rispetto, anche durante il famoso braccio di ferro in tv del ’94».
Con Mentana.
«Mi ricordo che in un intervallo per la pubblicità lo vedevo preoccupato guardare i suoi appunti, allora gli ho toccato il braccio e gli ho detto: “Ma guarda che vai bene così”. Malgrado nel corso di quel dibattito l’attacco più feroce fosse venuto da lui, affermando che noi avremmo portato il comunismo in Italia un anno dopo che il comunismo era crollato a Mosca e non si poteva certo pensare ai cavalli cosacchi che si abbeveravano nelle fontane di Roma. Quindi una menzogna, all’origine della sua attività politica. Certo, Berlusconi ha segnato un’epoca».
Che epoca è stata?
«Non quella del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, bensì dalla Repubblica dei partiti al populismo, di cui è stato un inventore, antesignano di Trump. Il suo capolavoro è stato quello di avere interpretato lo spartito del bipolarismo, che non fu inventato da lui, bensì dal movimento referendario di Segni di cui mi onoro di essere stato comprimario, ma il suo capolavoro è di averlo interpretato in modo originale, mettendo assieme ciò che rimaneva del quadripartito, un partito ultranazionalista di destra e uno separatista anti-nazionalista.
Un’epoca, preparata a partire dalle stragi del ’93 che non furono di sola mafia, e favorita dall’impoverimento culturale propagato dalle sue televisioni».
Le tv private che cambiarono la cultura di massa.
«La sua grande innovazione, che per me non è un merito, è aver confuso libertà con arbitrio, gettando nell’animo degli italiani lo spregio per le regole e per le tasse, con la sua famosa frase dello Stato che mette le mani nelle tasche dei cittadini, da cui ora nasce la reinvenzione del “pizzodi Stato”. Negli anni ha messo in ombra i pochi liberali di grande prestigio che l’avevano seguito, come Martino, e ha impiantato nel centro i germi della destra. Ha fatto l’apprendista stregone, lasciando come unica eredità Giorgia Meloni e molti miliardi ai figli, con l’aiuto dell’odiato Stato».
Quali sono state le colpe della sinistra?
«Ci sono. La sinistra ha rinunciato fin dall’inizio a un’analisi alta, sistemica. Pensiamo al ridicolo: avere usato una mia frase scherzosa, la gioiosa macchina da guerra, per dire che aveva spaventato gli italiani, come unica analisi del risultato elettorale, invece di concentrarsi sul conflitto d’interessi. Si è aperta la strada degli inciuci. Berlusconi è stato più volte graziato dalla sinistra».
Quando avete capito che Berlusconi faceva sul serio, con la politica?
«Al momento dell’annuncio. Prima si pensava volesse fare qualcosa, ma per interposta persona».
Berlusconi quando l’ha conosciuto?
«Qualche anno prima del ’94. Si presentò a me e Veltroni in un luogo neutro, una casa signorile di Roma.
Mi chiese l’appoggio per le sue reti televisive, dato che aveva già quello dei socialisti. Veniva col cappello in mano, mi disse: se lei, onorevole, mi dà un elenco dei giornalisti che sono a lei fedeli, le prometto di metterli in Mediaset. Dissi: no, lo scambio non lo voglio fare. Auguri».
L’ultima volta che l’ha visto?
«A un ricevimento, quando era premier ed era arrivato in Italia Clinton. Gli dissi: sarà dura fare politica in prima persona. Poi non ci siamo sentiti più».
Se l’avesse sconfitto nel ’94, Berlusconi avrebbe avuto la forza di ritentare?
«Probabilmente ci avrebbe provato, ma non so se avrebbe avuto lo stesso successo. Poi non l’ho mai detto, ma io non pensavo che avremmo vinto come progressisti, infatti avevo già un accordo con i popolari di Martinazzoli: avremmo richiamato Ciampi come presidente del Consiglio. Per quello non mi candidai premier dell’alleanza. Come Pds guadagnammo il 4% e l’insieme dei voti del Pds e di Rifondazione sopravanzava di poco i voti del Pci.
Voleva dire che l’ondata berlusconiana non aveva scalfito in quelle elezioni la sinistra, invece fu considerata una sconfitta storica».
Cosa non funzionò?
«Che gli altri, i popolari, persero persino le mutande e il partito socialista fu ridotto al 2%. Gran parte della Dc era passata al berlusconismo e anche gran parte dei socialisti».
Torniamo al duello tv col suo famoso completo marrone.
Circolano tante leggende: che ci fosse dietro un trabocchetto di Mediaset, che le avessero macchiato il vestito grigio per farle cambiare abito…
«C’è un elemento di verità, ma nessun complotto: venivo da un comizio a Bologna, indossavo un completo grigio, ma lo macchiai io.
Allora presi all’ultimo momento il primo vestito che trovai e apparve marrone, anche se non era proprio così. E fu giudicato come uno degli elementi della sconfitta. È diventato il simbolo del burocrate, anche se tutti sapevano che io vestivo casual.
Col senno di poi, sceglierei un vestito diverso. Ma non avremmo vinto lo stesso».


Marco Galluzzo per il Corriere
ROMA Il capo dello Stato ne ricorda le grandi doti di leadership. Papa Francesco il carattere, la carica di energia che trasmetteva. Giorgia Meloni, come Mario Draghi, si sofferma sulle doti umane, quelle che la premier ha constatato anche nell’ultima telefonata: «Averlo, potersi confrontare con lui – racconta la presidente del Consiglio – era un elemento che ti tranquillizzava; era il più esperto del centrodestra, noi non litigheremo, lo dobbiamo anche a lui».
La politica italiana, i vertici delle istituzioni, gli alleati come gli avversari: è il giorno del cordoglio, come dice Giuseppe Conte, ed è anche per tutti il giorno in cui si riconoscono i meriti, gli onori, il lascito che un leader controverso ha comunque consegnato al Paese. Un riconoscimento che in primo luogo arriva dal Quirinale, che in Berlusconi individua «un grande leader politico che ha segnato la storia della nostra Repubblica, incidendo su paradigmi, usi e linguaggi».
Romano Prodi
Abbiamo rappresentato mondi diversi e contrapposti, ma la nostra rivalità non è mai trascesa in sentimenti
di inimicizia personale
Sergio Mattarella sottolinea il contributo del fondatore di Forza Italia su un pezzo di storia repubblicana: «La sua leadership ha contribuito a plasmare una nuova geografia della politica, consentendogli di assumere per quattro volte la carica di presidente del Consiglio. In queste vesti ha affrontato eventi di portata globale, ha progressivamente integrato il movimento politico da lui fondato nella famiglia popolare europea favorendo continuità nell’indirizzo atlantico ed europeista della nostra Repubblica. È stato una persona dotata di grande umanità e un imprenditore di successo, un innovatore nel suo campo».
Elly Schlein
Siamo stati sempre avversari, ma in questo momento rimane il grande rispetto che si deve a un protagonista della storia del Paese
Anche dal Vaticano arrivano parole che hanno una valenza particolare, e che richiamano la grande sintonia che ha segnato il rapporto fra i governi di Berlusconi e le istituzioni cattoliche. Nel telegramma di condoglianze alla famiglia, Bergoglio esprime «sentita partecipazione al lutto per la perdita di un protagonista della vita politica italiana, che ha ricoperto pubbliche responsabilità con tempra energica».
Matteo Renzi
Con Berlusconi ci sono dei tratti di vicinanza
politica sui contenuti. Ma chi conosce la sua storia politica sa che non può avere delfini o successori
Quella tempra che ricorda anche Meloni, richiamando la capacità dell’ex premier di non nutrire rancore: «Gli attacchi non lo hanno mai scomposto. A chi, persino oggi, sta riversando odio nei suoi confronti avrebbe risposto come al solito col sorriso e con una battuta».
Matteo Salvini
L’Italia perde un grande uomo e io un grande amico. Lascia un insegnamento: mai
arrendersi, mai usare la parola impossibile
Ovviamente uno dei vuoti più grandi Berlusconi lo lascia in Forza Italia. Antonio Tajani, che del partito è coordinatore, rientra in anticipo dagli Stati Uniti anche per rassicurare una comunità politica smarrita: «Berlusconi ci ha indicato un percorso, e noi per rendergli onore e continuare il suo progetto dobbiamo guardare al futuro. Forza Italia ci sarà proprio perché c’è stato Berlusconi e lui ci sarà con le sue proposte, col suo modo di concepire la vita. Ecco perché abbiamo il dovere di andare avanti, io farò di tutto perché questo progetto possa continuare a essere protagonista».
È commosso il messaggio di Matteo Salvini, «l’Italia perde un grande uomo e io perdo un grande amico. Troppo presto perché ancora la settimana scorsa stavamo lavorando a casa sua. Senza Silvio nulla sarà come prima, dovremo lavorare ancora di più e meglio ma non sarà facile perché dovremo lavorare con la sua capacità di vedere e prevedere».
Rende omaggio alla figura dell’ex premier anche la segretaria del Pd, Elly Schlein: «Con la scomparsa di Silvio Berlusconi si chiude un’epoca. Siamo stati sempre avversari, ma in questo momento rimane il grande rispetto che si deve a un protagonista della storia e della vita politica del Paese». Ed anche l’ex capo del governo Mario Draghi è fra i primi a dettare una nota di cordoglio per «un assoluto protagonista della vita pubblica italiana degli ultimi cinquanta anni», ricordando le doti «rivoluzionarie» di imprenditore e di leader capace di «trasformare la politica, amato da milioni di italiani per l’umanità e il suo carisma».
Anche un ex grande alleato come Gianfranco Fini, che finì la sua carriera politica con uno scontro con Berlusconi, rende omaggio «alla sua grande umanità. Nel 2008 quando, a pochi giorni di distanza, tutti e due perdemmo nostra madre, Silvio fu davvero un amico che mi fu di conforto. Con identico sentimento rivolgo ai figli, ai familiari e alla comunità di Forza Italia le mie sentite condoglianze». Mentre Romano Prodi ricorda che la «rivalità» di una stagione è stata comunque accompagnata «da reciproco rispetto». Lapidario Matteo Renzi: «Chi conosce la sua storia politica sa che Berlusconi non può avere delfini o successori».

Zangrillo: Presidente, ora posso darti del tu
MILANO «Presidente, ho sempre voluto darle del Lei, solo oggi mi permetto di dirti:”Ciao Silvio”». Così il medico di fiducia Alberto Zangrillo saluta nel necrologio sul Corriere della Sera Berlusconi. E su twitter scrive: «Caro Presidente, le chiedo scusa ma non trovo le parole. Io e lei ci siamo capiti». A chi ieri lo incontra, il primario di Anestesia e rianimazione del San Raffaele appare stanco e provato e, come lui stesso twitta, senza parole. Impossibile, dunque, intercettare da lui le cause del decesso dell’ex premier. Quel che è certo, però, è che a causare la morte non è la polmonite – le ultime tac rivelano dei polmoni finalmente «puliti» dopo l’infiammazione delle scorse settimane – né l’insufficienza renale, che tanto preoccupa durante il penultimo ricovero. Berlusconi è morto per la leucemia di cui soffriva da un anno e mezzo. Una patologia insorta – in fase cronica – nel dicembre 2021 e che porta a un andirivieni dal San Raffaele fino a gennaio 2022. Poi arrivano gli episodi acuti che si concentrano negli ultimi mesi, in particolare con il ricovero di 45 giorni dal 5 aprile al 19 maggio e l’ultimo di venerdì 9 giugno.
Di fatto, sin dal 5 aprile la situazione clinica di Berlusconi è ormai critica, perché il midollo non funziona più bene. È la fabbrica delle cellule del sangue che lavorano in una sorta di catena di montaggio che si è inceppata. All’ingresso in ospedale, il 5 aprile, gli esami erano completamente sballati, e per almeno 10 giorni si teme per la sua vita.
Quando venerdì ritorna in ospedale si capisce immediatamente che sta facendo di nuovo i conti con una fase acuta della leucemia e che la vita del fondatore di Mediaset è sempre più attaccata a un filo. Globuli bianchi alle stelle e valori delle piastrine fortemente alterati. L’evento fatale è dovuto probabilmente a problemi di coagulazione del sangue che possono avere portato a quello che in gergo i medici chiamano stroke.
Federico Fubini intervista Mario Monti per il Corriere
Roma «Con lui ho avuto convergenze e dissensi, ma sempre in un rapporto di stima e lealtà». Così l’ex premier e senatore a vita Mario Monti rende omaggio a Silvio Berlusconi e aggiunge: «Verso di lui ho due debiti di riconoscenza, uno personale e uno istituzionale. Perché appena diventato capo del governo nel 1994, mi volle commissario europeo e perché con l’appoggio parlamentare del suo partito, con Pd e Terzo polo in una vera unità nazionale, permise all’Italia e all’Europa di superare, con misure anche impopolari, la grave crisi finanziaria esplosa nel 2011».
Ha un ricordo personale?
«Sono tantissimi e molti sono molto umoristici. Nel luglio 2004 quando il secondo governo Berlusconi ruppe con Tremonti, lui e Gianni Letta mi chiamarono un venerdì sera, per andare la domenica sera a cena a Macherio, con le consorti. Gli dissi che ero onorato dalla proposta e che avrei anche potuto accettare, ma solo se lui avesse rinunciato alle promesse, solennemente fatte a Porta a Porta, di ridurre le tasse, perché in quel momento la situazione non lo consentiva. Questo avveniva su un cart, mentre il presidente mi mostrava il suo parco. Rientrati nella villa, dove le nostre mogli ci aspettavano per la cena, Berlusconi annunciò: “Il prof Monti ha ragione, mi ha persuaso che non posso prenderlo come ministro dell’Economia”».
E il passaggio della campanella a Palazzo Chigi?
«A dispetto delle varie tesi sul golpe fu visibilmente cordiale, molto cordiale. Prima eravamo nel suo studio con Gianni Letta e Antonio Catricalà, poi ci siamo ritirati lui e io. Era il momento in cui si parla di segreti di Stato, fra premier uscente ed entrante. Lui mi regalò una scatola di cravatte, e fu prodigo di consigli sul personale di Chigi, sull’uso delle sale».
Nel 1994 la scelse come commissario europeo.
«Lo conoscevo appena, non immaginavo che avrebbe pensato a me. Fu Ferruccio de Bortoli, se ricordo bene, a darmi per primo l’indiscrezione sulla mia possibile nomina. Avevo conosciuto Berlusconi a Villa d’Este, all’epoca andava e qualche suo amico lo prendeva in giro, gli dicevano che voleva atteggiarsi a grande uomo. All’epoca Gianni Agnelli veniva al Forum Ambrosetti a Villa d’Este».
Com’era il vostro rapporto personale?
«Quando ero commissario e lui premier riuscivo a comunicare con lui sulle questioni di fondo. Non avveniva spesso, lui era riguardoso della mia indipendenza, ma ci sentivamo. Io ero preoccupato della piega antieuropea che aveva preso il suo primo governo. Un’altra mia gita a Macherio fu quando lui, prevedendo di vincere nel 2001, pensò a me come ministro degli Esteri. Gli intrecci seri sono stati numerosissimi. Ma io preferivo continuare alla Commissione, presieduta da Prodi, dove nel frattempo ero stato confermato da D’Alema».
E nel 2011 fu collaborativo?
L’influenza
Al di fuori dell’America Latina è stato il primo leader populista. Trump non era nel solco della persona Berlusconi, ma promettere alla gente ciò che la gente vuole
nel breve è stato tipico di entrambi. Tipico anche di Boris Johnson In questo Berlusconi è stato un anticipatore
«Andava a corrente alternata. A volte mi appoggiava, a volte diceva che poteva staccare la spina quando voleva. Doveva far vedere ai suoi ex ministri che mi teneva sotto pressione. Ma in realtà è sempre stato molto rispettoso, tanto è vero che nell’ottobre del 2012 è venuto a chiedermi se volevo guidare il centrodestra».
Qual è il suo giudizio sull’eredità di politica economica di Berlusconi?
«Per me il suo maggiore successo di politica economica è stato culturale e profondamente negativo, con l’espressione dello Stato “che mette le mani nelle tasche degli italiani”. Detto con la sua forza, ha inciso parecchio. L’espressione è stata ripresa da altri, inclusa Meloni che parla del pizzo di Stato. Il “Liberismo disciplinato e rigoroso” che avevo auspicato in un editoriale sul Corriere della Sera il giorno prima che lui si presentasse alle Camere nel ’94 non è poi venuto fuori, come sappiamo».
In fondo era quello che gli italiani gli chiedevano.
«Io invece chiedevo disciplina nei rapporti tra Stato e mercato, sul conflitto d’interessi e finanza pubblica gestita con disciplina. Queste cose non gli interessavano molto».
E l’eredità politica?
«Penso che questa scomparsa farà il gioco della Meloni e la porterà ad avvicinarsi al Ppe».
Berlusconi si sentiva diverso da Trump eppure ha anticipato i trend dei leader populisti nel mondo.
«Al di fuori dell’America Latina è stato il primo leader populista. Trump non era nel solco della persona Berlusconi, ma promettere alla gente ciò che la gente vuole nel breve e prometterlo nel breve è stato tipico di entrambi. Tipico anche di Boris Johnson. In questo Berlusconi è stato un anticipatore».

Marco Cremonesi intervista Tremonti Corriere
ROMA «La grandezza dell’uomo è doppia. È su più piani». Giulio Tremonti è a Londra ed è indaffarato. Oggi presidente della commissione Esteri della Camera per Fratelli d’Italia, è sempre stato l’uomo dei conti pubblici di Silvio Berlusconi. Vicepremier, una volta ministro delle Finanze e tre volte alla guida del ministero unificato all’Economia e alle Finanze (Mef), Tremonti è colui che non esitava a richiamare Berlusconi al rigore quando quest’ultimo, da presidente del Consiglio, rischiava di farsi prendere la mano. Giulio Tremonti è uno dei pochi che ne aveva il coraggio.
Perché doppia?
«Perché secondo me non tutti hanno la consapevolezza di quanto Silvio Berlusconi abbia cambiato l’Italia in profondità. L’Italia, attenzione: non soltanto la televisione italiana».
Si riferisce ai nuovi linguaggi che sono stati introdotti dalla televisione commerciale?
«Sto parlando del fatto che fosse commerciale. Fino alle televisioni di Berlusconi, gli italiani compravano quello che vedevano nelle vetrine dei negozi. Altra possibilità non c’era. Con le televisioni commerciali, le merci, i beni hanno cominciato a vederli sullo schermo».
E questo che cosa ha cambiato?
«Ha cambiato tutto davvero. Dato l’impatto che la televisione aveva sul pubblico, per la media industria è stato un impulso formidabile. Da questo punto di vista, ha cambiato l’Italia. Non è soltanto il fatto di aver creato un grande gruppo, ma è l’aver dato un contributo decisivo a tutta l’economia italiana».
E il lato politico? Su quello che cosa si sente di dire?
«È il lato più noto, quello che si è sviluppato fino alla fine. C’è solo, sempre, da ricordare chi ha segnato un’interruzione di questa storia».
E cioé? Sta parlando di quello che Silvio Berlusconi chiamava il golpe del 2011?
«Sì. Io resto convinto che la celebre coppia Angela Merkel e Nicolas Sarkozy abbia contribuito fattivamente allo spread italiano».
Perché avrebbero dovuto?
«La storia è lì da vedere. Se lei legge la relazione della Banca d’Italia del 2011, governatore Mario Draghi, ha un certo quadro. Tutt’altro che negativo. Nella relazione si legge che la gestione del bilancio era stata prudente, che le correzioni necessarie sono inferiori a quelle richieste a molti altri paesi, che le misure adottate avevano un senso rispetto all’obiettivo di pareggio di bilancio... Chi aveva scritto quella relazione, circa un mese più tardi ha firmato – insieme con il presidente uscente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet – l’esatto opposto. Il governo Berlusconi è caduto per la lettera firmata dai governatori uscente e entrante della Bce su ispirazione di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy».
Resta il fatto che Silvio Berlusconi fino al suo ultimo giorno non ha mai messo in discussione l’adesione sua e di Forza Italia al Parito popolare europeo...
«Ah, su questo non c’è dubbio alcuno. Ma la vera storia è quella che le ho appena ripetuto».
Dicono che lei fosse colui che teneva i cordoni della borsa serrati anche quando Silvio Berlusconi avrebbe voluto allargarli. Si riconosce in questa descrizione?
«Ma no, non è vero. Nel 2008, avendo previsto la crisi in arrivo, nel programma del Popolo delle libertà c’era scritto che la crisi in arrivo sarebbe stata anche più grave del previsto, e il programma di governo avrebbe dovuto essere determinata da quella prospettiva. E per tre anni è stato così».
Dicono: non ha lasciato un successore.
«È un po’ nella natura delle figure superiori... Era nella sua natura il non pensare a successori. C’è una contraddizione tra le figure superiori e l’idea di successione».
E adesso, che cosa succederà nella politica italiana?
«Questo proprio non lo so. Non può chiederlo a me...».

Monica Guerzoni intervista Bersani per il Corriere
ROMA Per il leader che nel 2013 sfidò «il giaguaro» alle elezioni politiche, i funerali di Silvio Berlusconi saranno «come quelli di un regnante». Perché il fondatore di Forza Italia aveva un grande dono, che Pier Luigi Bersani gli riconosce e che gli ha consentito di conquistare gli italiani: «L’empatia».
Berlusconi scese in campo quasi 30 anni fa «per salvare il Paese dai comunisti». Qual è il primo pensiero che le è passato per la testa quando ha saputo della sua morte?
«Mi è tornato in mente un convegno che avevo organizzato anni fa, in cui un demografo francese mi disse “scientificamente non posso dire che l’immortalità non esiste, ma ha un bassissimo grado di probabilità”. Se si fosse fatto un concorso fra le persone più attaccate alla vita, io credo che Berlusconi non avrebbe avuto rivali. Parliamo di una personalità non riproducibile, il cui principale tratto era il vitalismo inesausto».
Il ricordo più forte che ha di lui?
«Quella mezz’ora faccia a faccia al San Raffaele».
Era il 13 dicembre del 2009, l’allora premier era stato colpito in viso da una statuetta e lei, il suo principale avversario, gli tenne per mezz’ora la mano.
«In verità fu lui a tenere la mano a me. Ci riconoscevamo reciprocamente un tratto di umanità, anche se io pensavo che la sua fosse più controversa. Dentro quel vitalismo c’era una capacità che mi ha sempre colpito. Era uno che si faceva i suoi affari, ma trasmettendo una generosità che affascinava. Io ne ho avuto tante prove incontrando la gente anche più umile».
Qual era la chiave con cui conquistava l’elettorato che un tempo votava a sinistra?
«Insieme agli interessi che lui certamente rappresentava c’è un elemento di mistero, che si chiama empatia e che riguarda molto il rapporto con gli strati popolari».
Condivide le polemiche social sul lutto nazionale?
«Insomma, non mi pare se ne possa fare una questione. Ognuno tiene il suo giudizio, ma che sia stato sul piano storico e politico una persona di rilievo nella storia della Repubblica è indiscutibile. Credo si possa dire che lui, dopo la senilità paludosa della prima Repubblica e di tangentopoli, ha dato per una ventina di anni l’imprinting di un elemento che in parte c’è ancora. Quale? La personalizzazione della politica, che per vincere diventa critica della politica e poi antipolitica e questo è un made in Italy che deriva da Berlusconi. Voleva essere la soluzione di un problema, è diventato un guaio».
Il suo lascito politico andrà a Giorgia Meloni?
«Essendo Berlusconi un liberale immaginario, la sua ventennale leadership del centrodestra non lascia una eredità liberale, lascia una destra-destra. Nel chiamare pizzo di stato le tasse e burocrazia un sistema di contrappesi e garanzie, non c’è niente di liberale. Purtroppo è il dramma di questo Paese».
Quindi l’eredità politica è negativa?
«Lo è, nel senso che Berlusconi non ci lascia una cultura propriamente liberale. Il grande partito conservatore non s’è fatto e resta il dramma italico di un monopolista che faceva il liberale».
Tanti processi e una sola condanna per frode fiscale. Aveva ragione a scagliarsi contro le «toghe rosse»?
«No, penso che non avesse ragione. Il concetto di disciplina e onore nelle funzioni pubbliche veniva via via sostituito dai concetti di successo e consenso. C’era l’idea che essere liberale volesse dire sfondare delle regole, il che lo metteva sulla soglia di problemi che potevano anche arrivare alle porte della giustizia. Al netto di eccessi che ci possono essere stati, qualche volta se l’è cavata con un aggiustamento della legislazione».
Con le sue tv ha condizionato negativamente una generazione, o ha scritto la storia della società italiana?
«Ci ha messo del suo andando a risvegliare istinti anche culturali che riposavano nel fondo della coscienza e della storia italiana. Quello delle tv è un fiume che aveva un corso fangoso, ma sarebbe ingiusto dire che non ha portato anche delle novità».
Per Putin era «un vero amico, una persona cara».
«Quando nella vita vuoi fare il concavo e il convesso, come diceva lui, cerchi di essere amico di tutti e alla fine diventi parente anche di gente poco raccomandabile».
Ai tempi delle «cene eleganti» lei fu molto critico...
«Trincerarsi dietro al luogo comune che ognuno fa quello che vuole anche mentre svolge funzioni pubbliche è stata una ferita, un vulnus, nella coscienza di tantissime donne e uomini. Al di là degli aspetti giudiziari, alcuni comportamenti hanno fatto il giro del mondo ed è incredibile che qualcuno pensi che han fatto bene all’Italia».
Quindi non condivide l’encomio di Renzi?
«Ora si apre il tema della successione, ma in un meccanismo politico come quello portato da Berlusconi la successione può essere solo dinastica. Ora arriveranno quelli che vorranno spartirsi le spoglie e questa è un’altra tristezza, che si aggiunge alla tristezza dell’addio».