13 giugno 2023
In morte di Berlusconi. I processi
PIERO COLAPRICO PER REP
Se si vuole provare a capire un po’ meglio come mai i magistrati abbiano inseguito a lungo Silvio Berlusconi, riuscendo ad acciuffarlo solo in tarda età, bisogna tenere presenti i quattro pilastri che mostrano tutta la sua ambiguità con la giustizia. E cioè seguire i destini di tre uomini – Marcello Dell’Utri, Cesare Previti, David Mills – e di una donna: non l’ex moglie Veronica Lario, ma la giovane ballerina Karima El Marough, detta Ruby Rubacuori.
Ci manca, e va detto che mi mancherà per sempre, un’autorevole versione del protagonista: dopo aver testimoniato sulla sua iscrizione alla Loggia massonica P 2 («Mah, io m’iscrivevo a tutto…»), essere stato condannato per falsa testimonianza e amnistiato, Berlusconi non ha più reso un interrogatorio in un’aula pubblica. Solo dichiarazioni spontanee. Da allora i giudici per lui sono stati «metastasi», «toghe rosse», «persone con problemi psichiatrici». E si è quasi sempre difeso«dal» processo e non «nel» processo, diventando – è un fatto, non un giudizio – un autentico campione del dribbling giudiziario.
Cominciando presto ad avere un rapporto controverso con la legalità. Da giovane imprenditore del mattone, partito dal nulla e capace in pochi anni di costruire una città- satellite come Milano 2, vicinissima all’ospedale San Raffaele, aveva assunto come stalliere ad Arcore Vittorio Mangano, un mafioso di Cosa nostra. Uno in grado di passare dalle fila di Stefano Bontate, il padrino di Palermo, a quelle di Totò Riina e Bernardo Provenzano, i boss corleonesi. Oltre un migliaio sono stati i morti ammazzati, nella transizione del potere oscuro dei mafiosi, Mangano è sopravvissuto.
Accanto a quel Berlusconi rampante c’è Marcello Dell’Utri: fedele e metaforica ombra. Ed è proprio Dell’Utri, intelligente e carismatico, a essere condannato in via definitiva per i suoi rapporti con i mafiosi. È stato anche il capo di Publitalia, la concessionaria di pubblicità, vera cassaforte di Silvio. E il consigliere che aiuta il Berlusconi del ’93 a far nascere, attraverso Forza Italia, il Berlusconi del ’94, il politico di primissimo piano. Se il fidato Dell’Utri ha patito il sole a scacchi, e Berlusconi no, non deve apparire strano.
Anche Cesare Previti, avvocatone calabro-romano, dirige e protegge le manovre e i desideri di Berlusconi dall’inizio della sua ascesa. Èlui, curatore testamentario della giovane erede della famiglia Casati Stampa, che «cambia cavallo»: la villa di Arcore diventerà infatti il castello brianzolo di Berlusconi. È sempre Previti che compra i giudici della Cassazione per far conquistare al suo cliente e amico la maggioranza della casa editrice Mondadori. E allo stesso modo Previti s’era mosso – «Daje ‘na borzata de soldi» – nei complicati affari Sme e Imi-Sir. Anche “Cesarone”, esattamente come Dell’Utri, è finito condannato penalmente (pubblici ministeri in primo grado Ilda Boccassini e Gherardo Colombo), evitando però di conoscere dall’interno la vita grama delle celle, grazie a una legge ad personam del Berlusconi politico. Lo stesso Berlusconi, più volte riuscito, in base ad altre leggi ad personam e alla prescrizione, a bloccare l’iter dei processi, non s’era però salvato del tutto dalle conseguenze civili della corruzione dei giudici romani comprati dal “suo” Previti: e ha dovuto pagare – sentenza settembre 2013 – quasi 500 milioni di risarcimento a Carlo De Benedetti, il concorrente danneggiato illegalmente. «Una rapina», stando a Berlusconi, come se avesse scordato lecorruzioni di Previti. Terzo uomo per comprendere le fortune dell’imputato Berlusconi è David Mills. È lui, avvocato inglese esperto in conti offshore, a organizzare la galassia non del tutto esplorata delle società della famiglia Berlusconi nei paradisi fiscali. Tra queste società c’è All Iberian: «Ma figuriamoci se, con il mio senso estetico, avrei scelto un nome così brutto», dice Berlusconi al cronista (metà anni ’90, ai margini di uno dei vari processi, quello per finanziamento illecito per il Psi di Bettino Craxi). Condannato in primo grado, così come successo per i casi di corruzione di ufficiali della Guardia di finanza, e poi “prescritto”, Berlusconi ha però avuto in All Iberian e in David Mills l’incubo ricorrente.
La procura di Milano, che infatti non ha mai mollato la pista estera, scopre sia le false testimonianze di Mills a favore di Berlusconi, pagate 600mila dollari; sia due società, sempre collegate alla Silvio Berlusconi Finanziaria, la Century One e la Universal One; sia un meccanismo perfetto per incassare letteralmente montagne di denaro nero. Funziona così.
Da una parte c’è Mediaset, che acquista i diritti dei programmi tv made in Usa da trasmettere sulle tre reti berlusconiane. Dall’altra c’è Frank Agrama, un faccendiere che tratta la compravendita per conto delle case produttrici Usa. E in mezzo si staglia una montagna di scatole vuote sparse per il mondo, tutte in realtà di Berlusconi: passaggio dopo passaggio, il falso prezzo d’acquisto veniva gonfiato a dismisura, una frode fiscale senza precedenti.
Il 26 ottobre 2012 arriva dai giudici del tribunale di Milano la condanna a quattro anni di reclusione e per Berlusconi. Dopo la conferma della condanna anche in Cassazione scatta la pena accessoria, e cioè l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Ne è derivata, siamo nel 2013, la perdita dello scranno da senatore; e tra il 2014 e il 2015 il condannato Berlusconi s’è occupato, nelle strutture della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, di scontare l’affidamento ai servizi sociali con gli anziani del centro Alzheimer. «Tornerò a trovarli ogni settimana, sono molto commosso», aveva dichiarato ai giornalisti, dopodiché nessuno l’ha più visto. Di lui è rimasto nel reparto solo un regalo, il pianoforte sul quale suonava La vie en rose.
Berlusconi sembra dunque detenere il record mondiale di politico più processato dei Paesi del G8 grazie al vastissimo curriculum di fondatore di aziende floride e di creatore di un partito subito stra-vincente, e al suo costante – per aumentare il proprio potere, per salvaguardare se stesso – non guardare in faccia a nessuno, compresi i fidatissimi Dell’Utri e Previti. In ogni caso, con donazioni in denaro e ville in regalo, s’è sempre reso molto empatico con chi l’ha aiutato.
Anche per questo appare come una beffa del destino l’arrivo sulla scena giudiziaria di Ruby Rubacuori. Proprio mentre perdeva ogni immunità politica per la frode fiscale, Berlusconi era entrato nel vortice delle “cene eleganti”. Come si sa, erano porno-feste, venivano organizzate ad Arcore e Berlusconi, «unico protagonista maschile», parole di un’invitata, pagava show girl e prostitute, sempre più giovani, per quelle serate di «relax» (parola sua). A perderlo, un eccesso di savoir faire: quando Ruby, una delle ospiti non ancora maggiorenni, fuggita da una comunità di recupero, era stata fermata dalla polizia, Berlusconi in persona – siamo nell’aprile del 2010, aveva appena partecipato a un vertice come presidente del Consiglio a Parigi – aveva ottenuto la sua immediata liberazione. Raccontando in una telefonata alla questura la clamorosa bugia su Ruby «nipote del presidente egiziano Mubarak». Uno scandalo che resta soffocato sino all’ottobre dello stesso anno, quando su Repubblica si legge un’espressione destinata a fare il giro del mondo: «Bunga bunga».
Veronica Lario, la sua ex moglie, aveva già avviato una causa di divorzio arcimilionaria, raccontando in una lettera di «vergini che si offrono al drago»: e, da Nord a Sud, tra processi per aver comprato il voto in Parlamento e intercettazioni che raccontavano con quanta maleducazione fosse tenuto sotto scacco dalle sue ospiti a pagamento, è emerso un altro Berlusconi. Non più l’eterno giovane, ma l’anziano in affanno per smentire e far smentire le luci rosse. Lo scorso febbraio, però, l’ultima assoluzione, al processo Ruby ter. Con un dettaglio che ricorre: il giornalista Emilio Fede, l’agente di spettacolo Lele Mora e la soubrette Nicole Minetti, che a vario titolo si occupavano delle invitate alla feste, sono stati tutti e tre condannati per gli “atti prostitutivi”, mentre il padrone di casa e “utilizzatore finale” ancora una volta no.
E a dispetto delle carte giudiziarie, bisogna aggiungere un sentimento: a Berlusconi, uno dei pochissimi self made man italiani, e al suo «sogno» di vincere, moltissimi italiani hanno letteralmente voluto bene. È stata la sua forza, dentro e fuori dai tribunali, come dimostra una frase simbolo del devoto ragionier Giuseppe Spinelli, il pagatore dei politici e delle ragazze: «Io facevo quello che il dottor Berlusconi mi diceva di fare». E non pochi, a dispetto di evidenza e di ogni carta giudiziaria, l’hanno pensata proprio come il ragioniere di Arcore.
Giuseppe Guastella Cds
Una guerra politico-giudiziaria durata più di 30 anni con un’unica battaglia persa, quella della condanna nel processo Mediaset a 4 anni, di cui tre condonati ed il resto trascorsi in affidamento ai servizi sociali, per la quale subì anche l’umiliazione della decadenza dal seggio del Senato e della incandidabilità per la legge Severino. Poi una lunga serie di proscioglimenti, assoluzioni e prescrizioni, talvolta grazie a leggi criticate perché ad personam e in due casi per amnistia. «La magistratura di sinistra vuole farmi fuori», ha detto più volte. Nel 2011 aveva rivelato che i processi gli erano costati un miliardo (compresi i circa 500 milioni del Lodo Mondadori). Somma che nei 12 anni successivi deve essere aumentata ulteriormente, basti pensare ai soli processi Ruby uno e ter in cui è stato assolto.
Un esercito
Sono più di un centinaio gli avvocati, tra i più quotati e pagati del Paese, che hanno lavorato per Berlusconi e per le sue società. Centinaia e centinaia i magistrati, gli investigatori, i testimoni, gli indagati e gli imputati che sono stati coinvolti nelle udienze. «I magistrati hanno sempre avuto per me un’ossessione patologica, prima quando ero un imprenditore di successo, un astro nascente a Milano, e poi le accuse si sono moltiplicate quando sono diventato presidente del Consiglio», dichiara il Cavaliere nel 2015. «Mio padre è l’uomo più perseguitato del mondo, con 86 processi e più di 4.000 udienze», protesta la figlia Barbara il 15 febbraio 2023 dopo l’assoluzione nel primo grado del Ruby ter. Impossibile ripercorrere tutti i procedimenti. I primi problemi di un certo peso Silvio Berlusconi deve affrontarli sul finire degli anni Settanta quando, rampante imprenditore immobiliare arricchitosi con l’idea del quartiere satellite di Milano 2 e in procinto di decollare con la tv privata, deve fronteggiare le accuse di evasione fiscale in alcune società del suo gruppo.
L’avviso di garanzia a Napoli
I guai veri cominciano con il famoso avviso di garanzia notificato dal pool Mani pulite il 22 novembre 1994 mentre, appena sceso in politica e vinte le elezioni con la sua Forza Italia, presiede a Napoli il vertice Onu sulla criminalità transnazionale. È il punto di rottura, lo spartiacque dopo il quale la giustizia diventa il terreno di scontro che vede lui da una parte e dall’altra la sinistra e una fetta consistente della magistratura. Nell’inchiesta per corruzione l’allora premier è accusato di aver versato anni prima tangenti ad ufficiali della Guardia di finanza che avevano eseguito delle verifiche fiscali in quattro società del suo gruppo imprenditoriale. Condannato nel 1998 in primo grado a 2 anni e 9 mesi di reclusione, prescritto in Appello nel 2000, Berlusconi è assolto definitivamente in Cassazione l’anno dopo.
All Iberian
Il primo troncone del processo All Iberian terrà banco sui giornali per molti anni. Nel 1996 Berlusconi viene accusato di aver finanziato illecitamente tra il 1991 e il 1992 con 21 miliardi di lire il Psi di Bettino Craxi attraverso la società off shore All Iberian. Dopo la condanna in primo grado a 2 anni e 4 mesi, in appello (nel 1999) e in Cassazione (2000) viene prosciolto per intervenuta prescrizione. Nell’All Iberian 2, invece, la Procura di Milano lo accusa di aver corrotto con 600 mila dollari l’avvocato inglese David Mills affinché dicesse il falso nel procedimento per le tangenti Gdf e nel primo All Iberian. Mills, che durante questo processo si separerà dalla moglie Tessa Jowel, che allora era ministro del governo di Tony Blair, è condannato a 4 anni e mezzo, ma ottiene la prescrizione nel 2012. Allo stesso modo si chiude quell’anno il processo al Cavaliere accusato della corruzione dell’avvocato che era stato stoppato nel 2008 dal Lodo Alfano, norma che prevedeva la sospensione dei processi per le quattro più alte cariche dello Stato, poi bocciata dalla Corte costituzionale dopo che aveva infiammato lo scontro politico.
Consolidato Fininvest
Ma una nuova inchiesta è già matura: quella sul bilancio consolidato della Fininvest. L’ipotesi era che fossero state impiegate società estere del gruppo Fininvest per gestire circa 1.500 miliardi di lire fuori dal bilancio consolidato per una serie di scopi, come aggirare la legge Mammì sulla regolamentazione del sistema televisivo, coprire le perdite e pagare in nero calciatori e atleti della galassia sportiva che allora faceva parte dell’impero berlusconiano. Bisogna attendere il 2005 per vedere la fine del processo di primo grado a Milano e il proscioglimento di Silvio Berlusconi «perché il fatto non è più previsto come reato» dopo che il suo governo aveva depenalizzato il falso in bilancio, una legge che aveva portato al calor bianco la temperatura della politica.
La condanna e l’affidamento
La condanna nel processo Mediaset è una ferita che non si è mai rimarginata per il Cavaliere, costretto a scontare l’anno residuo in affidamento ai servizi sociali recandosi, tra aprile 2014 e marzo 2015, in una casa di cura per anziani a Cesano Boscone, dove si presenta una volta alla settimana protetto dalla scorta ed inseguito dai giornalisti. Un’indagine enorme che nasce dalla vicenda della All Iberian e per la quale nella primavera del 2005 viene chiesto il rinvio a giudizio per una serie di imputati. Riguarda i fondi neri, approdati su due società off shore, provenienti dalla compravendita dei diritti dei film di case cinematografiche americane destinati alle tv del Biscione. La prima sentenza termina ad ottobre 2012 con la condanna a 4 anni di Berlusconi e l’applicazione di tre anni di indulto, confermata nel 2013 in Appello e in Cassazione. A novembre 2013 essa porta alla decadenza da senatore e all’affidamento in prova. Nel 2018 Berlusconi ricorre alla Corte di Strasburgo dopo aver ottenuto la riabilitazione.
Lodo Mondadori e Sme
Ci sono poi i processi sulla corruzione di alcuni giudici romani per la vendita del colosso alimentare Sme e per il Lodo Mondadori dai quali uscirà indenne. Assolto nella vicenda Sme dall’accusa di corruzione fino in Cassazione (2007), per il Lodo Mondadori, dove è imputato con l’ipotesi di aver comprato nel 1991 la sentenza sulla proprietà della casa editrice, dopo il proscioglimento in udienza preliminare a Milano il processo si esaurisce per prescrizione in appello e in Cassazione. Nel 2013, però, la causa civile promossa dalla Cir assegna alla società di Carlo De Benedetti un risarcimento di 500 milioni di euro a carico di Fininvest. Un boccone amaro difficile da digerire.
I processi Ruby
Anche il fascino femminile è stato fonte di grattacapi giudiziari per Berlusconi. A Bari è in piedi il processo per induzione a mentire e per aver pagato, dice l’accusa, le bugie dell’imprenditore Gianpaolo Tarantini agli inquirenti che indagavano sulle escort portate nelle sue residenze. Ma sono i processi Ruby sulle «cene eleganti» ad Arcore mentre era premier ad indignare lui e i parlamentari di FI che nel 2013 arrivano addirittura a manifestare nel palazzo di giustizia di Milano mentre Berlusconi è ricoverato al San Raffaele per l’uveite (i problemi di salute degli ultimi anni hanno causato il rinvio di parecchie udienze). Nel Ruby uno è imputato di prostituzione minorile e concussione per aver avuto rapporti nel 2010 con l’allora 17 enne Karima «Ruby» El Mahroug e per aver telefonato alla questura di Milano, dove la ragazza era stata portata dopo un fermo per furto, dicendo che era la nipote del premier egiziano Mubarak e mandando Nicole Minetti a riprenderla. Condannato in primo grado a 7 anni, viene assolto in Appello e Cassazione. Finisce di nuovo imputato per corruzione in atti giudiziari nel Ruby ter con l’accusa di aver pagato i silenzi e le falsità della marocchina e di una trentina di altre ospiti nelle serate del bunga bunga a Villa San Martino. «Sto mantenendo le ragazze. Non pago, aiuto. Mi sento responsabile perché hanno commesso l’unico reato di accettare un invito a cena a casa del presidente del Consiglio e sono state rovinate», aveva detto ad aprile 2013 rivelando i sussidi da 2.500 euro in un’udienza del processo Ruby. Secondo i pm milanesi, le ospiti gli sono costate più di due milioni. Il 16 febbraio viene assolto, come prima era avvenuto anche nei processi-satellite a Roma e a Siena.
Paolo colonnello per StaIl paradosso tra Silvio Berlusconi e la giustizia si è rivelato davvero solo negli ultimi anni: più veniva assolto, più calavano i consensi. Lampante l’ultima sentenza milanese, febbraio scorso, sulla corruzione in atti giudiziari per le testimonianze fasulle delle Olgettine: proscioglimento pieno per il Cavaliere e urne (quasi) vuote per Forza Italia. Opacizzazione di un istinto primordiale capace come nessun altro di trasformare ogni disavventura giudiziaria in una gigantesca macchina elettorale. Tutto il contrario di ciò che sarebbe dovuto avvenire, sebbene la Grande Identificazione Popolare – vittimismo, rivendicazione, allergia alle regole dello Stato, smisurata ricchezza – che è stato capace di suscitare per almeno un ventennio ha accompagnato le sue fortune politiche, condite, via via, da una sempre maggiore fragilità fisica.
Non si spiega altrimenti il motivo per cui nonostante la mole di procedimenti giudiziari con 8 condanne in primo grado ma solo una definitiva, e di malattie che lo hanno colpito negli ultimi 20 anni (tumore, infarto, uveite, perfino Covid-19), Silvio Berlusconi alla fine ne sia uscito sempre meglio di prima. Più dai processi in verità che dalle malattie, nonostante i vaticini di uno come il professor Umberto Scapagnini, già sindaco di Catania e a lungo suo medico personale, che ne pronosticò «una quasi immortalità tecnica» senza riuscire però a verificarla di persona, essendo lo stesso mancato nel 2013. Perché in un certo senso il Cavaliere «immortale» lo è stato per un bel pezzo. Nessun altro uomo al mondo infatti avrebbe potuto subire un tale numero di inchieste riuscendo a sopravvivere nell’immaginario bipartisan degli italiani, suscitando benevolenza e affetto anche là dove un tempo era odiato o, per lo meno, non amato. Non c’è processo o indagine su cui Berlusconi non abbia rilanciato la posta in gioco utilizzando magistralmente la gran cassa mediatica di cui ha sempre disposto a mani basse. A partire dal primo, famosissimo, avviso di garanzia che gli venne recapitato a Napoli il 21 novembre del 1994, mentre, da presidente del Consiglio, presiedeva un vertice internazionale sulla criminalità cui partecipavano ben 140 delegazioni straniere. «Golpe giudiziario», tuonò Silvio che per difendersi dai processi, più che nei processi, è riuscito a fare della guerra alla magistratura un cavallo di battaglia politico molto efficace. Chiedere per esempio ai magistrati della procura di Milano che, pur avendogli reso omaggio ieri, a partire dal 1994 lo hanno sottoposto a ogni tipo di inchiesta e processo dimostrando di essere refrattari (lui li definì «antropologicamente diversi dalla razza umana») ai canti della sirena berlusconiana e conquistandosi perciò l’imperituro anatema di «magistrati comunisti» (dicembre 1994) una definizione talmente raffazzonata da aver ingenerato negli anni a venire colossali equivoci sul posizionamento di certe correnti della magistratura stessa.
Lui, il Cavaliere, d’altronde, ha sempre voluto schiacciare l’acceleratore: «Sono l’uomo più perseguitato dell’Occidente, ho all’attivo 106 procedimenti». Numero esorbitante e dalla geometria variabile a seconda delle circostanze. Nella realtà il numero, seppure più contenuto, rimane comunque impressionante: 34 processi (intesi come procedimenti completi, dalla notizia criminis alla Cassazione) in cui praticamente si contempla l’intero codice penale: si va dalla corruzione, alla prostituzione, alla collusione mafiosa, al falso in bilancio, all’abuso edilizio, alla corruzione in atti giudiziari.
Ad aprire la lista è una sentenza ormai dimenticata (e poi amnistiata) del 1990 della Corte d’Appello di Venezia che lo condanna per la sua iscrizione alle liste massoniche e golpiste della P2. «Teoremi, illazioni, forzature, falsità ispirate dal pregiudizio e dall’odio...Tutto è consentito sotto lo scudo di una toga», attacca Berlusconi dopo la famosa requisitoria del pm Ilda Boccassini sui festini di Arcore.
I numeri veri, pur non raccontando nel dettaglio l’epopea giudiziaria del Cavaliere, e nemmeno il susseguirsi di leggi “ad personam” che gli hanno consentito di difendersi anche al di fuori dei processi, sono questi: 8 procedimenti si sono conclusi con una prescrizione; 2 per intervenuta amnistia; 2 perché il fatto non costituisce più reato (modificato magari da una legge dello stesso governo presieduto da Berlusconi); 10 con sentenze di assoluzione; 10 con archiviazione; 2 sono ancora in corso; uno solo infine conclusosi con una condanna nel 2013: la notissima frode fiscale (con falso in bilancio e appropriazione indebita) sulla compravendita dei film Mediaset che lo fece condannare in via definitiva e decadere dallo scranno di senatore, a 4 anni di reclusione, di cui uno solo scontato in affidamento ai servizi sociali. Circostanza che non gli ha impedito di sognare come ultima conquista politica non più di due anni fa, lo scranno più alto al Quirinale.
È il motivo per cui Berlusconi fino all’ultimo ha cercato di riscattare il suo onore cercando di ribaltare anche davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo questo verdetto, attaccandosi alle improvvide dichiarazioni pubbliche del presidente di Cassazione che lo condannò. Ma molto più pericoloso per il suo impero è stato un macigno piombato dalla Corte di Giustizia Ue su Mediaset nel 2020 con una sentenza che, disconoscendo una norma italiana, aveva riconosciuto il diritto dei francesi di Vivendi di acquistare il 28 per cento delle azioni del Biscione, mettendo in discussione, per la prima volta, l’esclusiva titolarità della famiglia Berlusconi sulle decisioni per la società. Scalata insidiosa poi rintuzzata dalla blindatura delle azioni di famiglia e da un do ut des tra azioni restituite e cause rientrate. Una «lesa maestà» azionaria che pur non avendo segnato la fine di un’epoca, ne ha scandito per lo meno la caducità.
L’altra grande tegola in campo civile gli arriva con la vicenda Mondadori che lo costrinse a versare al grande nemico di sempre, l’ingegner Carlo De Benedetti, 541 milioni di euro come risarcimento per la sentenza scippata sul lodo Mondadori, una storia di corruzione giudiziaria che per Berlusconi si era risolta con una prescrizione. Infatti, tra le costanti dei processi del Cavaliere c’è il fatto che alle assoluzioni per lui corrispondono quasi sempre le condanne per i suoi coimputati più o meno eccellenti: da Cesare Previti, ministro della difesa nel suo primo governo, condannato per la corruzione dei giudici a Marcello Dell’Utri, fondatore di Publitalia e «architetto» di Forza Italia, condannato per le collusioni mafiose; dall’avvocato inglese David Mills ideatore del sistema off shore Fininvest (corruzione), a Emilio Fede, Lele Mora, Nicole Minetti per i festini di Arcore, persino il fratello Paolo per le prime tangenti alla Gdf.
Poi ci sono i processi che hanno a che fare con il secondo Berlusconi, l’uomo ormai giunto al potere che organizza via vai di signorine baresi a palazzo Grazioli, le spregiudicate “cene eleganti” ad Arcore a base di sesso, balletti, e ricche mance. Vicende che si trascineranno, con le ultime assoluzioni delle ragazze piazzate nel residence di via Olgettina, fino a pochi mesi fa. Cene e “bunga bunga” pur non sporcandogli la fedina penale (dopo la condanna di primo grado, verrà sempre assolto) lo danneggeranno però irrimediabilmente rivelando non solo una vicenda di prostituzione minorile ma anche l’uso spregiudicato del potere utilizzato per coprire queste storie: con l’indimenticabile telefonata alla Questura di Milano dove, ricoprendo al carica di Presidente del Consiglio chiese di liberare la minorenne marocchina Karima El Mahroug, meglio nota come “Ruby Rubacuori”, spacciandola niente meno che per nipote dell’allora presidente egiziano Mubarak.
All’aspetto ludico pecoreccio delle vicende arcoriane a luci rosse, corrispondono però ben altre storie, molto più oscure e che con la sua morte certo non potranno mai più essere chiarite. Le accuse arrivano dall’intercettazione di un boss mafioso, Giuseppe Graviano, in carcere per la stagione delle stragi del 1993, che chiama in causa il Cavaliere direttamente: «Berlusca mi ha chiesto questa cortesia...». E la cortesia sarebbero le bombe che causano tra Milano, Firenze e Roma, una decina di morti, proprio l’anno prima della travolgente vittoria di Berlusconi alle urne. Un’accusa talmente grave, che anche i pm parlano dell’iscrizione sul registro degli indagati, come di «un atto dovuto». Che però rimarrà come una gigantesca ombra che ha accompagnato fino alla tomba Berlusconi, il quale ha sempre negato con tutte le forze questo connubio con Cosa Nostra, sebbene le origini chiacchierate del suo patrimonio per costruire Milano2, i taglieggiamenti della Standa a Palermo quando ne era proprietario, la famosa presenza dello «stalliere di Arcore» Vittorio Mangano, autore di una bomba «affettuosa» a Villa San Martino, assunto grazie a Marcello Dell’Utri, come «talismano» anti-sequestri di persona, raccontano in qualche modo un’altra storia.
Va rilevata infine la presenza del mondo femminile anche nell’epopea giudiziaria di Berlusconi. È un collegio di donne a condannarlo in primo grado a 7 anni di reclusione, è una donna, il pm Ilda Boccassini a leggere la requisitoria, sono giovani e agguerrite donne le ragazze che frequentano la sua corte di Arcore e lo mettono nei guai con continue richieste di denaro. Così come suscita clamore la battaglia per il divorzio con Veronica Lario che dopo aver ottenuto un assegno di mantenimento da 36 milioni annui, si vede dimezzare gli alimenti. È stata una continua rinascita quella del Cavaliere, il cui segreto si nascondeva probabilmente nel sistematico parossismo della sua vita: grandi processi, grandi malattie, grandi ville, persino grandi amanti (per numero) dalle grandi forme. —
Maria corbi intervista Fauto Coppi, StaFranco Coppi ha difeso Silvio Berlusconi in molti processi. E in questi anni sono diventati amici. «Mi mancherà, era un uomo straordinario, comunque la si pensi».
Chi vi presentò?
«Niccolò Ghedini. Si trattava di uno dei tanti processi legati al caso Ruby. Intervenni in appello. Assolto con formula piena».
Il famoso processo delle “cene eleganti”. Ma lei se mi ricordo bene si rifiutò di sostenere che lo erano, eleganti.
«Non era quello il punto. Al processo ci possono essere diversi approcci. La vicenda avrebbe potuto essere affrontata in fatto oppure in diritto, ho preferito percorrere una strada giuridica, perché l’altra era più accidentata».
Che rapporto avete avuto? «Sul piano umano e personale, molto piacevole; dal punto di vista professionale Berlusconi aveva molta fiducia nell’operato dei suoi avvocati, non era ansioso e non era assillante. Le accuse che gli sono state mosse sono cadute tutte quante tranne in Cassazione con il famoso processo sui diritti televisivi con una sentenza che ha dato luogo a molte polemiche e sulla quale ci sarebbe ancora molto da discutere».
Per quel processo venne messo alla prova, ai servizi sociali, in una casa per anziani.
«Ebbe un comportamento esemplare, ed è stato riabilitato. Me ne parlava e mi diceva che era stato un momento di arricchimento personale. Era circondato dall’affetto di quei vecchietti a cui portava sempre dei pensierini e tante storie con cui li intratteneva. Ha partecipato con profonda convinzione e non con senso di noia o fastidio».
Quando lo ha visto l’ultima volta?
«Qui a Roma poco prima del ricovero, per fare il punto della situazione. C’erano state le sentenze favorevoli di Siena e di Roma. Il problema erano gli eventuali appelli di queste sentenze e le voci che circolavano su un fascicolo aperto dalla procura di Firenze sulle stragi di terrorismo del ’93 su cui non abbiamo avuto nessun avviso di garanzia né conferme sul suo eventuale coinvolgimento. Era amareggiato».
C’è stato accanimento da parte della magistratura?
«Parto dall’idea che si vive in collettività e che si può essere chiamati a rendere conto, soprattutto se hai un ruolo pubblico. Non ho mai visto tutto questo come un complotto o come un attentato giudiziario alla vita politica del Paese. Non avevo tempo da perdere nel pensare a cosa ci poteva essere dietro alle accuse, mi bastava il davanti».
È stato ad Arcore?
«Sono andato ad Arcore anche perché avevo curiosità di conoscere una casa che fa parte della storia, tenendo conto che i primi proprietari erano i Casati e che in quella casa fu ospite Benedetto Croce. E su un caminetto c’è una sua foto con dedica alla marchesa Casati. Ho avuto la tentazione di rubarla».
Bastava chiedere...
«Non ho avuto il coraggio».
Però le regalava cravatte, giusto?
«Aveva casse di cravatte che si faceva fare da un artigiano di fiducia e le teneva per donarle ai suoi ospiti. A me dava tutta la cassa».
Cosa ha pensato quando ha saputo della sua morte?
«Mi mancherà. È uno di quei personaggi che fanno la storia».
Qualità ?
«Il non darsi mai per vinto e l’ottimismo».
Difetti?
«Si è fidato troppo di qualcuno che non meritava questa fiducia, ma era fatto così, troppo generoso». —