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 2023  giugno 13 Martedì calendario

In morte di Berlusconi. L’eredità

Francesco Spini per Sta
«E adesso?». La notizia della scomparsa di Silvio Berlusconi corre veloce nelle sale operative, i telefoni degli analisti si fanno roventi, tempestati dalle domande dei gestori dei fondi internazionali che si interrogano sul futuro. Di Fininvest, certo, ma soprattutto di quella Mediaset (di cui la famiglia controlla il 50%) che da un anno e mezzo ha cambiato nome in Mfe-MediaforEurope, sede, ad Amsterdam, e vocazione: non più confinata a Cologno Monzese ma protesa verso un polo europeo delle tv in chiaro. «E i figli, venderanno?». La domanda rimbalza, i titoli in Borsa decollano. Le azioni tipo B, la “B” di Berlusconi, quelle che contano per comandare (10 diritti di voto per ciascun titolo) in mezzora toccano un rialzo del 10%.
Qualcuno immagina grandi manovre, finché un comunicato marchiato Fininvest, della famiglia insomma, raffredda gli entusiasmi: evoca il patrimonio del Cavaliere, anche quello fatto della sua «forza creativa», di «genio imprenditoriale», «la costante correttezza dei comportamenti, la straordinaria umanità». Questi «sono sempre stati patrimonio inalienabile della società, come delle aziende del gruppo. E tale patrimonio – si sottolinea – resterà alla base di tutte le nostre attività, che proseguiranno in una linea di assoluta continuità sotto ogni aspetto». Traduzione: non si vende. E basta questo per raffreddare chi, nella speculazione, stava gettando il cuore ben oltre l’ostacolo: i titoli Mfe B chiudono con un rialzo sì, ma contenuto al 2,32%. Le azioni di tipo A, con diritti limitati a un solo voto, finiscono comunque con un +5,86%. Segno che il mercato, in ogni caso, disegna scenari, compila ipotesi.
La più scontata di queste è già lì, appollaiata in Mfe con il 23,6% dei diritti di voto. Si chiama Vivendi, ovvero Vincent Bolloré, il rider bretone con cui Berlusconi nel 2016 si era accordato per fare una grande alleanza che invece si rivelò un pantano: tra un tentativo di scalata (di cui la famiglia non ha mai perdonato il tempismo, visto che cominciò durante una degenza del Cavaliere), guerre legali, scontri all’ultimo voto. Due anni fa la pace ha avviato una discesa dei francesi dal 29,9% raggiunto, discesa che si è però interrotta, visti i corsi non favorevoli del titolo. Un nemico carissimo, insomma, che oggi rende onore al Cav: «Il suo fascino e la sua energia rimarranno nella memoria di tutti», recita la nota che arriva da Parigi. Torneranno alleati? I trascorsi di burrasca non depongono a favore di una riapertura del dossier da parte di Marina e Pier Silvio. Bolloré non farà la prima mossa.
La seconda congettura porta in Germania, dove Mfe ha spostato il primo carrarmatino del suo risiko delle tv: ha comprato poco meno del 30% di ProsiebenSat1. Una combinazione sull’asse Cologno-Monaco (a patto che sfumi l’acquisizione di Sky Deutschland che renderebbe il conglomerato indigesto per il Biscione) creerebbe un colosso con soci i Berlusconi, i francesi e i cechi di Ppf, saliti al 15% del gruppo tedesco.
Terza suggestione: la vendita a gruppi internazionali. I pretendenti negli anni non sono mancati. Tutti ricordano il doppio tentativo di Rupert Murdoch negli Anni 90. E anche oggi un gruppo presente in Italia, Spagna e Germania può destare interesse: Discovery si dice abbia bussato alla porta di Pier Silvio Berlusconi, ad di Mfe, ricevendo un «no, grazie». Varrà in futuro?
Per ora va registrato il mantra di famiglia: «Assoluta continuità». E questo dovrà valere per tutto l’impero Berlusconi, uno scrigno che vale una fortuna: 6 miliardi di euro, calcola Forbes, circa 4,9 solo di patrimonio di Finivest la holding a capo della catena. Un portafoglio che spazia dalle tv, alle radio (105, 101, Monte Carlo), dala pubblicità (Publitalia 80), alle produzioni (TaoDue), all’editoria con Mondadori. E ancora il calcio col Monza. Il teatro Manzoni, salotto di Milano, la flotta di tre aeroplani e un elicottero, gli immobili, in parte anche fuori con le società Dolcedrago e Idra, con le ville San Martino e Certosa. Poi c’è il gioiello Banca Mediolanum («Oggi piango e ricordo Silvio Berlusconi, amico sincero di una vita per me e per mio marito Ennio», ha detto Lina Tombolato, vedova del fondatore, sodale di Silvio dagli albori dell’epopea) di cui Fininvest ha il 30%: quota che da sola vale 1,8 miliardi. Senza più il Cavaliere (e i requisiti di onorabilità persi dopo la condanna per frode fiscale, da cui è stato infine riabilitato) la Bce non opporrà più nulla e il Biscione non dovrà più scendere sotto il 10%. Resta da capire come si suddividerà adesso l’impero. C’è curiosità, ad esempio, su quello che sarà il lascito all’ultima compagna, Marta Fascina. Soldi e case, si scommette. Non le aziende. Marina e Pier Silvio, figli della prima moglie Carla Dall’Oglio, hanno già il 15,3%, il 7,65% di Fininvest ciascuno tramite le Holding Italiana Quarta e Quinta. Barbara, Eleonora e Luigi, frutto delle nozze con Veronica Lario, hanno insieme il 21,42% nella H14, di cui ha ognuno un terzo. Oltre a un 2% di azioni proprie, il restante 61,3% circa era nella disponibilità di Berlusconi, tramite altre quattro casseforti.
Una divisione paritaria sposterebbe l’asse della maggioranza a favore dei figli di secondo letto, ma con la quota disponibile (un quarto) Berlusconi potrebbe aver sistemato le cose, con compensazioni, anche con gli accordi in occasione dei suoi divorzi. Difficilmente poi la governance del Biscione sarà lasciata al caso. La guida di Fininvest (così come di Mondadori) saldamente nelle mani di Marina, quanto il timone di Mfe a Pier Silvio non appaiono in discussione. Appuntatevi la linea strategica: «Assoluta continuità». —


Emanuele Lauria per RepROMA – Ora c’è un assioma da mettere in discussione: Forza Italia può sopravvivere a Silvio Berlusconi? Antonio Tajani, cui tocca piangere la morte di «un fratello maggiore» mentre è a Washington, nonha dubbi: «Non esiste che il partito scompaia». Non si sofferma neanche un attimo, pubblicamente, sulla successione. Non è il momento. Ma prima di rientrare dagli Usa per i funerali del Patriarca lascia intendere di essere pronto a prendere in mano il testimone. Succede quando Tajani ricorda il suo ruolo di co-fondatore del partito e aggiunge: «Il progetto di Berlusconi va al di là della sua vita terrena, è un progetto che noi lavoreremo per realizzare». Ma il futuro, va detto, è davvero un’incognita, in una forza politica che negli ultimi mesi è stata scossa da una rivoluzione interna (quella che aveva estromesso dal cerchio magico Licia Ronzulli) e che, con ogni probabilità, era pronta ad affrontarne un’altra. Appena otto giorni fa, in quello che si è rivelatoessere l’ultimo tratto della sua esistenza, Berlusconi aveva diramato una nota ufficiale per annunciare un imminente «restyling» di Forza Italia. Con un’informale lista già sui tavoli parlamentari. Un elenco con tre nomi, per altrettante aree geografiche del Paese: Alessandro Sorte e Tullio Ferrante, due fedelissimi di Marta Fascina per la gestione del partito al Nord e al Sud, Alessandro Battilocchio (uomo di Tajani) per il Centro. Con un punto interrogativo sull’incarico di capogruppo al Senato di Ronzulli. Un nuovo riassetto che avrebbe dovuto prendere forma dopo un pranzo ad Arcore, sabato scorso, saltato proprio per l’improvviso ricovero di Berlusconi. In realtà, sembrava che la manovra comunque dovesse avere un rallentamento, proprio per la mediazione di Tajani che nell’ultimo mese ha visto più volte Ronzulli e Alessandro Cattaneo (l’altro grande epurato di marzo) e che avrebbe cercato di frenare Marta Fascina, invitandola a più miti consigli. Ma ieri, poche ore dopol’annuncio della morte di Berlusconi, una convocazione improvvisa del comitato di presidenza da parte dell’anziano tesoriere Alfredo Messina ha seminato il panico: nell’ordine del giorno della riunione di oggi, oltre all’approvazione del rendiconto (atto previsto dalla legge), c’erano le «determinazioni in merito ai commissariamenti». Argomento poi cancellato dall’odg. Ma è un segnale, per l’opposizione interna, che la corte di Arcore stava per scatenare una nuova battaglia.
Di certo, la morte del padre di Forza Italia congela le ostilità. Ma ora toccherà a Tajani tentare di tenere insieme il partito. E allo stesso tempo mantenerne la guida, contenendo i malumori interni che, dall’area parlamentare, si estendono ad alcuni governatori del Sud, in particolare Renato Schifani che nei giorni scorsi aveva invitato l’ex premier a tenere conto del peso del Meridione e a non fare le nomine «ascoltando chi sta nella porta accanto». Ma senza un collante fortissimo come la figura del Cavaliere (che secondo i sondaggi valeva oltre la metà dei consensi del partito) ciò sarà possibile? E quale sarà il ruolo di Marta Fascina, la vedova, senza la benedizione dell’uomo che l’anno scorso la sposò in una fastosa cerimonia non ufficiale a Villa Gernetto? Ferrante, responsabile del tesseramento, conferma l’obiettivo di un imponente numero di adesioni (centomila) entro la fine dell’anno e nessuno ha smentito sinora la volontà – sempre da lui espressa – di far riprendere la stagione dei congressi. Gianfranco Micciché, un altro dei pionieri forzisti, è più che scettico: «Il nostro non è un partito da congresso per sapere chi prende la direzione del partito. Assisteremo alla lite su chi è proprietario del simbolo, e chi non lo è. Già so come finirà».
La verità, come ammette Cattaneo in serata, è che si aspettano le decisioni della famiglia. Che tutto dipenderà da quanto Marina e Piersilvio vorranno continuare a investire sulla creatura del padre. Investire politicamente, per evitare la diaspora verso Fratelli d’Italia o verso le sirene centriste di un Terzo polo in disarmo, di un Matteo Renzi che occheggia alle smarrite anime forziste.
Ma l’investimento cui è chiamata la famiglia è anche economico, visto che il partito è stato sorretto in questi anni da fidejussioni del Cavaliere pari a quasi cento milioni. «Berlusconi aveva concordato con le banche un piano di rientro dice il tesoriere Messina – È diventato lui creditore del partito, al posto delle banche. Ora, con la sua morte, i creditori sono i figli. Cosa faranno? Alla luce del grande amore per il padre, auspico vogliano seguire le sue orme».

Mario Gerevini per il corriereE adesso si apre il capitolo dell’eredità di Silvio Berlusconi ma tutto lascia pensare che nulla sia stato lasciato al caso. L’ex premier avrebbe pianificato con i suoi legali ogni particolare della successione. Lo snodo più importante e delicato è nel controllo della Fininvest, la holding di famiglia al vertice del gruppo. È Fininvest che incassa i dividendi delle aziende operative (Mediaset, Mediolanum, Mondadori ecc), li gestisce, li investe per poi distribuire gli utili alla famiglia. È così fin da quando la cassaforte venne creata nel 1975 e nel suo portafoglio c’erano le storiche aziende immobiliari e di costruzioni: Cantieri Riuniti, Edilnord, Milano 2. Poi la cavalcata con la televisione a partire dalla nascita di Telemilano (1978), l’incontro con Adriano Galliani e l’acquisto di Elettronica Industriale (1980), l’asse con Ennio Doris e la nascita di Programma Italia (1982), quindi il Milan (1986), Mondadori dopo la «guerra di Segrate» con Carlo De Benedetti (1991), la quotazione di Mediaset e Mediolanum (1996), fino all’assetto attuale.
«Assoluta continuità»
La partita della successione, amichevole o competitiva che sia, si gioca lì, in Fininvest. Il patrimonio che va agli eredi è stimabile oggi in circa 4 miliardi, calcolando la quota di patrimonio netto della capogruppo e altri beni fuori dal suo perimetro. Ieri Fininvest in una nota ha ricordato il «genio imprenditoriale», la «straordinaria umanità» del fondatore, caratteristiche che «sono sempre state patrimonio inalienabile» del gruppo. Poi un messaggio forte e chiaro per il dopo Silvio: «Tale patrimonio resterà alla base di tutte le nostre attività, che proseguiranno in una linea di assoluta continuità sotto ogni aspetto».
Le variabili
Sull’assetto attuale, cristallizzato da anni, potrebbero intervenire variabili introdotte dall’ex premier nelle sue eventuali ultime volontà. Per esempio è da vedere se il Cavaliere (titolare del 61,2% di Fininvest) ha dato indicazioni precise sulla sua quota disponibile di patrimonio. Anche questo passaggio, che dovrebbe riguardare un terzo dei beni, potrebbe essere stato disciplinato già da tempo. Altre incognite: vi è stato un lascito azionario a Marta Fascina? Per il fidatissimo ragionier Spinelli è stato riservato un ruolo di garante super partes? E poi c’è un doppio rebus. Il primo su eventuali donazioni in vita che, tuttavia, se disposte, quasi certamente riguardano beni al di fuori del gruppo Fininvest. Gli atti dovrebbero essere custoditi nello studio Rlcd Notai in via Mario Pagano a Milano.
Il secondo rebus riguarda una quota del 2,06% che da innumerevoli anni compare nel capitale Fininvest. Nessun mistero sulla proprietà perché si tratta di azioni proprie, cioè detenute dalla stessa Fininvest e per loro natura senza diritto di voto. Ma potrebbe essere una quota «cuscinetto» concepita per mediare tra due eventuali blocchi azionari.
Solo Silvio e figli
Dove le due generazioni della famiglia si compattano è, infatti, solo nel capitale Fininvest, il motore dell’impero. Lì dentro ex mogli e compagne finora non sono mai entrate. Solo Silvio e i figli. Una volta, molti anni fa, anche il fratello Paolo, poi uscito. Era l’epoca delle 22 nebbiose holding, schermate da fiduciarie. Oggi la struttura di controllo è totalmente italiana e alla luce del sole. La presidente da molti anni è Marina Berlusconi e il consiglio di amministrazione è un mix di famiglia e manager, tra cui i fedelissimi Adriano Galliani e Salvatore Sciascia. Marina e Pier Silvio hanno il 7,65% a testa attraverso le loro holding personali mentre Barbara, Luigi ed Eleonora hanno raccolto le loro quote (21,4%) in una società comune. Fininvest ha attività immobiliari, controlla la società Alba che gestisce i jet e gli elicotteri, il Monza calcio, il Teatro Manzoni ma soprattutto detiene partecipazioni rilevanti nelle tre società quotate Mfe-Mediaset (50%), Banca Mediolanum (30%) e Mondadori (53%). Dalle prime due arriva, sotto forma di cedole, gran parte della benzina che alimenta il «sistema». Nel 2021, ultimo bilancio disponibile, Fininvest ha fatturato 3,8 miliardi con 360 milioni di utile.
I tre rami dell’impero
Se allarghiamo l’orizzonte possiamo dividere l’impero in tre grandi rami. Il primo, quello privatissimo delle case di residenza (Arcore, Macherio ecc ), riferibile a Silvio Berlusconi in persona, potrebbe avere un valore indicativo di 100-150 milioni. Il secondo, quello delle ville da vacanza (Porto Rotondo, Cannes ecc) ha un valore stimabile in 500 milioni ed è gestito da decenni da quattro professionisti di assoluta fiducia attraverso società che fanno capo alla holding immobiliare Dolcedrago. Siamo a quota 650 milioni. E fin qui i 5 figli non toccano palla o quasi.
Il terzo ramo, l’unico che non brucia cassa ma ne produce in gran quantità, è appunto la Fininvest. Qui la quota di patrimonio attribuibile al fondatore, che ha il 61,2% del capitale, è quasi 3 miliardi su 4,9 complessivi Quindi considerando anche liquidità, opere d’arte e altri investimenti non noti arriviamo, come minimo, ai 4 miliardi indicati
I gioielli immobiliari
Tra gli asset più rappresentativi dell’epopea berlusconiana, assai difficili da dividere in parti uguali, spiccano le grandi ville. Intestata direttamente all’ex premier spicca Villa San Martino ad Arcore, sua residenza per quasi 50 anni: 3.500 metri quadrati, acquistata negli anni Settanta. A 6 km di distanza Villa Belvedere (Macherio), comprata all’asta nel 1988 dalla Provincia di Milano. Uno dei rifugi preferiti da Berlusconi fuori dalla Brianza è Villa Campari sul Lago Maggiore. «Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama Due Palme. Anch’io diventerò lampedusano». Nel marzo 2011, atterrato a Lampedusa assediata dagli sbarchi, l’allora premier tra le varie promesse (campo da golf «indispensabile» e casinò sull’isola) annunciava così il suo nuovo affare immobiliare. Ad Antigua, nei Caraibi, Berlusconi ha altre due proprietà immobiliari.
Tesoro Dolcedrago
A spanne si può calcolare che più di mezzo miliardo di patrimonio sia gestito sotto l’ombrello della Dolcedrago, una holding di partecipazioni in società quasi esclusivamente immobiliari. A presidiare questo prezioso e riservato «territorio» è quello che potremmo chiamare il team «operazioni riservate». Ovvero i fidatissimi professionisti con base a Segrate che si occupano degli affari personali del Cavaliere: Giuseppe Spinelli (81 anni), Salvatore Sciascia (80), Giuseppino Scabini (75) e il «ragazzo» Marco Sirtori (57).
La reggia da 259 milioni
Il gioiello della corona, però, è indiscutibilmente Villa Certosa in Sardegna a Porto Rotondo. Il buen retiro nel cuore della Costa Smeralda. È stata acquistata negli anni Settanta, poi completamente ricostruita e ampliata. Ai tempi di Berlusconi premier era classificata come «sede alternativa di massima sicurezza per l’incolumità del presidente del Consiglio». Di qui sono passati ospiti illustri, dal russo Vladimir Putin a George W. Bush. Una perizia tecnica del gennaio 2021 indicava un valore di 259.373.950 euro. Documento assolutamente attendibile perché è firmato da Francesco Magnano, geometra di fiducia del cavaliere. Villa Certosa difficilmente potrà essere divisa tra tutti i figli anche se lo spazio non manca: 68 vani, 181 metri quadrati solo di autorimessa e altri 174 di posti auto. Anche se il prezzo di mercato potrebbe essere superiore a quello della perizia, già così la reggia di Porto Rotondo si colloca tra le ville più costose in assoluto. Nel 2009 si parlò di un’ offerta dagli Emirati Arabi per Villa Certosa da 450 milioni di dollari, l’anno successivo secondo la stampa spagnola era quasi fatta con un imprenditore iberico per 400 milioni di euro, e poi nel 2015 sarebbe stato lo stesso Cavaliere a mostrare le bellezze della residenza al figlio del re d’Arabia: la richiesta pare fosse 500 milioni. Mai nulla di scritto, mai alcuna conferma. Poco distante, a Lesmo, un’altra splendida proprietà è finita nel portafoglio del Cavaliere: Villa Gernetto, dove spesso vengono organizzati incontri istituzionali. A Roma Berlusconi ha acquistato nel 2001 e poi ristrutturato Villa Zeffirelli sull’Appia Antica. Ma l’anima del costruttore e immobiliarista che fu, si intuisce dal portafoglio «varie ed eventuali»: terreni a Olbia e in Brianza, decine di immobili tra Roma e il milanese e soprattutto i 116 posti auto nel Centro Direzionale di Milano Due a Segrate, dove tutto è cominciato con la Edilnord negli anni Settanta.